“Oggi la mafia non si manifesta più con clamorosi episodi sanguinari, attentati ‘rumorosi’ allo Stato o omicidi illustri. I fatti di sangue del passato hanno determinato una risposta forte e articolata del nostro sistema statale e le organizzazioni criminali si sono riorganizzate per massimizzare i loro profitti. Questo significa che se la mafia è silente, non per questo è inattiva o meno pericolosa”. Sono le parole del Prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della Polizia criminale, intervistato da Interris.it.
Chi è il Prefetto Vittorio Rizzi
Classe 1959, si è laureato in Giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli e in Scienza della Pubblica Amministrazione all’Università di Catania. Il suo servizio nella Polizia di Stato inizia nel 1989 come funzionario addetto alla Sala Operativa della Questura di Roma. Ricopre ruoli di rilievo, partecipando a gruppi investigativi per la cattura di latitanti e per le indagini sul periodo stragista 1992/1995 per gli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le loro scorte, e gli attentati di Via Palestro a Roma e di Via Georgofili a Firenze e al Gruppo Investigativo “Marco Biagi” a Bologna, con la direzione delle investigazioni che hanno portato all’arresto dei brigatisti rossi responsabili dell’attentato. Ha diretto la Squadra Mobile di Milano e quella di Roma. E’ stato Direttore dell’Ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi, Responsabile della sicurezza della sede istituzionale del Governo. Dal maggio 2016 a marzo 2019 è Direttore della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. E’ il fondatore della Scuola dell’investigazione di Nettuno.
E’ presidente dell’Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazioni nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso (post Covid 19). E’ Co-presidente (insieme al Direttore Esecutivo di Europol) del Nex Generation Eu Law Enforcement Forum sul rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel piano di attuazione del Next Eu Generation. Il prefetto Vittorio Rizzi presiede diversi organismi internazionali, tra cui il Comitato interministeriale di direzione del programma per l’attuazione dei regolamenti UE dell’interoperabilità, l’Organismo permanente di supporto al centro di coordinamento per le attività di monitoraggio, analisi e scambio permanente di informazione sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti; l’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori); il Gruppo Integrato Interforze per la Ricerca dei Latitanti (GIRL); il Gruppo Centrale Interforze Ma.Cro (Mappa della Criminalità Organizzata).
L’intervista
Siamo di fronte ad un’accelerazione impressionante che sta interessando ogni aspetto della nostra vita. Un mondo sempre più tecnologico e interconnesso. Tutto questo sta influendo anche sul modo in cui la criminalità organizzata gestisce i propri affari criminali?
“Viviamo un tempo che non ha eguali nella storia per le trasformazioni a cui abbiamo assistito in una manciata di anni, dove la rivoluzione digitale e il progresso tecnologico hanno coinvolto ogni aspetto della nostra esistenza, offrendoci straordinarie opportunità ma anche pericoli simmetrici. Trasformazione che ha inevitabilmente coinvolto anche le organizzazioni criminali che hanno strutture agili capaci di adattarsi rapidamente ai cambiamenti per massimizzare i loro profitti illeciti. Accanto al rapido cambiamento della nostra società, siamo stati testimoni della profonda metamorfosi delle mafie che si sono trasformate da organizzazioni a carattere locale e rurale a vere e proprie holding criminali. Appartiene ormai alla storia e ai romanzi l’immagine del mafioso, armato di lupara e coppola, che gestisce i suoi affari sporchi in piccoli paesini del Sud Italia. Oggi i mafiosi sono imprenditori, si avvalgono di ingegneri, informatici ed esperti dell’alta finanza per un business che è globale. Tra tutte quella più pericolosa e con strumenti criminali d’avanguardia è la ‘ndrangheta, diffusa in tutto il mondo e sicuramente radicata in almeno 40 Paesi. Oggi, più che in passato, le mafie ‘fanno cartello’, hanno bisogno di relazioni e connessioni con organizzazioni criminali di tutto il mondo per gestire affari internazionali. Ci sono luoghi come la Tripla Frontera, una porzione di territorio al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay, dove sono presenti e lavorano insieme tutte le più pericolose reti criminali mondiali (il comando vermelho brasiliano, la yakuza giapponese, la mafia cinese, taiwanese e russa e, naturalmente, la ‘ndrangheta) per spartirsi i guadagni del traffico di cocaina diretto nel Vecchio Continente. Oggi la mafia non si manifesta più con clamorosi episodi sanguinari, attentati ‘rumorosi’ allo Stato o omicidi illustri. I fatti di sangue del passato hanno determinato una risposta forte e articolata del nostro sistema statale e le organizzazioni criminali si sono riorganizzate per massimizzare i loro profitti. Questo significa che se la mafia è silente, non per questo è inattiva o meno pericolosa. Il denaro è la vera linfa vitale delle organizzazioni criminali. Non a caso il giudice Falcone più di trenta anni fa, in maniera lungimirante, individuò la strada maestra da seguire per sconfiggere le mafie: seguire il denaro (follow the money). Bisogna parlare dunque di organizzazioni internazionali criminali, e per questo motivo la cooperazione internazionale di polizia è uno strumento essenziale per combattere il nemico”.
Considerato il suo brillante percorso professionale e la sua esperienza pluriennale di investigatore, cosa l’ha più sorpresa di questa metamorfosi criminale?
“Nella mia esperienza professionale per anni ho coordinato investigazioni contro organizzazioni terroristiche e criminali, iniziando a lavorare negli anni ‘80 quando non esisteva internet e i cellulari. Il mondo oggi è completamente diverso e sono nati tanti nuovi strumenti e tecnologie che hanno inciso sul modo di investigare per essere al passo con il mutato modo di operare della criminalità. Sicuramente quello che mi ha colpito maggiormente è il rapido cambiamento del modo di comunicare delle organizzazioni criminali. Il lessico delle mafie delle stragi era chiuso, quasi sconosciuto: i mafiosi comunicavano tra di loro tramite pizzini nascosti nei posti più disparati. Oggi, invece, anche la mafia parla una lingua diversa, ‘al passo con i tempi’. Solo qualche anno fa la figlia di Totò Riina, nel ricordo della morte del padre, ha postato una foto emblematica su Facebook, con un dito avvicinato alle labbra in segno di silenzio: una sorta di omertà 2.0. Oggi sono scomparsi i pizzini, troppo rischiosi e antichi: le mafie comunicano sulle piattaforme criptate per essere in contatto con le organizzazioni di tutto il mondo e gestire i loro sporchi affari milionari in modo sommerso, nel darkweb. Come forze di polizia siamo consapevoli della nuova minaccia e, a livello internazionale, agenzie come Europol ed Interpol lavorano proprio per favorire la cooperazione internazionale di polizia su queste nuove sfide. E i risultati operativi conseguiti ci stanno dando ragione”.
Di fronte alle nuove sfide che derivano dal progresso e dalla globalizzazione, in cui l’uomo sembra aver perso la propria centralità a scapito delle nuove tecnologie in grado di compiere le nostre stesse attività in modo più rapido e con minore margine di errore, le chiedo, anche il ruolo dell’investigatore sarà sempre più marginale, lasciando spazio a tecnologie futuristiche?
“Sono convinto che l’intelligenza e la sensibilità umana rimarranno centrali. Oggi siamo in una terra di mezzo, tra un presente che è già passato e un domani che appare incerto nella centrifuga di processi evolutivi accelerati e globalizzati: l’era digitale è già passata e siamo già prossimi alla soglia di una nuova era, non più così lontana, quella quantistica. Il codice binario dell’era digitale sta lasciandolo il passo al bit quantistico con l’avvento dei ‘quantum computer’, i ‘Qubit’, in grado di elaborare informazioni sempre più sofisticate e in modo sempre più veloce. La scommessa che viviamo è di andare ancora oltre, dotare le macchine di una risorsa propria dell’essere umano che è l’intuito, in grado di coniugare il sapere scientifico con l’esperienza. L’euristica è la nuova frontiera, con l’introduzione del ragionamento per approssimazione. D’altronde le macchine vengono già da tempo sperimentate in diversi software predittivi del crimine, che hanno l’obiettivo di scongiurare il pericolo prima che avvenga. Ma questi strumenti, pur sofisticati e potentissimi, saranno sempre al servizio dell’intelligenza umana. Le macchine posseggono algoritmi ed effettuano calcoli matematici, ma gli uomini hanno le emozioni e dispongono di intuizioni uniche, non replicabili da qualsiasi sofisticata intelligenza artificiale”.
Ad oggi quali sono le minacce più pericolose che le forze di polizia italiane si trovano ad affrontare?
“Sicuramente il cybercrime è la realtà più preoccupante. La cronaca di tutti i giorni ci parla di attacchi cyber contro aziende o organizzazioni statali di tutto il mondo (strutture sanitarie, sistemi di trasporto, servizi di intelligence) volte a carpire informazioni, o semplicemente a produrre i cosiddetti Denial of Service. Oggi il mondo digitale ha superato il mondo fisico e alcune fattispecie criminose, tipicamente associate al modus operandi delle grandi organizzazioni criminali di stampo mafioso, si sono trasferite nel web, come le estorsioni. Le maggiori e più quotate aziende, private e pubbliche, al mondo hanno subito un attacco ransomware: un malware in grado di impossessarsi dei dati di intere reti di nodi, rendendoli inaccessibili tramite una crittografia, al fine di richiederne un riscatto per il ripristino della funzionalità. E il pagamento? Nella maggior parte dei casi parliamo, naturalmente, di criptovalute. Parlando di sfide future, poi, non possiamo non citare i nuovi scenari che si stanno cominciando a intravedere con l’avvento del Metaverso e appunto delle criptovalute. Strumenti che trasferiranno sempre di più il contrasto alle organizzazioni criminali dalla strada al mondo di internet. La Polizia di Stato ha giocato d’anticipo, già intravedendo queste potenziali minacce. Non a caso nel corso degli ultimi anni ha potenziato il Servizio della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Oggi abbiamo a disposizione strumenti performanti e personale altamente qualificato e specializzato, in grado di fronteggiare una minaccia ibrida, molte volte di provenienza sconosciuta, che cambia continuamente”.
Troppo spesso sentiamo storie tragiche di persone, specialmente ragazzi, vittime di odio online e di cyber-bullismo. Quanto è pericoloso il fenomeno dell’odio sul web e quali sono le iniziative messe in campo per arginarlo?
“E’ una minaccia gravissima, al vertice delle agende di tutte le agenzie che si occupano di sicurezza, di educazione, oltre che di politica. I social network possono essere uno strumento molto pericoloso se usati nel modo sbagliato. L’ambiente digitale – e in particolare quello dei social network- ha un potere moltiplicatore anche nella diffusione dell’odio, che una volta immesso in rete presenta una notevole capacità di persistenza e resistenza associato al senso di impunità che ne deriva dalla percezione di essere protetti dall’anonimato. Gli hater spesso non percepiscono la gravità dei loro messaggi d’odio e la sofferenza delle vittime, che non sono virtuali ma persone in carne e ossa. Tanti studi hanno infatti dimostrato che quegli stessi odiatori non insulterebbero, umilierebbero, denigrerebbero se il loro interlocutore fosse presente. In ordine alla strategia di contrasto agli hate speech on line, la natura stessa del web fa emergere la necessità di un approccio condiviso a livello internazionale. Il dibattito a tal riguardo oscilla tra due opposte posizioni: prevedere una più rigida regolamentazione della rete per ostacolare la diffusione di opinioni discriminatorie non rispettose della dignità umana, oppure chi ritiene che limitare la libertà di espressione on line comporterebbe un’eccessiva compromissione della libertà di manifestazione del pensiero. La scelta operata dall’UE è stata la sottoscrizione nel maggio del 2016 di un codice di condotta tra Commissione europea e Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube. Inoltre, lo scorso 5 luglio, il parlamento europeo ha approvato il Digital Service Act che appena diventerà operativo andrà a modificare il precedente regime di responsabilità dei fornitori di servizi digitali, al fine di rendere più sicuro l’ambiente virtuale nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla carta europea. Su questo tema mi sento di dire che stiamo facendo il massimo sforzo per sensibilizzare le persone. All’interno del Dipartimento di Pubblica Sicurezza abbiamo una struttura che solo pochi altri Stati al mondo possono vantare: un Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti Discriminatori, ovvero un osservatorio formato da poliziotti e carabinieri che si dedica esclusivamente ad attività di monitoraggio e sensibilizzazione sugli hate crimes e gli hate speech. Anche qui, la strada è ancora lunga, ma posso assicurare che gli sforzi per rendere il web un luogo più sicuro sono tra le nostre priorità”.
Eppure, nonostante il progresso e l’innovazione tecnologica, siamo tornati a vivere tragedie, come la guerra, che ritenevamo appartenessero al passato. La drammaticità del conflitto alle porte dell’Europa che stiamo vivendo, così come le emergenze che abbiamo affrontato negli ultimi anni, penso in questo caso alla pandemia, incide anche sui business criminali?
“Il tempo recente che abbiamo vissuto è stato segnato da continui avvenimenti che hanno determinato situazioni emergenziali. L’emergenza è ormai la condizione che caratterizza il nostro vivere. Pensiamo all’economia, con il divario che si accentua sempre di più tra economia reale (fatta di professioni, commercio, servizi, immobili) e mercati finanziari (fatti di liquidità, finanziamenti, titoli e derivati) che ha portato alla formazione di bolle speculative pericolosissime con il fallimento di interi asset economici. Pensiamo alle dinamiche sociali, in cui abbiamo vissuto l’emergenza figlia delle proteste e delle agitazioni di piazza delle primavere arabe che hanno interessato diversi paesi delle regioni del Nord Africa e del Medioriente, tra il 2010 e il 2011. A distanza di oltre 10 anni, le istanze civilizzatrici che avevano alimentato le proteste non hanno prodotto in quei paesi l’avvio dei necessari percorsi di riforme politiche e sociali, lasciando una forte instabilità e terreno fertile per l’emersione di movimenti terroristici, con i gruppi jihadisti capaci di giungere sulle sponde del mediterraneo e di alimentare crescenti flussi migratori clandestini di persone ai limiti della sopravvivenza. E ancora l’emergenza degli ultimi due anni: la globale crisi pandemica che, con effetto domino, tutto il mondo si è trovato a fronteggiare con un dilagare dirompente, espressione della rapidità dei flussi della globalizzazione che non esclude alcun campo, figurarsi quello epidemiologico. E da ultimo, a partire dal maledetto 24 febbraio di quest’anno, la nuova emergenza è quella dettata dallo scoppio della guerra nel cuore dell’Europa, che ha portato fino ad oggi a circa 30 mila vittime, ad un flusso stimato di 14 milioni di profughi e allo spettro dell’atomica. Insomma, l’emergenza oggi è diventata la nostra normale quotidianità e questa consapevolezza deve sostenere quello spirito di resilienza capace di offrire risposte agili e tempestive. La vera sfida non è quella di chiedersi quale sarà la prossima emergenza ma essere in grado di sviluppare e potenziare una forte capacità di adattamento per fronteggiare scenari in continua evoluzione, compreso quello criminale. A questo panorama, si associa la consapevolezza che la criminalità è in grado di trasformare ognuna di tali emergenze in grandi opportunità di guadagno. Per questo il compito del law enforcement è solo uno e mi piace ribadirlo: quello di anticipare la minaccia”.