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Mauro e Chiara, la bellezza di avere Dio al centro della propria famiglia

Mauro Stacconi e Chiara Cafforio raccontano a Interris.it la loro vita di genitori cattolici

La giornata mondiale dei genitori che si celebra oggi è stata voluta dall’Onu per ricordare che i genitori di qualsiasi razza, religione, cultura e nazionalità sono i primi autentici educatori dei bambini. Il loro lavoro è fondamentale per tutta la comunità di appartenenza e per questo va tutelato. 

Interris.it ha intervistato Mauro Stacconi e Chiara Cafforio, sposati da ventotto anni e genitori di cinque figli. Chiara e Mauro fanno parte del Movimento dell’Amore Familiare di Roma che promuove il modello della famiglia cristiana, valore che ogni giorno trasmettono con entusiasmo ai loro figli.

L’intervista 

Mauro quanto è difficile essere un genitore cattolico ai nostri tempi?

“Sicuramente è un impegno molto grande perché si tratta di trasmettere il grande dono della fede. Nell’ipotesi in cui i figli accettino questo messaggio, essi si trovano poi a scontrarsi con un mondo in cui si parla una lingua diversa. Il nostro compito è dunque quello di trasmettere l’importanza di avere ben saldi nella propria vita i valori di Dio in modo tale che i ragazzi possano proteggersi da soli da realtà diverse dalla nostra”. 

Quali sono le rinunce a cui una famiglia numerosa come la vostra va incontro?

“Per conciliare le esigenze dei figli accade spesso che uno dei due genitori debba rinunciare al lavoro o decida di ridimensionarlo. Questo comporta una minore disponibilità economica che richiede più sacrifici e rinunce. A noi per esempio piaceva molto andare in settimana bianca e per una decina di anni ci è stato impossibile farlo. Queste rinunce arricchiscono i figli stessi che si rendono conto della profondità del valore della famiglia”.

Quale è la paura più grande che avete?

“A livello cattolico che possano perdere il centro della loro vita che è il Signore. Dal punto di vista più umano invece, temiamo che possano inciampare nell’individualismo che al giorno d’oggi dilaga tra i ragazzi e condiziona anche il modo stesso di vivere le amicizie. Questo atteggiamento li rinchiude nel proprio mondo come se fosse una scatola e non gli fa vedere i bisogni di chi gli sta affianco. Il risultato è vivere con egoismo ogni cosa, convinti che sia motivo di ricchezza, ma in realtà è la propria tomba”. 

Chiara, quale è la cosa più bella di essere una madre cattolica?

“La capacità di vivere in profondità la bellezza della vita donata e di quella che noi riceviamo attraverso la nascita dei figli. Le difficoltà ci sono, ma vivere la propria vita familiare con la luce della fede vuol dire anche scorgere un lato diverso delle cose e saper affrontare ogni avversità con la giusta forza. Chi mette Dio al centro della propria vita cambia la prospettiva e vive con la consapevolezza che questi figli non sono del tutto suoi. Per questo non vanno riversate su di loro tutte le nostre aspettative”. 

Pensi che una delle cause della denatalità sia legata al fatto che le donne si sentano sole dopo la nascita del primo figlio?

“Su questo punto non sono d’accordo perché io ho perso mia madre che era anche nostra dirimpettaia quando ero incinta del mio primo figlio e mia suocera abitava a quaranta chilometri da noi. Nonostante ciò non mi sono mai sentita sola perché io e mio marito abbiamo sempre avvertito la nostra unione di intenti e la presenza di Dio che ci ha fatto coppia. A chi non riesce a sentire tutto questo consiglio di partire da qui e di cercare una rete di aiuto, perché anche solo una parola di conforto è fondamentale per poter ritrovare la carica”. 

I vostri figli come vivono la scelta di mettere Dio al centro?

“Sono sincera a volte sembrano ‘disadattati’ perché quando escono dalle quattro mura di casa si scontrano con una società con dei valori diversi da quelli che abbiamo insegnato noi. Loro trovano spesso un compromesso per integrarsi e noi come genitori raccomandiamo di non perdere mai di vista la linea netta tra ciò che è bene e ciò che è male. Il loro ruolo non è facile perché quando si è giovani a volte costa fatica esporsi e anche dire a un proprio coetaneo di non bestemmiare crea imbarazzo”. 

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