Il ruolo dei mediatori per fermare la guerra in Medio Oriente. Mentre infuriano i conflitti in Terra Santa e in Ucraina riecheggia quanto mai attuale l’appello di Benedetto XV contro l’inutile strage. Ossia la lettera inviata nel 1917 da papa Giacomo della Chiesa ai capi dei popoli belligeranti durante la prima guerra mondiale. Turchia, Egitto e Qatar. Sembra limitato a questi tre attori il possibile ruolo di mediatore nel conflitto tra Israele e Hamas. Paesi che mantengono canali aperti con Hamas da un lato, interessi comuni e dialogo con lo Stato ebraico dall’altro. Il presidente turco Recep Tayyip è impegnato in un esercizio di equilibrismo diplomatico. Che però, osserva l’Agi, non sembra in grado di produrre i risultati sperati. Erdogan non ha mancato di puntare il dito contro “gli attacchi disumani“. E la “reazione sproporzionata di Israele”.
Ruolo dei mediatori
Il leader turco ha più volte parlato di “massacro che sta diventando genocidio“. E ha rilanciato la soluzione dei due Stati. E’ altresì evidente come, rispetto al passato, il presidente turco abbia moderato le uscite contro lo stato ebraico. Concentrandosi sul lato umanitario. Agi sottolinea anche come stavolta non vi sia stata alcuna convocazione per l’ambasciatore israeliano ad Ankara. E’ passato appena un anno, infatti, dalla nomina di nuovi ambasciatori. Culmine di un processo di normalizzazione durato due anni, dopo una crisi iniziata nel 2010. Una crisi sanata in nome di comuni interessi, soprattutto in ambito energetico, che hanno limitato le uscite del presidente turco. In passato Erdogan si era guadagnato il titolo di “re di Gaza”. Allo stesso tempo non sono mancate le pressioni su Ankara, richieste di mediare al rilascio degli ostaggi da parte di Hamas. Alcuni leader del movimento islamista si trovano in Turchia. Tra questi il capo politico Ismail Haniye e il suo vice Saleh al Arouri.
Manovre a Gaza
I rapporti con Hamas sono sempre stati buoni. Ma qualcosa nelle ultime settimane sembra essersi incrinato. Ad Ankara il video con cui Haniye prega e ringrazia dinanzi alle immagini tv che mostrano l’attacco dello scorso 7 ottobre, un video registrato in Turchia, non e’ per niente piaciuto. Lo stesso Erdogan non ha preso bene l’intervista rilasciata da Al Arouri ad Al Jazeera dopo l’attacco a Israele in cui, sempre dalla Turchia, il numero due di Hamas ha dichiarato che l’incursione aveva permesso di catturare “un numero di ostaggi sufficiente a chiedere la liberazione dei prigionieri politici palestinesi”. Secondo la stampa turca il presidente turco avrebbe chiesto ai leader di Hamas di non usare mai piu’ la Turchia come piattaforma per lanciare messaggi del genere. La posizione di Ankara e’ netta, chi colpisce civili non e’ mai giustificato, come ribadito dal ministro degli Esteri Hakan Fidan, fedelissimo di Erdogan. Il presidente turco e il capo della diplomazia hanno avuto diversi colloqui con i capi di Hamas che non hanno prodotto risultati in termini negoziali. Al contrario, i rapporti con Hamas si sono raffreddati. Ankara ha quindi proposto una road map per la creazione di uno Stato palestinese imperniata sul ruolo di Paesi terzi garanti. La mediazione forse non e’ riuscita, ma Erdogan e’ riuscito a raggiungere due obiettivi piu’ realistici: evitare l’allargamento del conflitto e non compromettere la normalizzazione con Israele.