Il tutore volontario è una risorsa fondamentale nel processo di accoglienza e di integrazione dei minorenni stranieri che arrivano in Italia, senza alcun adulto di riferimento. Non si tratta dunque di una figura improvvisata, ma di una persona che solo dopo aver seguito un’adeguata formazione e dopo essere stata nominata dal tribunale per i minorenni, può iniziare a svolgere una serie di attività finalizzate ad assicurare che a questi ragazzi sia garantito l’accesso ai propri diritti. Il tutore promuove il benessere psicofisico del minore e ne segue i percorsi di educazione e di integrazione, verificando che si tenga sempre conto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. È infine deve vigilare sulle condizioni di accoglienza, di sicurezza e di protezione e amministrare l’eventuale patrimonio del minore.
L’intervista
Interris.it ha approfondito questo tema con la dottoressa Carla Garlatti, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, impegnata ad attivare uno sviluppo attivo dell’intera rete dei soggetti, coinvolti nell’accoglienza dei minori.
Dottoressa Garlatti, quali sono le maggiori problematiche che i tutori volontari devono affrontare?
“La prima criticità è rappresentata dal fatto che non c’è abbastanza chiarezza, anche tra le istituzioni e gli altri soggetti con i quali il tutore si relaziona, rispetto al ruolo e ai compiti che devono essere svolti. Un altro aspetto critico è il senso di solitudine che spesso il tutore avverte nella risoluzione di questioni pratiche più o meno complesse. È quindi fondamentale costruire un coordinamento efficace tra tutore, gestori delle strutture che ospitano i ragazzi, servizi sociali, personale scolastico e autorità. Da un lato per favorire il pieno coinvolgimento del tutore in tutte le decisioni che riguardano la quotidianità e il futuro del minore, dall’altro per offrire un adeguato supporto al tutore stesso. Un passo avanti importante in questa direzione potrà essere fatto anche grazie alla nuova edizione del progetto di monitoraggio della tutela volontaria dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, finanziato con le risorse europee del fondo asilo, migrazione e integrazione (FAMI), gestito dal ministero dell’interno e attuato in partenariato con Fondazione Don Calabria per il sociale ETS, il coordinamento nazionale comunità accoglienti (CNCA) e l’istituto psicoanalitico per le ricerche sociali ETS (IPRS)”.
Ad oggi quanti tutori ci sono e quali sono gli obiettivi di crescita?
“Come indicato nel nostro ultimo rapporto di monitoraggio, pubblicato a novembre del 2023, alla data del 31 dicembre 2022 i tutori volontari sono 3.783, quasi il 10% in più rispetto all’anno precedente. La maggior parte risulta iscritta nel registro del tribunale per i minorenni di Torino (504). Seguono Roma (440), Milano (267), Bologna (230), Palermo (227) e Perugia (202). Si tratta per lo più di donne (74%), di laureati (59,37%) e di occupati (77,86%). Quanto all’età, prevale la fascia over 46 (69,72%). Da poche settimane abbiamo avviato la nuova edizione del progetto di monitoraggio della tutela volontaria, che vuole focalizzare l’attenzione sul rafforzamento della figura del tutore, per diffonderne la conoscenza e facilitare il suo compito nella relazione con i diversi soggetti con i quali si rapporta. In tale contesto, assume un valore significativo il diretto coinvolgimento delle associazioni dei tutori volontari che avranno il ruolo di far emergere gli aspetti dell’esercizio della funzione che richiedono maggiore attenzione e di facilitare la crescita della rete istituzionale”.
Come si raggiungono questi obiettivi?
“L’esperienza fatta negli anni scorsi ci ha permesso di comprendere che è fondamentale investire sulla costruzione di sinergie nei diversi territori tra tutti i soggetti coinvolti. Con la nuova edizione del progetto puntiamo proprio a rendere sempre più efficiente la relazione tra tribunali per i minorenni, garanti regionali e delle province autonome, servizi sociali dei comuni, istituzioni, comunità di accoglienza, famiglie affidatarie e tutori volontari anche grazie al coinvolgimento diretto delle associazioni dei tutori volontari”.
Quando si parla di minori stranieri non accompagnati ci si riferisce a delle persone con una propria identità da rispettare. Come si preserva il loro bagaglio culturale integrandolo con il nostro?
“Per promuovere un effettivo processo inclusivo sarebbe utile intensificare le attività di socializzazione a scuola e in ogni contesto di aggregazione: sport, musica, teatro, per esempio, possono essere risorse importanti per l’inclusione dei minorenni stranieri nella comunità di appartenenza. Un altro strumento importante è quello della partecipazione, che dovrebbe essere incentivata attraverso tematiche e modalità relazionali vicine ai ragazzi e alle ragazze, per esempio partendo da questioni concrete. In quest’ottica andrebbe prestata maggiore attenzione alla formazione linguistica come mezzo di inclusione sociale e andrebbero promossi approfondimenti relativi alle competenze sociali e alla comunicazione interculturale. Nella direzione di una effettiva inclusione va poi la necessità di rendere omogeneo in tutta Italia il ricorso al prosieguo amministrativo, che rappresenta uno strumento di accompagnamento all’età adulta e di facilitazione nel percorso di integrazione. Allo stesso modo un ruolo importante può essere giocato dall’affidamento familiare, che va valorizzato quale misura preferenziale di accoglienza, perché migliora e semplifica il processo di integrazione e inclusione sociale. Proprio per questo abbiamo recentemente avviato un progetto, anch’esso finanziato con le risorse del Fami, che per 30 mesi accompagnerà i comuni della rete Sai nella promozione dell’affido familiare”.
Quali possono essere le future conseguenze a una mancanza di ascolto delle necessità di questi ragazzi?
“L’esclusione dal sistema di accoglienza potrebbe creare un’emarginazione sociale e, a sua volta, esporre i minorenni al rischio di finire nelle maglie della criminalità. Raggiungere una piena integrazione, al contrario, rappresenta una sfida che sollecita tutti, non soltanto le istituzioni. Siamo oramai pienamente consapevoli che solo attraverso un processo inclusivo reale e di qualità, operato a tutti i livelli, si possono infatti prevenire fenomeni di ghettizzazione e di marginalizzazione sociale”.