Questo San Valentino sarà ricordato anche per la (onnipresente) pandemia nella vita quotidiana di tutti noi. Bigliettini a forma di cuore e scatole di cioccolatini non potranno infatti far dimenticare i ristoranti chiusi, le zone rosse e gli immancabili bollettini sanitari con la conta dei morti.
San Valentino, vescovo e martire
C’è da chiedersi se sia ancora il caso di festeggiare la festa degli innamorati, storicamente associata al santo ternano del secondo secolo dopo Cristo che fu vescovo e martire sotto l’imperatore Adriano.
Venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e successivamente dalla Chiesa anglicana, San Valentino è considerato patrono degli innamorati perché celebrò il matrimonio tra la cristiana Serapia e il legionario romano Sabino, che invece era pagano, nonostante gli fosse stato vietato. Questo gli costò il martirio tramite decapitazione sulla via Flaminia, presso il ponte Milvio, il 14 febbraio del 273 d.C.
A 1.748 anni dalla sua morte, la Chiesa commemora il suo voler difendere l’amore di due innamorati anche a scapito della propria vita: un dono d’amore per salvare l’amore. Ma oggi, dopo quasi due millenni, ha ancora senso festeggiare la festa degli innamorati?
Lo spiega in un’intervista esclusiva per In Terris la professoressa Maria Malucelli, docente di Psicologia Clinica Fondazione Fatebenefratelli, nonché da oltre 30 anni specialista in Disturbi Alimentari Psicogeni, in Psicoterapia cognitiva individuale e di coppia e in Psicoterapia dell’età evolutiva.
L’intervista alla professoressa Maria Malucelli
Professoressa Malucelli, l’uomo può vivere senza amore?
“No, non può, e non solo da punto di vista psicologico, ma anche biologico. Nonostante la parola ‘amore’ sia spesso abusata nel linguaggio comune, usata superficialmente senza attenzione al significato profondo del termine, questo non cambia la sostanza delle cose. L’amore è il sentimento principale dell’essere umano ed ha come obiettivo quello della sopravvivenza della specie. Tutti noi infatti nasciamo con un comportamento biologico che si chiama attaccamento. Quindi, il neonato sopravvive perché si attacca (anche fisicamente oltre che emotivamente) alla madre e perché attraverso il corpo materno riconosce un territorio familiare. Quindi, oltre al punto di vista spirituale e psicologico, possiamo dire che l’uomo non può vivere senza amore anche dal punto di vista biologico. Credo che questo sia il più grande dono che Dio ci abbia fatto: quello di dare a un comportamento biologico un significato infinito, di sopravvivenza della specie”.
Cosa è l’amore?
“Dal punto di vista della relazione umana, l’amore ha varie sfaccettature. Quella positiva è la capacità di arricchire l’uno e l’altro coinvolti nella coppia. L’amore – nel suo significato più profondo e positivo – è desiderare e accettare l’altro per quello che è (e non per come lo vorremmo) e al contempo attraversare tutte le fasi del rispetto di sé e del partner.
Quali sono le fasi delle relazioni umane positive?
“Le fasi che compongono le relazioni umane positive sono la stima, la fiducia e l’attrazione fisica. Questo ultimo aspetto, che coinvolge il corpo umano, non è da sottovalutare”.
Perché?
“Perché l’essere umano è un’anima dentro un corpo, e NON un corpo con un’anima!”.
Cosa significa essere un’anima dentro un corpo, e non un corpo con un’anima?
“Significa che la nostra eccezionalità di esseri viventi consiste nella nostra spiritualità, nella nostra psiche, nel sentirci aldilà della corporeità. Gli esseri umani sono dei privilegiati perché sono gli unici che possono raccontare la propria storia. E lo possono raccontare perché sono un’anima dentro un corpo, e non un corpo con un’anima”.
Ha già detto cosa è l’amore. Ora le chiedo: cosa NON è amore?
“Un ‘amore’ che non va a braccetto con il rispetto, con la generosità, con la fiducia, con l’altruismo, con un obiettivo che ci veda disponibili per gli altri…non è amore”.
E’ cambiato l’amore con la pandemia?
“Non è cambiato, ma la pandemia e la convivenza 24 ore su 24 ha fatto scoprire gli altarini, in un verso o in un altro”.
In che senso?
“O la convivenza prolungata ha risaltato e rafforzato l’amore coniugale (questo è accaduto nelle relazioni basate su fiducia, stima, capacità di sopportare lo stress, voglia di essere un esempio per i figli, considerare la tristezza un momento di riflessione, considerare la malinconia un rapporto con le nostre esperienze più profonde e non una depressione, creare una situazione di appoggio per i figli…), oppure lo ha incrinato se non ucciso”.
In che modo la pandemia ha ucciso l’amore?
“Quando l’amore è vissuto in maniera superficiale, come una buona volontà, o per senso del dovere, o quando l’affetto e l’attrazione sessuale vengono scambiati per un sentimento profondo, ma non c’è un approfondimento psicologico e spirituale…questo tipo di amore funziona solo perché le persone si vedono poco tempo a causa dei turni di lavoro. Magari solo a cena e poi ognuno in una stanza diversa a guardare la tv: è una convivenza part-time, in pratica, anche nella gestione dei figli, spesso demandata alle baby-sitter o alle nonne. Tutto questo – vale a dire un tipo di ‘amore nevrotico’ perché non fondato sui valori citati prima – è imploso con il coronavirus, che ha costretto le coppie e le famiglie a vivere insieme 24 ore al giorno per mesi”.
“Questa convivenza forzata negli ‘amori nevrotici’ ha portato al alcuni spiacevoli risultati: nel migliore dei casi, a tristezza, depressione e – in alcuni casi – alla separazione; nel peggiore: alla violenza, ai maltrattamenti fino all’omicidio. L’aumento dei femminicidi – piaga sociale che non accenna a diminuire neppure con la fine del lockdown, come ci ricordano i recenti fatti di cronaca – ne è una delle conseguenze più nefaste ed evidenti”.
Le crisi familiari però non ricadono solo sulle donne…
“No, a pagare il prezzo delle crisi familiari sono in primis i figli. Come nel caso dell’11enne che – nei giorni scorsi – ha tentato il suicidio buttandosi da una finestra perché i suoi genitori di non erano abbastanza presenti nella sua vita. Non tanto nel tempo passato insieme, ma nella qualità delle relazioni intrafamiliari, evidentemente scadenti”.
Cosa ci insegna questa tragedia sfiorata?
“Ci insegna che è prioritario ripristinare lo stare insieme in modo qualitativamente soddisfacente per tutti, e non tanto per passare il tempo, ognuno ‘perso’ dentro il proprio smartphone. Ritorniamo su una base di amore vero, che insieme a un compagno ci fa dire e ci fa dare le risposte alle domande fondamentali della vita: chi sono, cosa voglio, dove sto andando e con chi. Insomma, perché esisto!”.
Oltre alla pandemia, sono tanti i problemi della famiglia moderna, come da Lei evidenziato. Ha dunque ancora senso festeggiare san Valentino?
“Dipende. Se san Valentino viene spogliato dell’eccesso di consumismo e diventa un simbolo di come io mi ribattezzo psicologicamente nell’amore per te, allora ha ancora senso. Considerando che già un grande autore – [Erich Fromm, ndr] aveva detto: ‘L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo’”.
Il rito di festeggiare la festa degli innamorati ha una sua valenza positiva?
“Sì perché il rito in qualche modo ci aiuta: ha infatti la funzione psicologica di catalizzatore, vale a dire di fermare l’attenzione su quello che stiamo sentendo e facendo. Perciò, festeggiare un sentimento serve anche a capire a che punto siamo della nostra storia d’amore: se quel sentimento è cambiato, come è cambiato, se si è intiepidito, se è cresciuto, se ha subito un qualche scossone. Se l’amore può essere rinnovato, allora il rito di san Valentino diventa un ‘battesimo psicologico’, un momento di rinascita. Invece, tutta la parte consumistica della festa – regali, cioccolatini, cenette romantiche etc. – non è così importante per l’amore”.
San Valentino è la festa dell’innamoramento, non proprio dell’amore. Qual è la principale differenza tra questi due sentimenti?
“Sono due sentimenti ben distinti. L’innamoramento è un’emozione che mi spinge ad iniziare un percorso di conoscenza dell’altro, perché l’altro mi procura delle emozioni forti, mi appassiona e mi procura essenzialmente entusiasmo, termine che significa letteralmente ‘Dio dentro di noi’. Dunque, ci innamoriamo delle persone che risvegliano in noi questo entusiasmo. Gli innamorati hanno preso consapevolezza di tutto questo e proseguono nel loro cammino: una prima fase in cui l’altro non è diversa da te, c’è una base di comunione e di entusiasmo che (forse) te lo fa prendere per mano…
…Ma non sempre l’innamoramento diventa amore.
“No, infatti, non sempre. L’innamoramento è una prima fase che ha a che vedere con la passione. Quando si trasforma in ragione e passione, cioè della nostra totalità dell’essere (cuore e mente) allora inizia il percorso dell’amore. Altrimenti, significa che quel percorso si è fermato all’entusiasmo, alla prima fase di idealizzazione e ipervalutazione che qualche volta scivola in delusione e ritiro”.
Concludiamo con un regalo ai nostri lettori. Se dovesse scegliere dei libri che aiutino a comprendere questo grande meccanismo che è l’amore, cosa consiglierebbe?
“Innanzitutto, “Voglia di bene. Una guida alla nuova psicologia dell’amore” di M. Scott Peck (Sperling Paperback-Frassinelli, 2007). Un secondo testo che mi piace molto è “Forte come la dolcezza” di Fausto Manara (Sperling & Kupfer, 2004). Infine, “Il bene dentro” di Giorgio Abraham (Frassinelli, 1986). Direi che per questo San Valentino possa bastare!”.