Studi recenti, a livello internazionale, hanno posto in essere le profonde diversità fra due atteggiamenti di apprendimento, quello della mentalità fissa (fixed mindset) o in crescita (growth mindset), adottati per fronteggiare le sfide e gli obiettivi della vita. La mentalità fissa è caratterizzata dalla staticità e dalla sicurezza di aver innate capacità. La mentalità crescente, dinamica, si fonda, invece, sulla convinzione che si possa sempre migliorare, con il sacrificio e l’impegno. Una idealizza il talento, l’altra l’ingegno. Un grande cantante e un ottimo calciatore sono bravissimi grazie al talento innato o perché si sono applicati severamente?
Intelligente si nasce o si diventa? Quanto pesa il DNA? La domanda, che si pone da secoli, su cui si sono arrovellati (e scontrati) studiosi, psicologi, filosofi e medici, riguarda la questione, irrisolta, se essere intelligenti sia una dote innata o acquisita nel tempo; su quanto conti l’aspetto genetico o quello determinato dall’ambiente. Un tempo, per designare la mentalità e la struttura del pensiero, si usava la locuzione latina “forma mentis”, in grado di comprendere la dinamica del ragionare, sulla base del temperamento, del talento, delle esperienze e dell’insegnamento ricevuto.
Il motto “conosci te stesso”, inciso sul tempio di Apollo a Delfi, è ripreso da Socrate che invitava a ricercare la verità e il bene presenti nella propria anima infinita e a svilupparli. Anche Sant’Agostino, invitava a scrutare nella profondità dell’anima, grazie alle illuminazioni di carattere divino che pervengono alla mente.
Nella società attuale, supercompetitiva e fondata sulla dicotomia successo/fallimento, occorre valutare le strade percorse, soprattutto dai giovani; se prevalga l’atteggiamento fixed, growth o, come più plausibile, un giusto mix.
L’intuizione è frutto del lavoro di una psicologa statunitense, Carol Dweck che, con diverse pubblicazioni, ha distinto i due atteggiamenti cognitivi ed esperienziali. La studiosa ha precisato come la mentalità fissa si leghi al presupposto che la propria intelligenza sia innata, mentre quella di crescita si fondi sulla costruzione continua.
Riguardo alle capacità, all’impegno e al successo, Papa Francesco, nel 2018, ha avvertito affermando “Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili. Questa insicurezza genera nell’uomo ansie primarie […] La natura umana, per sfuggire alla precarietà – la precarietà è il deserto – cerca una religione ‘fai-da-te’: se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura. […] Il vitello aveva un senso duplice nel vicino oriente antico: da una parte rappresentava fecondità e abbondanza, e dall’altra energia e forza. Ma anzitutto è d’oro, perciò è simbolo di ricchezza, successo, potere e denaro. Questi sono i grandi idoli: successo, potere e denaro. Sono le tentazioni di sempre! Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano, perché l’idolo sempre schiavizza. […] Ma tutto nasce dall’incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia Lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore. Questo permette di sostenere anche la debolezza, l’incertezza e la precarietà. Il riferimento a Dio ci fa forti nella debolezza, nell’incertezza e anche nella precarietà. Senza primato di Dio si cade facilmente nell’idolatria e ci si accontenta di misere rassicurazioni”.
Giovanni Madonna e Michela Piccolo, psicologi e psicoterapeuti, sono gli autori del volume “Ecologia della mente e sviluppo psichico” (sottotitolo “La forma aperta”), pubblicato da “Mimesis” il 10 febbraio scorso. Il volume “Elabora i fondamenti di una psicologia dello sviluppo […] articolata in nove tesi, si propone come ponte necessario fra ‘l’ecologia della mente’ e le pratiche professionali (psicologica, pedagogica, psicoterapeutica, riabilitativa, medica). Un ponte epistemologicamente coerente e pertanto professionalmente utile. Permettendo così alle implicazioni pratiche, etiche e politiche di un’epistemologia connettiva, di poter essere incarnate nei processi interattivi relativi a quelle professioni”.
L’errore è una sorta di prova decisiva: chi cerca di evitarlo a tutti i costi, frenandosi nei processi cognitivi e lo vive, quando si verifica, come un atroce fallimento; chi cerca di farne tesoro, non si abbatte e prosegue. Accanto al tipo diverso di mentalità, è presente anche una questione legata agli obiettivi e al modo per conseguirli. Il tipo di approccio è fondamentale. Ve n’è uno mirato alla padronanza, in cui l’individuo cerca di dare il meglio di sé e di potenziare le capacità, contro uno dedito all’ego, in cui si ha la forte convinzione del proprio talento smisurato che non ha bisogno di esercizio.
Il primo si basa sul miglioramento e sul sacrificio, l’altro sulla pura competizione con il prossimo. Uno è in grado di costruire, con il prossimo, il proprio futuro, l’altro non è in grado di reggere un eventuale fallimento. Il ricorso alla giusta mentalità (individuando quella più inerente alla propria personalità) e al corretto connubio, deve produrre un sano equilibrio a livello mentale e non creare ulteriori angosce. Il quadro dei disagi mentali, infatti, è già abbastanza elevato, come si desume dal testo che segue.
La “Sintesi dei risultati principali – Rapporto salute mentale”, pubblicata nel dicembre scorso dal ministero della Salute e visibile al link https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3282_0_alleg.pdf, presenta alcuni dati relativi al 2021. Fra questi, si legge “Gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2021 ammontano a 778.737 unità (mancano i dati della Regione Calabria) con tassi standardizzati che vanno da 113,7 per 10.000 abitanti adulti nel Lazio fino a 363,2 nella P.A. di Bolzano (valore totale Italia 158,4). Gli utenti sono di sesso femminile nel 53,6% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (67,3%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 45-54 anni e 55-64 anni (47,1% in entrambi i sessi); le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe > 75 anni (5,6% nei maschi e 9,0% nelle femmine). Nel 2021 i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno (utenti al primo contatto) con i Dipartimenti di Salute Mentale ammontano a 289.871 unità di cui il 94,8% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita (first ever pari a 274.804 unità). […] I tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi da abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile, mentre l’opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. In particolare per la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile è quasi doppio rispetto a quello del sesso maschile (25,6 per 10.000 abitanti nei maschi e 43,5 per 10.000 abitanti nelle femmine) Le prestazioni erogate nel 2021 dai servizi territoriali ammontano a 9.148.068 con una media di 12,6 prestazioni per utente”.
Il riferimento che punta a spiegare la dicotomia tra fisso e variabile, si risolve e perviene, negli articoli e nei libri, quasi sempre al solo aspetto motivazionale, con promesse e consigli per giungere al “successo”. La mentalità, tuttavia, è di più: una sana costruzione di se stessi e un mezzo per accrescere le proprie capacità, abilità, cognizioni e cultura, senza l’obbligo di dover primeggiare a tutti i costi. Si eviterebbe il disagio mentale dovuto al fallimento dell’obiettivo. Il diverso apprendimento si sviluppa sin da piccoli, a scuola, dove si prepara il giusto rapporto con lo studio e dove, un’esagerata fiducia nei propri mezzi, potrebbe condurre a un rilassamento. La mentalità fissa presenta il suo tallone d’Achille nel non essere in sintonia con le novità e, quindi, con il cambiamento, con la società che evolve (o involve). Rimane confinata nel dover sempre dimostrare qualcosa: la propria abilità, la propria intelligenza.
Nel distinguere le due fattispecie, tuttavia, spesso si corre il rischio di generalizzare, e soprattutto, di polarizzare: un individuo non può sempre ragionare in modalità fissa né sempre in crescita. Non tutti gli individui sono così classificati e inquadrabili. Per quanto l’indole e il DNA tendano a configurare l’atteggiamento del singolo, è plausibile che, a volte, si deroghi, soprattutto in considerazione degli innumerevoli saperi posti dal mondo contemporaneo. Cogliere e studiare le particolarità di un metodo è fondamentale ma, nel criticare la tendenza alla mentalità fissa, non bisogna cadere nello stesso errore di fissità del “bianco e nero”: che non ci possa essere osmosi, un “grigio”. Anzi, è auspicabile che persone con strutture diverse possano dialogare e confrontarsi, affinché l’uno possa completare l’altro. Sono necessarie, in questo caso, doti di empatia, di ascolto, curiosità e flessibilità.
I due metodi non sono stagni né quello fisso deve essere considerato, necessariamente e completamente, negativo né quello in crescita si rappresenta come la perfezione. La mentalità fissa non implica, inevitabilmente, presunzione:si può essere consapevoli delle proprie padronanze in un determinato contesto ma si è altrettanto certi del non esserlo in altri saperi o attività. Allo stesso tempo, una deriva dell’individuo “in crescita” potrebbe essere quella di considerarsi capace di raggiungere, con il sacrificio, qualsiasi obiettivo, al limite della tuttologia. Le neuroscienze insistono sulla duttilità e sulle capacità di evoluzione del cervello, a testimoniare come il confine tra fisso e variabile non sia netto ed eterno.
Esasperare e difendere la propria “bandiera”, con eserciti l’un contro l’altro armati, è inutile e controproducente. Il fatto stesso di contrapporre sempre le due attitudini e di considerarle come reparti a se stanti, sottende quel “versus” che richiama all’essere contro, a chi è nel giusto e chi è nel male, allo scontro. L’umanità non è divisa in due: fissi e crescenti. Non si trova, obbligatoriamente, dinanzi a un bivio o un’inevitabile scelta di campo, con relative “tifoserie”.