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Da Mazara a Bengasi, lo scivolone sul dossier Libia

I pescatori sono tornati a casa dalle loro famiglie. Ma lo stallo è stato fin troppo lungo e il viaggio in Cirenaica sembra abbassare l'influenza italiana nel Mediterraneo. A Interris.it il commento di Gianandrea Gaiani

La questione era riportarli a casa. Diciotto uomini, assenti per tre mesi e mezzo, accusati di aver violato uno spazio d’acqua territoriale e, per questo, trattenuti con contatti praticamente nulle con le loro famiglie. Rischiava di trasformarsi in un caso estremamente delicato quello dei pescatori di Mazara del Vallo, imbarcati sui pescherecci Antartide e Medinea, intercettati al largo della Libia dalle navi dei miliziani del generale Haftar. Il convitato di pietra, finché si è tentata la via della mediazione a distanza. L’interlocutore cardine quando, ormai a oltre 90 giorni dal fermo, il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, hanno deciso di attraversare il Mediterraneo per parlare di persona con il leader della Cirenaica.

Libia, stallo troppo lungo

Forse non troppo leader. Non dopo la risoluzione (momentanea) della guerra di Tripoli. A ogni modo, per antonomasia l’uomo forte della regione parallela alla Tripolitania, colui dal quale sono volati premier e capo della Farnesina per cercare di togliere il tappo a una pozza d’acqua stagnante. Centoventi giorni di attesa, diciotto famiglie attaccate al molo del porto di Mazara in attesa di capire se da quello orizzonte i loro congiunti sarebbero mai riapparsi. Uno stallo troppo lungo per durare ancora. Anche perché la durata era stata già abbastanza. Ora, se la visita dei due membri del governo ha risolto lo stallo, è inevitabile chiedersi quale sia l’Italia che esce dalla vicenda. Nello specifico, per il suo peso e la sua influenza nel contesto geopolitico e strategico del Mediterraneo.

Il peso di Haftar

“Abbiamo mandato i nostri vertici politici a omaggiare un uomo che ha sequestrato per tre mesi e mezzo degli italiani – ha spiegato a Interris.it Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa -. Credo sia stato un disastro, dal punto di vista politico, diplomatico e di prestigio”. Questo perché, in fase di trattativa, l’Italia ha scelto di non mostrare i muscoli, magari a livello militare, optando per una linea di mediazione che ha infine richiesto l’intervento in presenza di un alto corpo diplomatico. Ma la questione sembra più estesa, andando a toccare la rilevanza specifica delle varie figure nello scacchiere libico. “E’ chiaro che Haftar appariva tagliato fuori dal negoziato in Libia tanto che per la Cirenaica, al suo posto, veniva interpellato il presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh”.

Diplomazia in Libia

Un’indicazione sul calo di prestigio del feldmaresciallo potrebbe essere letta anche nell’ultima visita di Di Maio in Libia. “Ricordo che il sequestro dei pescatori – spiega Gaiani – avviene il giorno dopo che Di Maio va in Libia, a Tripoli e poi in Cirenaica, per incontrare Saleh. Questa volta, però, senza passare a salutare Haftar come le altre volte. Dimostrazione che il generale, sconfitto nella battaglia di Tripoli, era ormai considerato fuori dai giochi. Poi arriva il sequestro, magari per dimostrare che può dire alla sua gente come il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, che lo aveva evitato, possano dover intervenire per mediare“.

L’esempio turco

Una strategia che, sul piano dell’incidenza negli equilibri del Mediterraneo, potrebbe non pagare. “Lo dimostra il fatto che la sera, sui siti del governo italiano, non c’era neppure una foto dell’incontro di Bengasi, mentre Haftar aveva già diffuso una foto, video e immagini della visita di Stato. Riconoscendo quindi il suo ruolo di capo di Stato proprio perché da lui è andato un capo di governo”. Uno scenario che non si è verificato quando a essere sequestrata era stata una nave turca: “La Turchia è nemica vera di Haftar. Sequestrano una nave turca e, dopo poco, arriva un messaggio in cui si dettano le condizioni: liberazione o dichiarati obiettivi legittimi. Cinque giorni dopo la nave è stata liberata. La linea adottata sul caso dei pescatori, invece, ci emargina e toglie ulteriori punti alla già precaria posizione dell’Italia, in Libia e nel Mediterraneo in generale”.

Influenza nell’area mediterranea

Non un buon affare se si considera l’importanza strategica dell’area mediterranea. E, nondimeno, gli altri fronti aperti per il nostro Paese. Il caso Zaki, il più attuale, ma anche la vicenda di Giulio Regni: “Il problema, secondo me, è che abbiamo regalato la Tripolitania ai turchi e se vogliamo bruciarci i rapporti con l’Egitto la questione, geopoliticamente, cambierebbe. Anche se l’Egitto fosse un partner da tenere nel Mediterraneo, se la politica ha deciso che è un nemico per il caso Regeni, allora va trattato come tale. Invece non lo trattiamo né in un modo né nell’altro. Non si è mai adottata un’azione diplomatica contro l’Egitto ma, allo stesso tempo, una tantum si dichiara che si dovrebbe farlo”.

Un altro esempio: “La Francia ebbe un caso simile, ci passò sopra e ora assegna la Legione d’Onore ad al-Sisi. Per decidere bisogna avere una politica pianificata e bisognerebbe avere competenza in questo senso. Senza entrare nel merito, in questo modo diamo l’idea di essere un Paese inaffidabile e ininfluente nell’ambito del Mediterraneo ma anche altrove”.

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