Approcciarsi a un tema come quello delle migrazioni presenta qualche rischio. In primis, quello di non riuscire a definire correttamente, sul piano giuridico e normativo, l’immenso territorio del diritto internazionale in materia di ricerca e soccorso in mare. E, di conseguenza, di non calibrare le proprie azioni – oltre che le proprie considerazioni – nell’ottica fondante del rispetto della legislazione sancita dagli organismi internazionali. Fermo restando che la migrazione (e il fenomeno dei migranti in generale) si costituisce, seppur in modo differente in rapporto alle varie epoche storiche, come atto proprio della natura umana, la sfera del soccorso esula dal concetto di accoglienza.
Applicare il principio di assistenza a un’imbarcazione in difficoltà costituisce un dovere nel codice della navigazione, oltre che la più semplice delle norme umanitarie. Peraltro direttamente connessa alla condizione stessa del natante, piuttosto che di coloro vi sono imbarcati. “Spesso – ha spiegato a Interris.it Giuseppe Paccione, giornalista, professore presso l’Università Nicolò Cusano e autore del libro ‘Ricerca e soccorso in mare – Diritti e tutele nella cornice dell’Ordinamento giuridico internazionale marittimo’ (Nuova editrice universitaria) – si crea confusione per una mancata comprensione dello strumento del diritto internazionale”.
Professore, il suo testo si inserisce in un ambito estremamente dibattuto ma poche volte inquadrato correttamente dal punto di vista giuridico. In questo senso, un’opera simile risulta fondamentale.
“Se la legge del mare stabilisce l’obbligatorietà per tutti i comandanti, è a questo che ci si deve attenere per soccorrere coloro che sono in difficoltà. Si tratta, infatti, di salvaguardare la vita umana, ossia un principio sacrosanto che è sempre stato proprio dell’uomo, fin dall’antichità”.
Da dove parte la sua analisi?
“L’idea di questo libro è stata di concentrarmi partendo innanzitutto dagli elementi del diritto del mare, i parametri attraverso i quali viene definito, a cominciare dal mare territoriale, la zona economica esclusiva, quella contigua, la piattaforma continentali. E, attraverso di essi, ho inserito la questione dei diritti umani, conciliandola con il diritto internazionale del mare. Da qui, mi sono preoccupato di trattare altre tematiche, come la protezione internazionale del rifugiato e il rapporto con il diritto del mare”.
Abbiamo parlato di un dovere sancito dal Diritto internazionale. A livello prettamente normativo, quali sono i presupposti da applicare in fase di soccorso in mare?
“Dal momento in cui si soccorre, scatta la convenzione del rifugiato del 1951. Chiaramente, gli Stati si preoccupano maggiormente di valutare se un richiedente asilo o un rifugiato possa rientrare dalla normativa da essa stabilito. Ossia, che la protezione internazionale dev’essere data a coloro che rientrano nei parametri dell’articolo 33 della Convenzione. Chi è perseguitato per ragioni politiche, per guerra, razza o religione, la persona rientrerà senz’altro nella protezione internazionale, e lo Stato, una volta esaminata la situazione, se ne farà garante. Affinché la persona in questione non sia più soggetta al cosiddetto fumus persecutionis”.
Dove finiscono i principi internazionali e inizia la sovranità legislativa statale?
“Il diritto internazionale non impone l’accoglienza ma richiede di far valere i principi cardine dei diritti umani. La valutazione, ad esempio, viene fatta quando un immigrato viene soccorso e portato in un luogo sicuro. Dopodiché, spetterà a una commissione costituita da organi preposti che, assieme ai funzionari dell’Alto commissariato dei rifugiati, valuteranno anche in corrispondenza con l’ambasciata di appartenenza. Perché esistono molti casi di approdi senza documenti, in molti casi sequestrati al punto di partenza o addirittura prima”.
Chiaramente esiste una coincidenza, per entrambi gli attori, delle leggi in merito alla protezione e del rispetto dei diritti umani…
“Per fare in modo che la persona venga considerata rifugiata e che scatti la protezione internazionale, dovranno essere gli Stati stessi che, in base alle leggi interne per l’accoglienza – che dovranno coincidere con quelle internazionali -, procederà alla valutazione nel rispetto della loro stessa sovranità. A prescindere dall’obbligo di attenersi ai dettami internazionali sulla protezione dell’individuo, qualora un soggetto non sia ritenuto idoneo all’ingresso da parte della commissione, scatterebbe il principio della sovranità nazionale. Chiaramente, il processo di valutazione dovrà essere effettuato entro i limiti dettati dai diritti umani. Come stabilisce la nostra Costituzione, le norme internazionali sono superiori a quelle interne”.
Visto il loro ruolo attivo nel soccorso in mare, il quadro del diritto internazionale in quali termini fissa l’operato delle ong?
“Per quel che riguarda le ong, al pari di navi commerciali o da guerra, vige il medesimo principio: l’obbligo di soccorso è sacrosanto e applicato da secoli. Anche le ong sono tenute a quanto stabilito dal diritto internazionale marittimo: una volta salvate le persone, le loro navi costituiscono il primo luogo sicuro, chiaramente temporaneo. Il loro compito è quindi di approdare nello Stato più vicino, previo avviso al Centro marittimo internazionale, che grazie alle convenzioni Sar e Solas garantisce delle linee guida del salvataggio. Sarà poi compito dello Stato di destinazione procedere alla valutazione. In ogni caso, vige sempre l’aspetto della salvaguardia della sfera dei diritti umani. Come precisato anche dalle Nazioni Unite, alla base vi dev’essere il principio di solidarietà e cooperazione tra gli Stati e questo vale anche per le organizzazioni non governative. La comunicazione è in questo senso fondamentale. Gli strumenti ci sono ma vanno utilizzati in modo adeguato”.
A proposito di Solas e Sar: spesso ci si limita a una lettura superficiale di tali termini, non solo a livello di cronaca ma, sembra, anche di applicazione del diritto.
“Esistono anche le cosiddette zone regionali per il soccorso e la ricerca. C’è la convenzione di Amburgo che deve funzionare. Molte volte, ad esempio, da Malta sono state respinte delle imbarcazioni in direzione delle zone Sar italiana e libica. E questo non è corretto nei confronti di chi accoglie, poiché vigono dei doveri. Le migrazioni internazionale ci sono sempre state e difficilmente possono essere fermate con strategie come i blocchi navali”.
Nella fase di ricerca e soccorso convergono i principi di tutela sul piano umanitario e della salvaguardia dei diritti?
“Il dovere di prestare soccorso e assistenza alle persone in pericolo in mare ha dei parametri che vanno rispettati. Innanzitutto il principio di non discriminazione e, in secondo luogo, quello di estremo pericolo. Non ultimi, gli obblighi di bandiera di ogni Stato e quelli di Stato costiero. Sono doveri sanciti dal diritto internazionale dei migranti e ai quali gli Stati sono obbligati ad attenersi. Se c’è una situazione di tempesta, vige l’obbligo di intervento a imbarcazioni in difficoltà”.
E nel caso di imbarcazioni senza bandiera?
“Nel 2008, le Nazioni Unite avevano adottato due risoluzioni, vincolanti per tutti gli Stati, le quali sancivano che, nel momento in cui si soccorre un’imbarcazione messa in mare da organizzazioni transnazionali di natura criminosa, gli Stati sono obbligati in primis a salvare le vite. Dopodiché, soprattutto le navi da guerra, dovranno attenersi a quanto stabilito dalle risoluzioni di contrasto alla pirateria. In merito esiste anche la convenzione di Palermo“.
E cosa stabilisce?
“Il contrasto alle organizzazioni criminose in ambito migratorio, dal momento che queste sfruttano occasioni come queste per ottenere un tornaconto economico, trasportandola verso Paesi terzi attraverso mari difficoltosi e mettendone a repentaglio la vita. C’è poi la questione della protezione dell’applicazione dei diritti umani in mare. Nel libro sono tracciati una serie di fondamenti normativi e umanitari, come il diritto alla vita, il criterio della non discriminazione come corollario del principio di eguaglianza. E ancora, il diritto alla libertà di lasciare un Paese ma anche quello di farvi ritorno, il principio di ‘non respingimento’. Poco trattati, nel dibattito generale sul tema, i diritti del nucleo familiare: se una famiglia è stata separata, ad esempio, le autorità statali devono fare in modo che venga ricostituita e fornita delle attenzioni del caso. Ci sono poi altri diritti di cui non si parla, quelli ‘diversificati’, come quelli delle donne, dei minori, delle persone con disabilità e anche dei migranti lavoratori”.