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Nelson Mandela, un’icona universale

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Giorni difficili per il Sud Africa. L’ex presidente Jacob Zuma, alla guida del Paese dal 2009 al 2018, è agli arresti e dovrà scontare una condanna di 15 mesi per oltraggio alla  Corte, nel corso di un processo per corruzione.

Proteste, scontri di piazza e violenze si sono protratti per circa una settimana e hanno gettato lo stato africano nella tensione. Le vittime sarebbero 212, secondo un bilancio delle autorità, gli arresti almeno 2.500 e sarebbero stati riportati episodi di saccheggio ai danni di negozi e botteghe.

Il Paese sudafricano, ritenuto la principale potenza del continente, starebbe vivendo una crisi alimentata da diversi fattori, di cui la pandemia di Covid è solo l’ultima arrivata. Nonostante siano passati trent’anni dalla fine del regime dell’apartheid, in Sud Africa persistono forti diseguaglianze, con un’economia in difficoltà e un tasso di occupazione che sarebbe superiore al 30%.

Uno scenario diverso da quello che potevano immaginare nel 1993, quando hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace, le due figure che hanno portato il Paese fuori della segregazione razziale e all’estensione dei diritti civili: l’allora capo di Stato sudafricano Frederik de Klerk – finora l’ultimo presidente bianco del Paese – e uno degli uomini che ha segnato la Storia del ventesimo secolo,il politico e attivista Nelson Mandela, succeduto a de Klerk nel 1994 e primo presidente di colore del Sud Africa.

Icona

“Se c’è una personalità politica del Novecento che è ancora saldamente presente negli anni attuali, è Nelson Mandela. Il continente più sfruttato e più oppresso, l’Africa, ha espresso una vera icona di una lotta anche vincente”, dice a InTerris lo storico Carlo Felice Casula.

Nato il 18 luglio 1918 nel villaggio di Mvezo, nel sud-est del Paese, di etnia Xhosa, Rolihlahla Mandela – ricevette il nome con cui è universalmente noto, Nelson, negli anni di scuola – iniziò la sua attività politica nel 1944, quando si unì all’African National Congress, partito di centro-sinistra che rappresentava la maggioranza di colore. Mandela, insieme ad altri compagni, fondò la Lega giovanile dell’Anc.

Nel corso degli anni venne processato più volta per sua attività. Uno degli episodi più noti è il processo di Rivonia, nel 1964, quando venne condannato al carcere a vita. Il 20 aprile 1964, di fronte alla corte, Mandela pronunciò il discorso in seguito passato alla storia col titolo Sono pronto a morire. L’11 giugno ecco la condanna. Il giorno della sua liberazione arriverà soltanto 27 anni dopo,  l’11 febbraio 1990.

Il primo presidente di colore del Sud Africa

Di lì a poco la storia del Sud Africa conobbe una svolta radicale. I principali partiti politici del Paese, il Partito nazionale di De Klerk e l’Anc (di cui Mandela diviene presidente nel 1991) avviano i negoziati per il superamento del regime dell’apartheid, in vigore dal 1948. Nel 1992 si tenne un referendum, ultima consultazione rivolta esclusivamente alla minoranza bianca. Il quesito referendario chiedeva se si era favorevoli o meno al proseguimento delle trattative per la redazione di una nuova Costituzione. Il quorum venne raggiunto e il sì sfiorò il 70%.

Il 10 maggio 1994 alle elezioni generali, le prime a suffragio universale, Mandela viene eletto presidente. Il primo presidente di colore nella storia del Sud Africa.

Verità e riconciliazione

Per aiutare il Paese a fare i conti con la proprio storia e con le proprie ferite, contrassegnate da decenni di abusi, discriminazioni, segregazione razziale e violazione dei diritti umani, nel 1995 il presidente Mandela istituì la Commissione per la verità e la riconciliazione. Come presidente fu scelto l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, già vincitore del Nobel per la Pace ne 1984 per il impegno contro l’apartheid.

Quest’organo, formato da 17 commissari, svolse indagini sugli abusi commessi tra il 1960 e il 1994. Per accompagnare il Paese nella transizione verso una nuova fase, era necessario che l’intera comunità sudafricana si facesse carico delle vicende che l’avevano segnata nella seconda metà del Novecento.

L’idea che ispirava questo processo era che esercitando una giustizia riparativa, e non punitiva, attraverso un rapporto di dialogo tra gli oppressi, che potevano raccontare le loro storie, e gli oppressori, che avrebbero riconosciuto le proprie responsabilità, si sarebbe potuto giungere a una riconciliazione tra le parti.

Negli anni in cui la Commissione tenne i suoi lavori vennero raccolte 20mila testimonianze e concesse circa 1500 amnistie a coloro che ammettevano le violazioni commesse.

L’intervista

La vita, la storia e il pensiero di Mandela con il suo messaggio volto a inspirare il cambiamento, hanno lasciato un segno profondo. Tanto che l’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 2009 ha istituito la Giornata internazionale dedicata a Nelson Mandela, celebrata per la prima il 18 luglio – giorno della sua nascita – 2010. Per l’occasione, In Terris ha intervistato lo storico italiano Carlo Felice Casula, dal 2018 professore emerito di Storia contemporanea all’Università degli Studi Roma Tre.

Chi è stato Nelson Mandela?

In realtà aveva più nomi e con tutta evidenza il nome Nelson è “importato” dall’esterno. Ne aveva altri di quelli in uso tra il suo popolo, gli Xhosa. Nel caso di quest’uomo l’impegno politico è stato totale: l’impegno di una vita intera. Negli anni Sessanta ha esercitato la professione di avvocato per combattere l’apartheid, la realtà istituzionale di una forma di violenza di Stato. Il suo percorso biografico ha straordinarie assonanze con quello di Gandhi. Anche lui aveva iniziato la sua esperienza di combattente per i diritti in Sud Africa, perché nel paese c’erano forti comunità di indiani che gli inglesi avevano “portato con sé” e rappresentavano una sorta di anello intermedio all’interno dell’apartheid. Per diverso tempo Mandela si è mosso su doppio livello, dato che dentro il partito African National Congress aveva creato una struttura per la lotta armata, ma ha anche cercato una strategia che valorizzasse al massimo la resistenza e la lotta dal basso, la non-violenza.

Cosa ha reso Mandela così “speciale”?

Mandela è una personalità politica che attraversa tutto il Novecento, diventa un’icona universale e lo resta anche nel nuovo millennio. Inoltre parliamo della prima personalità politica africana che diventa una personalità mondiale. C’erano stati, intorno agli anni Sessanta, casi di leader africani, come quelli che lottavano per l’indipendenza all’interno dello schieramento del Movimento dei Paesi non allineati, che avevano ottenuto notorietà. Ma poi erano usciti di scena o sono diventate figure controverse, come Nasser in Egitto. Un elemento da considerare  è che, usualmente, diventano delle  icone quelle che muoiono giovani. Invece Mandela ha attraversato il ventesimo secolo e ha percorso anche il primo decennio del ventunesimo. Ed è molto difficile che un “eroe”, ricorrendo a una categoria per così dire tradizionale, conservi il suo fascino fino a un’età così tarda. Un altro elemento che rende la vita di Mandela straordinaria è che, pur passando quasi 30 anni in carcere, molti dei quali su un’isola, in regime di isolamento, riesce lo stesso ad esercitare una leadership fatta di esempio, che raggiunge anche i suoi i suoi carcerieri e gli consente di mantenere la sua capacità di essere guida all’interno dell’Anc.

Si può riassumere Mandela in una frase o in un’immagine?

Lui si sapeva spiegare con una metafora. Nel corso degli anni Novanta una giornalista gli domandò come mai salutasse con il pugno chiuso. Lui rispose che le dita, prese individualmente, sono deboli ma se si uniscono, come nel pugno, diventano forti.

Cosa ha fatto dopo l’attività politica e istituzionale?

E’ stato un leader “anomalo” anche perché è morto quasi centenario, ma principalmente perché a differenza delle altre grandi personalità che una volta elette diventano presidenti a vita, dopo il suo mandato non ha più accettato nessuna carica. Viene eletto Presidente del Sud Africa dal 1994 al 1999 senza poi ricandidarsi e pochi anni dopo dà l’addio alla vita politica. Nel 1999 crea la propria fondazione e nel 2007 dà vita all’Elders Group, il “gruppo degli anziani”, con altri leader africani. Si tratta di un’organizzazione internazionale non governativa che s’impegna nelle soluzioni politiche e non militari dei conflitti. A ridosso del Sud Africa molti paesi, come il  Congo o il Burundi, sono stati sconvolti dai conflitti.

Qual è stato il rapporto di Mandela con i media?

Tra i leader di fine Novecento, Mandela è forse quello che sa usare meglio i mezzi di comunicazione di massa. I suoi scritti infatti sono molto diffusi, e la sua pubblicistica è molto vasta. E’ capace però di usare con intelligenza i “grandi intellettuali” del momento, cioè musicisti, cantanti e celebrità. Anche il cinema ha contribuito a renderlo popolare, ad esempio con un film in cui lo sport da elemento divisivo diventa simbolo dell’identità dell’intero Paese.

Perché una giornata internazionale dedicata alla sua figura?

L’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni unite ha istituito questo giorno dedicato al ricordo di Mandela e alla trasmissione del suo insegnamento complessivo. Con il suo linguaggio Mandela è riuscito a coniugare più universi valoriali. Quello solidaristico e comunitario dell’Africa. Quello dei Paesi in cerca di emancipazione dal dominio, diretto o indiretto, dell’Europa. L’universo valoriale socialista e insieme quello del messaggio cristiano, dato che Mandela ha saputo recepire le suggestioni che venivano da un’altra grande personalità del Sud Africa, l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu. Entrambi possono essere considerati gli “inventori” della cosiddetta Commissione Verità e Giustizia. Un organo questo che si rifà per certi aspetti al messaggio cristiano ma anche al concetto di ubuntu, termine che indica l’idea che nessuno all’interno della comunità deve essere emarginato.

Qual è il carattere di novità di quest’organo?

Nella nostra esperienza europea, e in senso più allargato occidentale, abbiamo vissuto l’esperienza molto forte ma non liberatoria del Processo di Norimberga. E’ stata la condanna di chi era accusato di aver commesso delitti contro l’umanità. Secondo il concetto dell’ubuntu deve essere la comunità stessa che se ne fa carico, nei momenti della confessione dei propri crimini, della ricostruzione della verità – a cui contribuisce la comunità nel suo insieme – e del reinserimento. L’apartheid è stata forse la più strutturata e duratura violenza di Stato nel Novecento, e la verità storica su è stata poi ricostruita insieme dalle parti in campo. E’ stato un processo liberatorio  perché con l’ammissione dei reati di fronte alle comunità si stabiliva l’impegno a non farli ripetere e non cercare vendette.

Quale esito ha avuto questa esperienza?

In Sud Africa ha funzionato, con la fine dell’apartheid e il passaggio di potere si immaginavano situazioni più critiche, come era già avvenuto in precedenza in altri Paesi africani. Altri paesi, come il Rwanda che è dovuto uscire dall’etnogenocidio di due grandi gruppi, ne hanno recuperato e riprodotto il meccanismo.

Lorenzo Cipolla: