Oggi, 12 febbraio, si celebra la Giornata Mondiale contro l’Impiego dei Minori nei Conflitti Armati, indetta nel 2002, anno in cui è entrato in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia che vieta il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.
250mila bambini soldato nel mondo
Nel mondo si stima che siano oltre 250.000 i minori impiegati nei conflitti armati. Secondo un rapporto dell’UNICEF, oggi 1 bambino su 9 vive in paesi colpiti da conflitti armati. I principali sono (non casualmente) in Africa: Uganda, Mali, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan. Ma anche in Asia o in Centro e Sud America l’utilizzo di bambini soldato non è una novità né una rarità.
Sono bambini privati dei loro diritti e della loro infanzia, minori che subiscono traumi fisici e psicologici difficilissimi da recuperare. In pratica, sono la “carne da macello” dei gruppi ribelli per conquistare le aree ricche di minerali seminando violenza e terrore tra la popolazione.
Interris.it ha raccolto la testimonianza di Monica Puto, membro del corpo di pace Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII (APG23) fondata da don Oreste Benzi. Puto ha vissuto in missione in Uganda dal 2006 al 2008 a fianco della popolazione locale attaccata dai ribelli del Lord’s Resistance Army (LRA) fondato e guidato da Joseph Kony.
La testimonianza di Monica Puto di Operazione Colomba (Apg23)
“Ho iniziato la mia esperienza con Operazione Colomba nel 2005 in Kossovo dopo alcune esperienze di missione nelle comunità della Papa Giovanni in Russia e Kenya. Chiesi a don Oreste Benzi di poter vivere l’esperienza di corpo di pace durante il conflitto dei Balcani. E don Oreste mi propose il Kossovo e poi la Palestina, dove restai un anno. Dopo questa esperienza, nel 2006 mi venne proposto di partire per l’Uganda, Nazione dell’Africa Orientale ‘incastonata’ tra il Sudan del Sud, il Kenya, la Tanzania, il Ruanda e, a ovest, la Repubblica Democratica del Congo”.
“Lì operai per due anni, dal 2006 al 2008, come membro di Operazione Colomba in Nord Uganda, nella parrocchia di Minakulu (a 30 km da Gulu, dove sorge il St Mary Lacor Hospital, fondato dai missionari comboniani nonché unico ospedale della zona) con una presenza di accompagnamento internazionale”.
“Operazione Colomba, nata nel 1992, è il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. I volontari e le volontarie di Operazione Colomba svolgono un’azione di scorta civile alle vittime dei conflitti rispetto agli attori armati che li minacciano”.
“In Uganda Andai a vivere nella parrocchia di Minakulu. La parrocchia era stata abbandonata per le minacce e gli attacchi che le milizie ribelli avevano fatto al parroco locale. Nelle vicinanze c’era un campo di rifugiati di circa 5.000 persone. Quello, che a me sembrò enorme, era in realtà il più piccolo campo della zona. Gli altri contavano centinaia di migliaia di persone. In quegli anni eravamo in tre: io, un sacerdote italiano e una missionaria americana e vivevamo in un contesto ‘caldissimo’. Era infatti appena fallito il tentativo di pace tra il governo ugandese e il terribile Lord’s Resistance Army (LRA), l’esercito di Dio fondato e guidato da Joseph Kony”.
Le atrocità del Lord’s Resistance Army
L’Uganda ha subito le incursioni e le violenze delle milizie armate LRA per decenni. Il Lord’s Resistance Army (LRS) è un gruppo di guerriglieri che opera principalmente nel nord dell’Uganda, nel Sudan del Sud, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana.
Fondato e guidato nel 1986 da Joseph Kony (tuttora latitante), l’LRA è stato accusato nel 2004 dalla Corte penale internazionale di aver attuato numerose violazioni dei diritti umani, compresi l’omicidio, il rapimento, le mutilazioni, la riduzione in schiavitù sessuale di donne e bambini e – principalmente – l’impiego di bambini-soldato arruolati a forza negli scontri armati. Kony, divenuto presto noto per la sua ferocia, è tutt’ora ricercato per crimini contro l’umanità.
“Quando arrivai nel villaggio di Minakulu – prosegue Monica Puto – la situazione era ancora grave. La popolazione dei vari villaggi si rifugiava la notte nei diversi campi per cercare protezione dalle incursioni dell’LRA. Alle incursioni però partecipavano quegli stessi bambini che anni prima erano stati rapiti dai miliziani e costretti, con violenze inaudite, a diventare il ‘braccio armato’ del gruppo. I bambini soldato, chiamati ‘ribelli’, erano dunque la loro stessa gente”.
“Per seminare terrore tra la popolazione, l’LRA faceva infatti rapimenti di massa e trasformava i bimbi in soldati amputando loro mani, braccia e labbra e uccidendo tutti quelli che si ribellavano. Si calcola dai 20 ai 30 mila bambini (dai 6-7 anni in su) rapiti dai propri villaggi, incatenati per il collo come bestie, trasportati per chilometri nei campi tra le foreste e lì abusati – anche sessualmente – obbligati ad uccidere altri bambini e trasformati in soldati. Negli attacchi ai villaggi, venivano costretti a mutilare ed uccidere anche i propri familiari o conoscenti, a mangiare o bere il sangue delle proprie vittime. Un misto di riti orrendi su bambini piccoli la cui vita veniva stravolta e abusata”.
Che fine hanno fatto quei bambini?
“Molte migliaia sono stati salvati attraverso il riscatto, la fuga, o i corridoi di pace. Benché un accordo di pace tra Governo e LRA non sia mai stato firmato, tra il 2006 e il 2008 venne istituito un corridoio per far uscire i ribelli dall’Uganda e far loro raggiungere il Sud Sudan. La situazione era un po’ più calma e alcuni bambini vennero recuperati e curati dalle numerose ferite fisiche e psichiche, malnutrizione, infezioni varie… in centri specifici, come il Lacor Hospital”.
Cosa è accaduto alle bambine?
“A Gulu c’era un centro gestito dalle suore che accoglieva centinaia di bambine e ragazze scappate dal ‘bosco’ – gli accampamenti dei ribelli – che venivano rilasciate dopo essere state usate per anni come serve e schiave sessuali dai capi. Moltissime di loro erano state torturate e sono morte in seguito alle ferite e alle complicanze dovute all’AIDS, a causa della promiscuità sessuale alle quali erano obbligate. Altre, sono cresciute e si sono salvate”.
“Accanto alla tragedia dei bambini soldato, non va dimenticata quella altrettanto tremenda ma spesso sottaciuta del destino riservato alle bambine, usate sia come soldati, sia al contempo come schiave sessuali, anche da piccolissime”.
Come è venuta fuori negli anni la storia dei bambini soldato?
“Negli anni sono state raccolte tantissime testimonianze di bambini e bambine sopravvissute che hanno raccontato cosa furono obbligati a fare e cosa dovettero subire pur di sopravvivere. In tutti i casi, recuperare queste vittime dal punto di vista fisico ma principalmente psicologico è stato un lavoro difficilissimo e molto lungo. I traumi vissuti sono stati agghiaccianti e disumani. Fu difficilissimo anche il reinserimento sociale dei ragazzi che dovevano tornare a vivere in quei villaggi dove loro stessi avevano contribuito (benché obbligati) a omicidi e torture”.
Cosa ne è stato dell’LRA?
“Lo stesso Kony è tuttora latitante. Tutti i bambini che non sono stati salvati, sono cresciuti e sono rimasti tra le fila dei ribelli. Le truppe che non avevano lasciato l’Uganda infatti si sono spostate nelle Nazioni limitrofe, specialmente in Congo, dove hanno proseguito con la loro violenza. Ad oggi, non si è ancora arrivati a una smobilitazione e a una consegna delle armi da parte dei ribelli”.
Chi vi aiutò in quel difficile periodo?
“Grande aiuto ce lo diede sia padre John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu. E padre Elio Croce, missionario comboniano morto per Covid nel 2020 a 74 anni”.
Trentino, originario di Moena, fratel Elio arrivò in Uganda nel 1971 come missionario. Spostatosi nel 1986 nella città settentrionale di Gulu, al tempo un villaggio, iniziò a collaborare con il Lacor Hospital fondato nel 1959 dei coniugi Piero e Lucille Corti. In quel periodo iniziarono le incursioni dei ribelli dell’LRA.
“Centinaia di donne e bambini – prosegue Monica Puto – arrivavano ogni notte per dormire in sicurezza dai ribelli all’interno delle mura del Lacor Hospital. Arrivavano con una semplice stuoia e qualcosa da mangiare e occupavano ogni spazio possibile. Passata la nottata, mamme e figli all’alba tornavano nei propri villaggi. Così accadeva anche nella nostra parrocchia a Minakulo: si dormiva stesi per terra all’interno della chiesa tutti insieme per difendersi e per non avere paura rispetto al rimanere da soli all’interno della capanna”.
“Inoltre, l’operatore dell’Operazione Colomba è colui che si mette in mezzo tra i due contendenti, al fine di far abbassare la tensione e di fungere da difensore. In Uganda fu un compito particolarmente difficile. Perché i nostri ‘nemici’ erano bambini e giovanissimi ragazzi abusati, invasati e drogati che uccidevano chiunque si trovasse dinanzi”.
“Carnefici, ma anche vittime esse stesse. I veri colpevoli sono altri: vale a dire coloro che gestiscono e usano questi gruppi armati ancora attivi in tante parti dell’Africa per il proprio tornaconto economico. Questi gruppi di ribelli non a caso controllano in Uganda ma anche in Congo e Rwanda le risorse minerarie più importanti”.
L’Africa continente ricchissimo di risorse minerarie
“L’Africa è un continente ricchissimo di materie prime: oro, diamanti, smeraldi, petrolio, coltan… I gruppi armati formati anche da bambini soldato gestiscono – per esempio in Congo – tantissime miniere illegali. Lì i bambini vengono usati non solo come soldati, ma anche come minatori, lavoratori, piccoli schiavi. Sono circa 70mila i minatori artigianali in Congo; la maggior parte è composta da minori e bambini. Eppure, dietro ai gruppi ribelli che gestiscono le miniere illegali, ci sono le grandi multinazionali che acquistano i loro prodotti (soprattutto le materie prime per i prodotti di informatica) corrompendo i governanti locali”.
Che rapporto c’è tra i bambini soldato e i bambini sfruttati nelle miniere?
“I bambini soldato vengono reclutati per rapire altri bambini, per spargere terrore, per controllare il territorio e per essere ‘carne da macello’ negli scontri armati con gli eserciti regolari dei Governi. I bambini rapiti poi possono anche essere sfruttati a livello sessuale e lavorativo nelle miniere o in altri luoghi di lavoro per avere manovalanza a basso costo. E’ un’infanzia rubata a 360 gradi. Un meccanismo che arricchisce solo i potenti sul sangue dei più deboli, indifesi e manipolabili di tutti: i bambini”.
Cosa fare?
“La Comunità Europea deve monitorare il rispetto dei diritti umani in tutte le attività economiche, specie quando si tratta di estrazione del petrolio e delle materie prime. In Africa utilizzano i bambini sottoponendoli a moltissime forme di violenza: nelle guerre, nelle miniere, nei bordelli. Così è anche in Asia e America Latina. Ma nessuno nei Paesi ricchi sembra ricordarsene. La politica internazionale dovrebbe esigere il divieto per le grandi aziende di estrazione mineraria dell’utilizzo di bambini e minori in miniera al fine di interrompere la violazione palesata dei diritti fondamentali degli esseri umani”.
“Dietro a ogni bambino soldato c’è in realtà la guerra degli adulti per la conquista e l’utilizzo di preziose risorse economica di cui l’Africa è ricchissima. Per questo il fenomeno dei bambini soldato esiste esclusivamente in quelle Nazioni – non solo africane – estremamente ricche di materie prime. Sono uno degli ingranaggi per l’estrazione mineraria barbara senza rispetto dei diritti umani e dunque estremamente conveniente. Estrazione che viene fatta in zone controllate da gruppi di ribelli. Ma il prodotto finale viene comunque venduto a qualcuno. Nello specifico, alle aziende internazionali. Che sono i veri ‘mandanti’ di questa carneficina che (lo sottolineo) inizia in Africa (o Asia e America e Latina) ma finisce in Europa e Nord America. Non è dunque qualcosa di lontano da noi: il frutto di quella violenza è nei prodotti in vendita nei nostri negozi”.
Qual è l’importanza della Giornata contro l’Impiego dei Minori nei Conflitti Armati?
“La Giornata è un momento di riflessione per capire cosa possiamo fare noi, come società civile, quali azioni mettere in atto affinché certe terribili realtà finiscano. Non solo la preghiera, ma anche il boicottaggio di prodotti e imprese che sfruttano – anche indirettamente – i bambini”.
Oggi di cosa si sta occupando?
“Da diversi anni vivo in Colombia, dove Operazione Colomba è presente dal 2009 a difesa dei membri della Comunidad de Paz de San Josè de Apartadó nel nord-ovest nella regione di Antioquia. La Comunidad de Paz è costituita da contadini/e che dal 1997 resistono in forma non violenta al conflitto interno. Operazione Colomba li accompagna nelle loro attività lavorative e non solo, offrendo protezione con la propria presenza agendo da deterrente rispetto a possibili azioni violente da parte dei gruppi armati presenti nel territorio [qui la testimonianza di uno degli operatori della comunità, ndr]. La pace si costruisce con azioni concrete, tutti i giorni”.