Lo scorso anno è stato segnato da due guerre, quella russo-ucraina che continua e quella iniziata lo scorso sette ottobre fra Israele e Hamas. Due conflitti che hanno polarizzato l’attenzione internazionale e la pubblica opinione per i quali, nonostante gli sforzi, non si riesce a trovare una soluzione diplomatica e che rischiano di peggiorare protraendosi per tutto il 2024 insieme ai numerosi “conflitti a bassa intensità” che, in diverse aree del globo, provocano innumerevoli vittime innocenti e sofferenze immani alla popolazione civile inerme.
L’impegno per la pace
I conflitti che l’umanità intera sta vivendo sollecitano strategie innovative di risposta sul piano politico nonché diplomatico e interrogano la cooperazione per la pace quale unico sistema di intervento adeguato al nuovo frangente storico e geopolitico: il conflitto è diffuso, pervasivo e delocalizzato, coinvolge numerosi attori che, finora, non potevano stare insieme. Nel mondo in cui le guerre si combattono ma non si dichiarano e le regole sono tradite da tutti, la pace non può aspettare un trattato ed è urgente avviare azioni che favoriscano il ricomporsi delle comunità colpite attraverso un dialogo costruttivo e il vicendevole ascolto. Interris.it, in merito all’importanza della promozione della pace, ha intervistato il professor Pierangelo Milesi, presidente delle Acli provinciali di Brescia e delegato alla Pace, Ecumenismo e Vita Cristiana delle Acli nazionali.
L’intervista
Professor Milesi, negli ultimi anni stiamo vivendo una fase geopolitica molto complessa, fortemente segnata da quella che, Papa Francesco, ha definito “Terza guerra mondiale a pezzi”. Alla luce di questo, che valore assume la promozione della pace?
“Questo periodo ci impone l’aggiornamento delle nostre valutazioni rispetto alle dinamiche globali che, da qualche anno, stanno avvenendo nel mondo, mettendo al centro la promozione della pace. Papa Francesco aveva già denunciato tutto ciò che oggi si sta verificando con assoluta gravità, definendo gli accadimenti del tempo come un’effettiva ‘Terza guerra mondiale, seppur combattuta a pezzi’. Effettivamente questo è accaduto in maniera drammatica e ormai, tutti gli analisti e i cittadini, che sono attenti osservatori, non lo possono più celare. In altre parole, quello che sta avvenendo, è un conflitto globale, in ragione di un disegno nuovo che si sta imponendo nel mondo con la fine delle grandi ideologie del ‘900 e dopo la contrapposizione tipica del dopoguerra che si sta ridisegnando con dei nuovi rapporti di forza e delle potenze che, anche attraverso l’uso della forza brutale propria della guerra, stanno imponendo un disegno inedito. Quest’ultimo, si sta realizzando attraverso dei piccoli o grandi conflitti folli e crudeli, fatti per procura in diversi luoghi del mondo, a volte molto lontani e altre, più recenti, in Ucraina, ai confini della nostra Europa del quale, il 24 febbraio, ricorrerà il secondo anniversario e il più recente conflitto israelo-palestinese”.
La sfida della società civile del nostro tempo è quella di essere “artigiani di pace”. In che modo si può realizzare questo compito?
“Credo che, la società civile, abbia il compito di prendere consapevolezza della drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Occorre denunciare l’irresponsabilità degli attori più importanti di questi conflitti che davvero stanno portando il mondo in un baratro, con un rischio di soluzione nucleare e, di conseguenza, con una catastrofe immane. Bisogna tenere viva la speranza del fatto che, un mondo diverso e migliore, è ancora possibile. La generazione del secondo dopoguerra, che è arrivata con il boom economico e con la crescita delle democrazie nel mondo, ad oggi, non si sta rendendo conto che, l’attuale situazione, si sta modificando repentinamente. Per la prima volta, da decenni a questa parte, le democrazie stanno arretrando, non solo sotto il profilo della quantità, ma anche della qualità. Ciò comporta che, a volte, soluzioni autocratiche o autoritarie, possano prendere il sopravvento. È necessario quindi mantenere la speranza e costruire, come degli artigiani, attraverso un’azione formativa e informativa, una speranza di pace”.
Le Acli, a tal proposito, in sinergia con il CEEP, stanno proponendo ai propri dirigenti quello che don Tonino Bello avrebbe definito un “cammino di pace”. Quali saranno i tratti salienti di questo percorso? Quali obiettivi si pone?
“In qualità di Acli, attraverso il Centro Ecumenico Europeo per la Pace, promosso dalle Acli nazionali, dalle Acli Lombarde e dalle Acli di Milano, abbiamo promosso un percorso formativo che prevede due weekend di lezioni frontali e soprattutto laboratoriali con lo scopo di aggiornare la nostra analisi e offrire delle competenze e degli strumenti interpretativi per fronteggiare il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo affinché le Acli, soprattutto al livello locale, provinciale e anche regionale, possano assumere una competenza che ci qualifichi e ci faccia diventare, come spesso siamo sul territorio, un riferimento per tutte le dinamiche positive in ordine alla promozione dell’essere ‘artigiani di pace'”.