“Le malattie rare rappresentano un problema sanitario di dimensioni globali che non può essere dimenticato o trascurato”. Lo dice a In Terris il professore Marco Tartaglia, responsabile dell’Area di Ricerca Genetica e Malattie Rare dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, per la XVI Giornata delle Malattie Rare (Rare Desease Day), che si celebra oggi, 28 febbraio.
Cosa sono le malattie rare
Le malattie rare sino ad oggi identificate sono circa 7/8000, quasi tutte (90%) di origine genetica. Sono definite ‘rare’ perché colpiscono meno di 1 persona ogni 2.000, ma considerate globalmente rappresentano un problema di rilevanza sanitaria e sociale.
Nel mondo, infatti, i malati rari sono circa 300 milioni: di questi, 25 milioni sono in Europa e quasi 2 milioni in Italia. Nel nostro Paese, in particolare, 1 malato raro su 5 è un bambino.
Il 60% dei malati rari riceve una diagnosi certa dopo un’attesa che va dai 2 ai 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi, mentre il 40% resta senza diagnosi.
Le tipologie di malattie rare
Le malattie rare ad oggi conosciute sono tra le 7000 e le 8000, sottolinea UNIAMO, la Federazione delle Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia. Tra queste: l’80% ha origini genetiche e riguardano più spesso bambini e giovani; il 20% ha origini ambientali, infettive o allergiche; il 70% insorge in età pediatrica; solo circa 300 patologie hanno una cura farmacologica una terapia specifica.
Oltre ad essere raramente riscontrate, queste malattie hanno sintomi e manifestazioni che variano anche da persona a persona, rendendole per questo motivo ancor più difficili da diagnosticare e curare. Alcune di esse non hanno ad oggi possibilità di cura.
L’iniziativa: “Accendiamo le luci sulle malattie rare”
Oggi, 28 febbraio, per celebrare la XVI Giornata delle Malattie Rare, Uniamo FIMR in qualità di coordinatore italiano della Giornata, promuove l’iniziativa “Accendiamo le luci sulle malattie rare”. I monumenti più rappresentativi di diverse città italiane si illumineranno per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle problematiche sociali e cliniche di chi vive con una malattia rara.
Opbg in prima linea sulle malattie rare
All’iniziativa partecipa anche l’ospedale della Santa Sede, illuminando dalle 18 alle 24 l’ingresso del Pronto Soccorso del Gianicolo con luci colorate e la scritta “Cu-RARE”.
Con gli oltre 15.000 pazienti arruolati nella Rete Regionale Malattie Rare, il Bambino Gesù gestisce la più ampia casistica nazionale di pazienti pediatrici, ospita la sede italiana di Orphanet, il database internazionale delle malattie rare e fa parte di 15 European Reference Network, le reti europee impegnate nella condivisione delle conoscenze su queste patologie e al coordinamento delle cure sanitarie. Dal 2016 è attivo un ambulatorio specifico dedicato ai pazienti rari senza diagnosi. Sul fronte diagnostico assistenziale, nell’ultimo anno sono state effettuate oltre 40.000 analisi genetiche.
Identificate 4 malattie rare orfane di diagnosi
Nonostante la pandemia, la ricerca sulle malattie rare non si è fermata. Negli ultimi due mesi all’ospedale pediatrico Bambino Gesù sono stati infatti identificati 4 nuovi geni malattia, legati ad altrettante patologie fino a quel momento orfane di diagnosi. I risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of Human Genetics (AIJH).
Nel corso del 2020, i geni malattia identificati sono stati 13. Nello specifico, lo scorso agosto l’ospedale della Santa Sede ha scoperto una nuova sindrome del neurosviluppo causata dalla mutazione di un gene. Più precisamente, le mutazioni di questo gene sono riconducibili alla sindrome di Noonan, una delle RASopatie più comuni. La mutazione del suddetto gene, denominato MAPK1, è rarissima: ad oggi, infatti, è stata riscontrata in soli 7 bambini in tutto il mondo.
I nuovi 4 studi coordinati dall’ospedale in particolare identificano le mutazioni di un gene denominato SCUBE3, che causano una sindrome che colpisce lo sviluppo scheletrico, e quelle di altri 3 geni (CLCN6, SPEN e VPS4A) riconosciute come causa di malattie del neurosviluppo abbinate a quadri clinici complessi.
Le ricerche sono state effettuate nell’ambito di un programma dedicato ai pazienti con malattie “senza nome”, finanziato dalla Fondazione Bambino Gesù Onlus e dal Ministero della Salute. Dal 2015 al Bambino Gesù è in corso un progetto di genomica dedicato ai pazienti “orfani” di diagnosi, che ha permesso di identificare una cinquantina di nuovi geni-malattia e caratterizzare o riclassificare alcune dozzine di “nuove” malattie.
L’intervista al professor Tartaglia
“La diagnosi – spiega il professore Marco Tartaglia, responsabile dell’Area di Ricerca Genetica e Malattie Rare a In Terris – è il punto di partenza per una presa in carico specifica, per avviare terapie mirate, quando disponibili, per offrire una consulenza genetica adeguata alla famiglia. Avere l’opportunità di offrire un test genetico mirato a bambini affetti da una malattia rara, fino a poco tempo fa non riconoscibile neppure clinicamente, è una grande opportunità”.
Professore, qual è l’importanza dell’istituzione di una giornata dedicata alle malattie rare per la società?
“Le malattie rare sono un gruppo eterogeneo di condizioni che, secondo la definizione adottata dal programma d’azione comunitario, prese singolarmente, colpiscono meno di una persona ogni 2000. Ad oggi si conoscono oltre 8.000 malattie rare ma il loro numero è costantemente in aumento ed è verosimile che ne esistano più di 10.000. Nonostante si tratti di condizioni che, nelle forme più rare, colpiscono pochissimi pazienti, il numero dei malati rari è enorme, con almeno 25 milioni di persone affette nella Comunità Europea e oltre 260 milioni a livello mondiale”.
Quali sono le conseguenze per le famiglie?
“Le conseguenze sono pesanti. Oltre ai malati in sé, infatti, queste patologie ricadono sull’intero nucleo familiare. La famiglia è costretta a vivere una condizione di isolamento per le scarse conoscenze disponibili, l’incertezza nel futuro e l’assenza, nella maggior parte dei casi, di terapie mirate efficaci. L’istituzione di una giornata dedicata a questi pazienti ci ricorda che ‘raro’ non vuol dire trascurabile, marginale e che la ‘rarità’ in medicina non è sinonimo di ‘minore rilevanza’. Le malattie rare rappresentano un problema sanitario di dimensioni sociali che non può essere dimenticato o trascurato”.
La ricerca non si è fermata nonostante un anno di pandemia che ha bloccato molte attività, anche in ambito sanitario. Come siete riusciti ad andare avanti?
“Chi sceglie di fare ricerca nel campo delle malattie rare è generalmente motivato da un passione e una dedizione al lavoro che solo chi lavora nell’ambito della ricerca può comprendere. Nonostante le difficoltà che la pandemia ci ha imposto, questo momento storico ci ha consentito di apprezzare con maggiore consapevolezza l’importanza della ricerca e le opportunità oggi offerte dagli strumenti tecnologici per accrescere la nostra conoscenza e metterla al servizio della società. Una importante fase di ogni ricerca deve basarsi sullo studio e la comprensione dello stato dell’arte sulla materia per impostare il programma sperimentale e raggiungere gli obiettivi proposti. Il lavoro di bancone ha subito i maggiori rallentamenti ma il ritorno in sicurezza negli ambienti di lavoro dopo un periodo di assenza forzata ha spronato il mio gruppo a ottenere i risultati prefissati”.
Quali sono le necessità principali – anche politiche oltre che economiche – affinché la ricerca sulle malattie rare non solo non si fermi, ma faccia progressi importanti?
“La diagnosi è il punto di partenza per ogni paziente per una presa in carico specifica, per avviare terapie mirate quando disponibili, per offrire una consulenza genetica adeguata alla famiglia e per acquisire lo stato stesso di malattia come inteso a livello sociale. Avere l’opportunità di offrire un test genetico mirato a pazienti affetti da malattia rara fino a poco tempo fa non riconoscibile neanche clinicamente è una grande opportunità per i pazienti e per le loro famiglie. La conoscenza del meccanismo di malattia permette di avviare percorsi di presa in carico mirati. Questi obiettivi possono essere raggiunti solo attraverso un investimento significativo sulla ricerca, che sia questa di base, traslazionale o clinica”.
La formazione ha un peso determinante per la ricerca?
“Sì. E’ infatti molto importante favorire l’educazione e la formazione di una nuova generazione di ricercatori. E’ necessario dedicare investimenti cospicui a questa attività sia in termini di tempo che in termini economici. Lo sviluppo delle nuove tecnologie di sequenziamento ci ha permesso di raggiungere obiettivi impensabili fino a qualche anno fa. Tuttavia, per poter offrire le potenzialità dell’applicazione di queste tecnologie su larga scala, è necessario formare i giovani ricercatori non solo sugli aspetti prettamente tecnici. È importante che la nuova generazione di ricercatori sia formata per rispondere alle sfide di oggi e anticipare quelle del futuro”.
Qual è dunque il futuro prossimo nel campo della ricerca sulle malattie rare?
“Quella del bioinformatico. L’importanza di questa nuova figura professionale, emersa nell’ultimo decennio, ci pone però a davanti un problema importante”.
Quale?
“La sua attività è indispensabile per l’analisi e la gestione della mole di dati prodotta con le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione. Parallelamente, la possibilità che varianti differenti a carico dello stesso gene possano essere correlate con malattie estremamente differenti e la disponibilità di nuovi approcci di medicina di precisione rendono urgente pensare all’integrazione di un sistema di validazione funzionale delle varianti genomiche su modelli informativi in vitro o in vivo che possa operare in stretta collaborazione con i percorsi diagnostici classici ripensando al modello stesso di organizzazione del sistema sanitario nazionale con l’inclusione di figure che fino ad oggi erano esclusivo appannaggio della ricerca”.
Qual è il peso delle nuove tecnologie sulle nuove scoperte in campo genomico?
“Grandissimo. Il ‘Progetto Genoma Umano’ (HGP) è iniziato nel 1990. Per fare la prima sequenza genomica completa dell’uomo ci sono voluti 13 anni: la prima bozza del genoma è stata pubblicata nel 2000 mentre quella completa si è avuta solo nel 2003. La tecnologia era completamente diversa. Oggi, per lo stesso lavoro impieghiamo 24 ore: un giorno contro i 13 anni del 1990! Questo dà un’idea precisa dei passi da gigante fatti dalla tecnologia in questi anni”.
Qual è il ruolo presente e futuro dell’intelligenza artificiale in ambito medico?
“Basilare. Perché oggi la ricerca ci permette di avere una mole enorme di nuove informazioni ogni giorno. Basti pensare alle centinaia di migliaia di sequenze genomiche presenti nelle banche dati. Una massa enorme di notizie, nuove scoperte, pubblicazioni scientifiche nelle sezioni più disparate del sapere medico che vanno letta, vagliate e selezionate. In questo grande lavoro di scansione, l’intelligenza artificiale avrà un ruolo sempre più centrale”.
Di cosa si occupa l’Area di ricerca “Genetica e malattie rare”, di preciso?
“L’attività dell’Area di ricerca che coordino, Genetica e Malattie Rare, è dedicata allo studio delle malattie genetiche, con particolare attenzione a quelle rare e orfane di diagnosi, e alla traslazione delle nuove tecnologie genomiche nella pratica clinica. La mia Unità di ricerca, in particolare, si occupa della caratterizzazione molecolare delle malattie mendeliane, quelle condizioni genetiche causate da mutazioni che colpiscono singoli geni. Se teniamo conto del fatto che oltre il 70% dei pazienti che afferisce a un ospedale pediatrico è affetto da una patologia con base genetica o a larga componente genetica, possiamo ben immaginare come quest’attività di ricerca risponda ai bisogni di un numero importante di pazienti”.
Su quali progetti state lavorando?
“Oltre agli aspetti legati alla immediata ricaduta traslazionale al letto del paziente delle scoperte ottenute nel corso degli ultimi anni, nel corso degli ultimi anni, il programma di genomica dedicato ai pazienti affetti da malattie rare e orfane di diagnosi, finanziato dalla Fondazione Bambino Gesù Onlus e dal Ministero della Salute, ha portato a identificare numerosi nuovi geni-malattia e a caratterizzare nuove malattie precedentemente non riconoscibili. L’integrazione tra competenze cliniche, molecolari, bioinformatiche e di biologica di base o animale hanno consentito inoltre di caratterizzare i meccanismi di malattia in molte delle nuove condizioni identificate. Il nostro impegno nel campo delle malattie rare, ultrarare e orfane di diagnosi continua aprendosi a nuove possibilità di sviluppo di terapie mirate su modelli di malattia semplici per offrire nel lungo periodo una speranza terapeutica laddove oggi esiste soltanto una terapia di supporto sintomatica”.