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La mina-Iran nel “grande gioco” del Medio Oriente

Medio

Foto di ErikaWittlieb da Pixabay

Appello papale per la pace in Medio Oriente. Il Pontefice invita a pregare “per la Palestina e Israele, perché ci sia la pace, affinché il dialogo porti buoni frutti: no alla guerra, sì al dialogo”. Nella solennità della Pentecoste è una preghiera quella che papa Francesco eleva per la fine di tutte le guerre. “Che lo Spirito porti i responsabili delle nazioni e tutti noi ad aprire porte di pace“, invoca Jorge Mario Bergoglio. “Doni ai governanti il coraggio di compiere gesti di dialogo, che conducano a porre fine alle guerre“, afferma il Pontefice, con il pensiero sia al Medio Oriente sia agli ultimi sviluppi in Ucraina, soprattutto sul fronte di KharkivStefano Polli è vicedirettore dell’agenzia Ansa dal 2014. In precedenza è stato caporedattore del servizio diplomatico e della redazione esteri dell’Ansa. È stato inviato speciale, seguendo importanti avvenimenti come la prima guerra del Golfo, le guerre nei Balcani, la guerra civile albanese, la guerra Etiopia-Eritrea. Ha inoltre partecipato ad alcuni dei più importanti summit europei ed internazionali (Ue, Onu, G7, G20, Nato). Ha intervistato in esclusiva Fidel Castro a Cuba ed è stato tra i primissimi giornalisti occidentali a recarsi, nel 2000, in Corea del Nord. È analista di politica e diplomazia internazionale, e docente di giornalismo presso l’università Lumsa.

Foto di MohammadAli Dahaghin su Unsplash

Sfida

La sfida dell’Iran nel ‘Grande gioco’ mediorientale rimane lì sul tavolo, anche dopo la morte del presidente Raisi, ma, nel medio termine, qualcosa potrebbe cominciare a cambiare – spiega Polli-. La strategia di politica estera dei mullah negli ultimi anni è stata centrata su tre punti molto chiari. Isolamento di Israele e aumento contenuto della tensione con lo Stato ebraico, alleanze strategiche con altre autocrazie, a cominciare della Russia, e cauto avvicinamento al mondo sunnita, cominciando con l’Arabia Saudita. La guerra in Ucraina e quella a Gaza, dove l’Iran ha svolto e svolge un ruolo importante, hanno da un lato reso evidenti e spinto i primi due punti, ma hanno anche fermato il percorso del terzo punto, quello che avrebbe potuto potenzialmente disegnare un nuovo Medio Oriente. Prosegue Polli: “La guerra in Ucraina ha portato ad una stretta alleanza militare con la Russia, alla quale l’Iran ha fornito, tra l’altro, i droni che sono stati uno dei punti di forza della controffensiva in Ucraina. La guerra a Gaza ha portato la tensione con Israele a livelli altissimi culminati con il primo attacco iraniano in territorio israeliano e alla risposta di Tel Aviv. In entrambi i casi, per fortuna, i due contendenti hanno tenuto ben saldo il piede sul freno limitandosi ad attacchi più simbolici che altro. Nella consapevolezza che si era arrivati sull’orlo del burrone di una devastante guerra regionale“.

Gaza. Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash

Nuovo dialogo

“Ma la guerra di Gaza ha avuto l’effetto di bloccare il dialogo avviato tra Arabia saudita e Israele per un accordo simile a quelli di Abramo che avevano già legato lo Stato ebraico a Bahrein, Emirati Arabi, Marocco e Sudan. Questo è stato uno degli effetti collaterali più importanti nel nuovo disegno geopolitico del Medio Oriente allargato – analizza Polli-. L’Iran è lo sponsor di movimenti come Hezbollah, Houthi e Hamas che da Teheran vengono finanziati e appoggiati politicamente oltre a ricevere rifornimenti bellici, know how e addestramento. L’attacco del 7 ottobre ha avuto una valenza politica importante proprio nel bloccare il nuovo dialogo tra Tel Aviv e Riad. Ma, allo stesso tempo, ha fermato anche il disgelo tra Teheran e Riad che da poco avevano riallacciato le relazioni diplomatiche dopo anni di gelo e tensioni”. L’esperto evidenzia che l’artefice di questo riavvicinamento è stata quella Cina cha da tempo sta aumentando la sua influenza in Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa. In questa fase è invece ripartito, in maniera sotterranea, il dialogo fra Israele e Arabia saudita. La morte improvvisa di Raisi non cambierà la postura di Teheran in tempi brevi, ma le elezioni anticipate costringeranno probabilmente i vertici di Teheran ad affrontare in anticipo il tema della successione di Khamenei, 84enne e, secondo voci ricorrenti, gravemente malato. Non è un mistero che Raisi, uomo durissimo nel combattere gli oppositori e nel reprimere ferocemente le proteste di piazza, era in pole position per una naturale successione a Khamenei.

Un momento delle commemorazioni al generale Soleimani – Foto © Nazanin Tabatabaee per WANA e Reuters

Medio Oriente in fiamme

Stefano Polli aggiunge che i Pasdaran stanno diventando progressivamente più potenti e che il ruolo dell’esercito sta crescendo molto. Gli equilibri interni del regime stanno insomma mutando, per quanto possano mutare all’interno di un sistema rigido ed autocratico. Da questa situazione potrebbero arrivare cambiamenti all’interno degli equilibri del regime, anche in direzione di un’ulteriore maggiore durezza nella proiezione internazionale di Teheran.  “Se non c’è il cessate il fuoco e l’appello non viene raccolto, è motivo di ulteriore sofferenza e il fuoco produce altro fuoco”. Ne è convinto il cardinale Matteo Zuppi. A Gorizia il presidente della Cei è intervenuto sul conflitto tra Hamas e Israele a margine di una lectio magistralis al Dipartimento di scienze diplomatiche. “Ci riguardano tutte le guerre, anche quelle che sembrano più distanti e circoscritte. Sono sempre davvero dei pezzi della guerra mondiale. Ci preoccupano molto e dobbiamo davvero continuare a fare di tutto per arrivare alla pace. Ecco perché il Papa chiede il cessate il fuoco con tanta insistenza”. Parlando ai giovani presenti, futuri diplomatici, il presidente della Cei ha insistito dicendo che bisogna “potenziare la diplomazia, credere nella diplomazia, che non è soltanto pasticcini e perdita di tempo, ma è ciò che può permettere l’identificazione degli strumenti tali da risolvere i conflitti che ci sono e ci saranno non con la logica del più forte o con quella delle armi, che è temibile, oltre che inaccettabile e non risolve mai i conflitti, ma li peggiora, bensì con il diritto“. Per il cardinale “c’è bisogno di tanta diplomazia e anche di diplomazia umanitaria. Di quelli che si occupano di umanitario, che tendenzialmente dovrebbero essere tutti, perché non siamo isole, possano aiutare la diplomazia, cioè a intendersi, costruire ponti, imparare un linguaggio comune, a conoscersi”. 

 

 

 

Giacomo Galeazzi: