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Nuovi metodi di valutazione didattica: la peer review e la peer assessment

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Le “nuove frontiere pedagogiche” della scuola moderna, in Italia e nel mondo occidentale, offrono spunti interessanti con l’obiettivo di ampliare gli ambiti di crescita degli studenti. Fra le sperimentazioni innovative, vi è quella che prevede che gli insegnanti invitino gli alunni, prima di assegnare un voto all’interrogazione di uno di loro, a esporre un’opinione; in altri casi, viene proposta una revisione reciproca di compiti scritti.

La prima domanda, per i non addetti ai lavori e per i genitori degli studenti, è se sia giusto o sbagliato. Il presupposto iniziale è ricordare come il giudizio valutativo dell’insegnante sia sempre pronunciato con intento formativo. Se, un tempo, il parere negativo espresso nella scuola primaria invadeva anche la sfera psicologica (oltre a quella didattica), oggi si tende a non demotivare e a non ridurre l’autostima; il giudizio, quindi, si spiega sempre più al positivo, a incoraggiare comunque.

Fermo restando che il momento della valutazione è uno strumento nelle mani del docente, questo, in determinate e programmate occasioni, può diventare un interessante momento di confronto e di crescita in aula.

La valutazione fra studenti corrisponde a un ulteriore sviluppo del concetto di responsabilizzazione e di autostima, in cui il ruolo dello studente diviene più attivo, di continuo confronto con se stesso e con gli altri, in cui si sente parte del processo formativo in atto. Nel rispetto dei ruoli con l’insegnante, l’alunno ha la possibilità di comprendere meglio le proprie competenze, confrontate con quelle degli altri. Può stabilire quali siano gli indicatori da utilizzare per le proprie strategie di apprendimento nonché provare a conoscere quali siano le difficoltà e le tecniche utilizzate dai docenti per esprimere un giudizio. Lo scopo è quello di consapevolizzare gli studenti e porli nella condizione di specchiarsi nelle performance del compagno.

Tale tipo di giudizio è altrimenti definito con accattivanti locuzioni inglesi, quali “peer review” (revisione fra pari) o “peer assessment” (valutazione fra pari).

I sostenitori del “peer assessment” ribadiscono il vantaggio che, la valutazione fra pari, offre in termini di pluralità di vedute e di opinioni nonché la possibilità di esaminare dentro al contesto, senza l’intervento di un soggetto esterno ed estraneo che potrebbe “inquinare” i risultati. In un processo di apprendimento attivo, di costruzione del sapere, superando un’ottica puramente “trasmissiva”, si facilitano la condivisione della formazione e la nascita di nuove metaconoscenze sviluppate dai ragazzi.

Il processo di confronto e di revisione con gli altri, sembra produrre un feedback più efficace dell’esame, pur importante, legato all’autovalutazione (che beneficia molto della valutazione fra pari). L’insegnante raccoglie il feedback che si origina in queste situazioni e che, se privo di tendenze giudicanti o di etichettature umane e sociali, può costituire un ulteriore strumento di apprendimento per il “gruppo classe”. La correzione reciproca è di grande importanza in presenza di testi anonimi e, quindi, scevri da possibili condizionamenti.

La valutazione fra pari nella scuola è il titolo di un volume curato da Valentina Grion ed Emilia Restiglian, professoresse in Pedagogia Sperimentale, pubblicato da Erickson nel gennaio 2020. Nella presentazione del volume si legge “Propone un modello che considera piuttosto la valutazione come un importante passo nel percorso di crescita degli allievi. Ancora poco diffusa in Italia, è stata oggetto di ricerche che ne hanno analizzato punti di forza e di debolezza”. Le autrici utilizzano la locuzione di “feedback generativo tra pari”: la risposta che gli alunni offrono, fra loro, nel momento in cui correggono un compito a vicenda. Il loro studio ha dimostrato che si apprende maggiormente fornendo il feedback anziché riceverlo dal compagno.

Occorre considerare, tuttavia, la possibilità che i giudizi dei ragazzi siano falsati da inimicizie personali, invidia e altri elementi soggettivi. La valutazione potrebbe risultare arbitraria e priva dei moderni metodi di valutazione, oggettivi e misurabili (griglie), a disposizione degli insegnanti. La griglia si basa su una serie di voci che richiamano esclusivamente la perfomance in modo oggettivo limitando la discrezionalità e senza indagare sulla persona.

Una valutazione scolastica, secondo quanto indicato dalla chiesa cattolica, deve rimanere legata all’aspetto didattico e non a quello umano, nel pieno rispetto della deontologia professionale e dei soggetti coinvolti (il giudice stesso, per esempio, si esprime sul reato, sull’atto in sé senza ingerenze sulla persona). Secondo il principio “non sei sbagliato ma hai sbagliato”, la critica e il voto fra ragazzi non deve giudicare la persona, i suoi comportamenti e ciò che vi è dietro (abitudini, eventuale scarso impegno), il vissuto e il ceto sociale. I giudizi devono esser misurati e al “non si è capito nulla” tendere a sostituire il “io non ho capito nulla”, affinché non si getti la responsabilità solo sul prossimo ma si effettui una sorta di introspezione.

Sono lontani i tempi in cui alcuni bambini (di una classe lasciata, temporaneamente, senza insegnante) erano investiti del potere di giudicare da soli gli altri e di scrivere i “buoni” e i “cattivi” sulla lavagna. Nella valutazione, è indispensabile non farsi condizionare dalla persona ma esprimere un parere solo sull’interrogazione in sé.

Occorre che, in tali occasioni, alcuni studenti non eccedano nel volersi far ammirare a tutti i costi, che non si atteggino a depositari del sapere e della legge, in forte competizione ma puntino, al contrario, all’inclusione, all’aiuto, al rispetto, alle pari opportunità.

La valutazione non deve fondersi con il giudizio e la critica, basate sulle apparenze e sul proprio sentire. “Non giudicate secondo l’apparenza, ma fate giusto giudicio” (Gv.7,24).

Il riferimento, evangelico, alla pagliuzza del fratello e non la trave presente nel proprio occhio, è rivolto proprio a non eccedere nel giudizio e al non utilizzare, per vanagloria e autocompiacimento, gli errori altrui. Ricordare, quindi, l’insegnamento cristiano del non giudicare un errore bensì avvertire del fatto che sia avvenuto e aiutare a non commetterlo altre volte (accrescendo anche il proprio senso di discernimento e la propria cultura). Santa Teresa di Calcutta ricordava “Se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle”.

In attesa di conoscere, a breve, gli esiti definitivi riguardanti i corsi di recupero dei primi 4 anni di scuola superiore, è possibile valutare quelli della scorsa “maturità”. La rivista Tuttoscuola.com, fonte di informazione e approfondimento privilegiata sulla scuola, al link https://www.tuttoscuola.com/maturita-2021-tutti-promossi-o-quasi-migliorano-i-risultati-pubblicati-gli-esiti/, il 23 luglio scorso ha riportato i dati sull’esito degli esami di maturità “Quest’anno è stato ammesso all’Esame di Stato del secondo ciclo il 96,2% dei frequentanti. I diplomati risultano essere il 99,8% delle studentesse e degli studenti che hanno sostenuto l’esame (erano il 99,5% nell’anno scolastico 2019/20). I diplomati con lode sono il 3,1% rispetto al 2,6% di un anno fa. I docenti hanno assegnato la lode a 15.353 studentesse e studenti. La Puglia è la Regione con la percentuale più alta di 100 e lode, il 5,9%. Al Sud in generale la percentuale più alta di 100 si trova invece in Calabria (17,5%), segue a ruota la Sicilia (16,6%). Più di un diplomato su due prende un voto superiore a 80: il 52,9% delle studentesse e degli studenti si colloca infatti nella fascia di valutazione 80-100, rispetto al 48,9% dell’anno scorso. Praticamente stabili le valutazioni comprese tra 91 e 99 (al 15,6%) e nella fascia di voto 81-90 (passati dal 21,1% al 20,7%)”.

Con la DAD si è avuta una diminuzione nell’utilizzo della peer assessment poiché il confronto “digitale” fra i ragazzi si è mostrato non sempre agevole e si è preferito puntare sui contenuti essenziali della didattica e su una valutazione di tipo tradizionale. Ora si è prossimi all’inizio di un nuovo anno scolastico, con sfide molto impegnative non soltanto dal punto di vista prettamente didattico.

Il “dopoDAD” deve essere soggetto, principalmente, a una parola d’ordine: inclusione. Da qui si può ricominciare, senza perdersi gli “ultimi”, quelli più in difficoltà, spesso per problemi indipendenti dalla loro volontà cosicché, nel confronto umano e spirituale, possano trovare il giusto trampolino di lancio. Il passo per una degenerazione verso una valutazione tra “impari” anziché “pari” è breve: il mito del giudizio (e del voto) dia precedenza all’inclusione assoluta.

Marco Managò: