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Come cambia la lotta ai clan. Sabella: “Cosa Nostra è ormai la terza mafia”

Mafia

“Con la cattura di Matteo Messina Denaro si chiude per sempre la sanguinosa stagione dei corleonesi“, afferma a In Terris il magistrato anti-mafia Alfonso Sabella. A poche ore dall’arresto del boss latitante da tre decenni, Interris.it ha intervistato Alfonso Sabella, simbolo internazionalmente riconosciuto di lotta alla corruzione e al malaffare. È lui il magistrato (alla cui figura è ispirata la serie tv “Il Cacciatore”) che ha catturato, tra decine di altri mafiosi, anche Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, i boss di Cosa Nostra che hanno sfidato frontalmente lo Stato durante la sanguinosa stagione stragista degli anni Novanta.

Per la legalità

Da amministratore capitolino è stato il primo a combattere i clan del litorale romano con provvedimenti mai realizzati in precedenza come l’abbattimento degli stabilimenti balneari illegali e degli esercizi abusivi controllati a Ostia dalla criminalità organizzata. Credente, laureato in giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Sabella si è formato all’Augustinianum (il collegio universitario fondato da padre Agostino Gemelli, di fianco alla sede centrale dell’ateneo, per studenti particolarmente meritevoli) dal quale sono uscite alcune figure di riferimento del cattolicesimo democratico come l’ex premier Romano Prodi e il presidente del Cnel ed ex ministro, Tiziano Treu. “Se solo Falcone e Borsellino avessero avuto la metà degli strumenti che abbiamo oggi, avremmo un’Italia diversa, sicuramente migliore”, sostiene Sabella.

Lotta alla mafia

La cattura di Matteo Messina Denaro muta lo scenario della lotta alla mafia. “Quello che cambia adesso è la consapevolezza che lo Stato quando vuole è più forte di qualunque organizzazione criminale- sottolinea a In Terris il magistrato Sabella-. Adesso dobbiamo essere tutti consapevoli di ciò e farne la nostra arma principale. Non mi sorprende che il covo di Matteo Messina Denaro fosse nelle zone in cui è nato e cresciuto. E’ normale per un boss di Cosa Nostra nascondersi in un paese della sua area. Anche la latitanza di Giovanni Brusca si è svolta in comuni vicini a San Giuseppe Jato. Per le cure Matteo Messina Denaro si era rivolto a una clinica di Palermo e usava come spesso succede la carta d’identità di una persona realmente esistente. Talvolta queste persone non lo sanno neppure. In questo caso, invece, pare che ne fosse consapevole. Tutto ciò non mi stupisce e vanno fatti i complimenti ai Carabinieri e alla magistratura per questo importante risultato”. Aggiunge Sabella: “Da cacciatore di mafiosi provo una sana invidia per chi ha catturato Matteo Messina Denaro. Il suo arresto è la ciliegina sulla torta che chiude la stagione dello strapotere dei corleonesi. Ormai non c’è più nessun esponente in libertà della mafia stragista. Restava la macchia della latitanza di Messina Denaro ed ora è stata cancellata“. 

Corleonesi

“Non vedo dei grandi cambiamenti al vertice di Cosa Nostra a seguito dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Perché lui non era il capo assoluto, secondo il mio parere, e poi perché Cosa Nostra ci ha abituato a metabolizzare bene gli arresti che subisce“, osserva Sabella, commentando l’arresto del superlatitante di Castelvetrano bloccato lunedì in una clinica privata di Palermo dai carabinieri del Ros. “L’arresto di Messina Denaro è l’ennesima dimostrazione che lo Stato quando vuole sa fare lo Stato – ribadisce Sabella -, questa è una storica cattura perché e’ stato preso l’ultimo dei latitanti siciliani. Si chiude una pagina nera che ha prodotto orrori“. Nel corso della sua carriera Alfonso Sabella ha fatto parte del pool antimafia della Procura di Palermo guidato da Gian Carlo Caselli. E ha contribuito alla cattura di numerosi latitanti come Leoluca Bagarella, Giovanni e Enzo Brusca.

Primo piano

“Penso che Matteo Messina Denaro fosse ancora un personaggio di primissimo piano, certamente un personaggio di spessore e di alto profilo mafioso – spiega Sabella -. Ma secondo la mia opinione lui non è mai stato il capo di Cosa Nostra. Un po’ per sua scelta. E un po’ anche per il cambio di scenario che c’è stato dopo l’arresto di Provenzano che ha riportato il vertice della ‘Cupola‘ a Palermo. E Messina Denaro non è palermitano“. Per Sabella è improbabile che Messina Denaro si sia consegnato alle forze dell’ordine: “Di boss mafiosi che si consegnano non ho mai avuto notizia. L’unico è stato Salvatore Cancemi che si è consegnato perché temeva di essere ucciso”. Sabella non ritiene che possa essere stato tradito da qualcuno della stessa organizzazione mafiosa. “Non credo che Messina Denaro sia stato ‘venduto’ da qualcuno. Ora si vedranno se e quali sono state le connivenze che ha avuto in questi anni. Ma adesso possiamo celebrare le nostre forze dell’ordine per il risultato che hanno ottenuto – spiega Sabella -. Certo per essere latitante così a lungo sicuramente potrebbe aver avuto qualche aiuto anche da personaggi delle istituzioni. Magari non di primo piano ma secondari. Del resto se la mafia è la mafia è proprio perché può contare su tante connivenze e su tanti appoggi”.

Terza mafia

“Messina Denaro è stato preso a Palermo e non a Milano o Londra– puntualizza Sabella-. Era dunque nel suo territorio, come lo erano anche Riina e Provenzano. Perché proprio rimanendo nel loro territorio dimostrano il loro potere e sono protetti“. Oggi Cosa Nostra è indebolita. “Cosa Nostra non è più l’organizzazione mafiosa degli anni Novanta.Oggi è probabilmente la terza mafia dopo l’ndrangheta e la mafia foggiana. E questo grazie ai risultati raggiunti con gli strumenti che negli anni Novanta lo Stato ha deciso di mettere a disposizione degli inquirenti. Se questi stessi strumenti li avessero avuti nel passato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino oggi, sicuramente, racconteremmo una storia diversa. Avremmo avuto meno morti. E avremmo un Paese migliore“, prosegue Sabella. “Con la cattura di Messina Denaro si mette una pietra tombale sulla strategia stragista dei corleonesi. Li abbiamo presi tutti. E’ la dimostrazione che lo Stato è più forte della Mafia e che, quando vuole, ottiene risultati“.

Giacomo Galeazzi: