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Ludopatia, la dipendenza che affligge oltre un milione di persone

Da qualche anno si assiste con sempre maggior frequenza alla solita, triste, scena quando si entra in una tabaccheria o si passa al bar per un caffè. L’orecchio dell’avventore è raggiunto dal suono, squillante, che richiama lo sguardo sulla figura seduta davanti alla slot machine in attesa della combinazione giusta che la faccia sentire una fortunata vincitrice e la renda più ricca di quando è entrata. In realtà i sogni di gloria nascondono speranze più piccole. Se indovina la puntata può almeno rientrare dei soldi spesi all’apparecchio o, peggio, utilizzarli per giocare di nuovo, confidando che qualche buona stella la faccia vincere ancora.

In cura uno su dieci

Il giocatore sceglie quasi sempre la seconda opzione, in un’incessante rincorsa a una vittoria più agognata che possibile. I motivi che spingono una persona a tentare la fortuna col gioco d’azzardo sono i più diversi, come un periodo di difficoltà economica, il bisogno di gratificazione personale o la necessità di trovare una valvola di sfogo e di evasione dalla realtà. Una delle conseguenze può essere di sviluppare un disturbo patologico: la ludopatia. “E’ la dipendenza dal gioco d’azzardo”, spiega Alessandro De Carlo, psicologo e docente universitario a Padova, alla Lumsa di Roma e all’ateneo telematico Giustino Fortunato, “che può partire sia da elementi sani, come qualche piccola vincita, o sommarsi a situazioni di stress quando non altri disturbi”.

Il termine dipendenza si usa non a caso, come illustra il professore: “E’ un comportamento compulsivo che conduce a un malessere, una situazione di craving come quella di un tossicodipendente che si ritrova senza sostanza”. Quarant’anni fa, nel 1980, l’American Psychiatric Association (Apa) riconosceva la ludopatia come disturbo psichiatrico. Nel 1994 la malattia veniva inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali e nel 2013 l’International Classification Disease dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Oms, l’ha ascritta a disturbo del controllo degli impulsi all’interno della categoria disturbi delle abitudini e degli impulsi.

Il gioco d’azzardo patologico (Gap) è a tutti gli effetti una dipendenza sine substantia, non dovuta quindi a molecole chimiche esogene – anche se spesso si accompagna al consumo di alcol e tabacco – che in Italia interessa oltre 1,3 milioni di persone di cui solo il dieci per cento, circa 12mila individui, è in cura. Il Gap è insieme un problema di salute e un fenomeno ad alto rischio sociale che ha riflessi sulla vita relazionale e lavorativa delle persone che ne soffrono. Il disturbo ha storicamente riguardato in prevalenza gli uomini, sia giovani che meno giovani, senza differenza di classe sociale, anche se negli ultimi anni si sta osservando una crescente diffusione nella popolazione femminile anche per la grande e capillare distribuzione che il gioco d’azzardo ha raggiunto grazie alle politiche di liberalizzazione.

Il gioco e le tasse

Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, il settore dei giochi comprende 6.600 imprese e circa 100mila occupati, tra il 2000 e il 2016 ha quintuplicato la cosiddetta raccolta, la somma totale delle puntate dei giocatori, toccando – in seguito superando – quota cento miliardi di euro, con una percentuale tra il 70 e l’80% di redistribuzione tra le vincite. Il guadagno per i fornitori dei servizi è stato di circa nove miliardi di euro nel 2018. Crescita a beneficio del fisco italiano, visto che sempre secondo stime dell’Upb il gettito del Belpaese è il doppio di quello di Francia e Regno Unito e oltre tre volte superiore di quelli tedesco e spagnolo.

L’ultima legge di bilancio e il conseguente decreto fiscale varati dall’esecutivo Pd-Cinquestelle hanno alzato le aliquote sugli apparecchi cosiddetti amusement with prize (Awp) al 23,85% per il 2020 e al 24% nel 2021, mentre per le videolottery (Vlt), che a differenza delle slot machine sono prive di scheda per il gioco e connesse ad un sistema centrale, si stabilisce di portare l’aliquota all’8,5% per il 2020 e all’8,6% per l’anno seguente. Sono previsti inoltre, al comma 732, la riduzione del payout, ovvero percentuale della vincita destinata ai giocatori e decisa per legge, che non può scendere sotto il 65% per le awp e l’83% per le videolottery entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della misura, in aggiunta il comma 733 prescrive dal 15 gennaio 2020 il prelievo del 20% sulle vincite al di sopra del 200 euro e dal primo marzo su quelle eccedenti i 500 euro.

Il boom dell’azzardo online

Nel 2019, riporta il Libro blu 2020 dell’Agenzie delle dogane e dei monopoli, i dati del gioco d’azzardo legale mettono in evidenza un incremento del volume di denaro giocato, che sfonda il tetto dei 110 miliardi con una crescita del 3,5% sul 2018 e una raccolta pro capite di 2.180 euro. Il trend del gioco sale, anche se si registra un calo delle puntate nella rete fisica che segna un meno 1,7% sul 2018, trainato dal gambling in Rete, alla portata di tutti grazie anche alle molte applicazioni per il gioco scaricabili sul proprio smartphone, soprattutto giochi di carte e scommesse a quota fissa, il 64% del totale sull’online. La raccolta dell’azzardo virtuale si assesta sui 36,4 miliardi di euro che corrisponde a un aumento del 16% sull’anno precedente, con una crescita esponenziale del 70% in quattro anni, e ne certifica l’incidenza sempre maggiore sulle giocate complessive, che sale fino a un terzo (33%) del totale quando nel 2016 era al 22%.

Segno che la pur buona volontà di frenare il dilagante uso del gioco sul territorio non è l’unica soluzione per il contrasto, anche se intanto gli apparecchi da intrattenimento sono diminuiti dai 579.228 del 2015 agli 418.491 del 2019, nonostante le videolottery siano cresciute del 10,5% in un lustro. Questo in virtù dell’applicazione del comma 943 dell’articolo 1 della legge di bilancio del dicembre 2015, che ha imposto la riduzione degli 30% degli apparecchi attivi. E comunque le ‘macchinette’ si confermano le più utilizzate, con una raccolta di 47,6 miliardi di euro (63% delle giocate totali sulla rete fisica) e la somma di slot machine, videolottery, gratta e vinci e Lotto copre all’86% delle giocate fisiche totali, cioè circa 64 miliardi.

Un dramma sociale

Ma se il gioco d’azzardo è un ingente ingresso per la casse dello Stato, il rovescio della medaglia è l’allarmante ampiezza della diffusione della ludopatia e degli effetti che ne scaturiscono. Problemi di salute collegati alla patologia, come depressione, attacchi di panico e disturbi associati allo stress, quali l’ulcera e l’ipertensione arteriosa. Crisi tra le mura domestiche, perdita del posto di lavoro per l’ossessione del gioco, precarietà finanziaria. Nello scenario peggiore, cadere nella microcriminalità o rivolgersi alla malavita per procurarsi del denaro. Tutto questo ha un impatto in termini di costi per la comunità.

Secondo lo studio “Gioco d’azzardo patologico e usura. Studio preliminare sull’incidenza nelle regioni Lazio e Campania” a cura della psicologa e psicoterapeuta Nicole Miriam Scala, con dati che si riferiscono al biennio 2014-2016, la Regione Lazio avrebbe calcolato in 85 milioni di euro annui i costi sanitari diretti per il trattamento delle ludopatie e cinque miliardi di costi indiretti per il welfare pubblico. Il documento rivela inoltre che “il dato assoluto di imprenditori (compresi commercianti e liberi professionisti) vittime di usura, sul dato statistico nazionale dei giocatori d’azzardo, è del 0,25% su due milioni di giocatori potenzialmente a rischio, pari a 5mila commercianti a rischio in Italia”. La criminalità organizzata, secondo quanto riportano in “Il gioco d’azzardo in Italia. Contributi per un approccio interdisciplinare” (2016) Giovanni Manguerra e Giuseppina Maria Chiara Talamo, col gioco d’azzardo illegale realizza un giro d’affari di circa 10 miliardi di euro.

Le dimensioni della diffusione della ludopatia in Italia e dei casi in cura presso i servizi pubblici per le dipendenze patologiche (Ser.D) del Sistema sanitario nazionale preoccupano gli esperti. “Sono grandi numeri, alcune migliaia di casi su un milione di persone circa”, commenta De Carlo. Sono utili illustrare la situazione del nostro Paese i dati statistici di una ricerca epidemiologica sul fenomeno realizzata da Agenzia delle dogane e dei monopoli e Istituto superiore di sanità, con riferimento al periodo 2016-2019, focalizzati principalmente sulle fasce d’età 14-17 anni e adulti over65. Dal documento emergono numeri allarmanti. Un uomo su due e una donna su tre ha dichiarato di aver giocato d’azzardo almeno una volta entro i 12 mesi precedenti l’intervista. Si tratta del 36,5% degli italiani, vale a dire 18,4 milioni di persone.

Tra questi si conferma quindi la penetrazione del Gap nel genere femminile, anche se non è stato ancora colmato il divario in quanto le donne sembrano sviluppare il disturbo in età più avanzata e in seguito alla depressione. Un quarto circa del totale ha affermato di essere giocatore sociale, cioè senza effetti collaterali sulla sua vita privata, mentre la percentuale di giocatori problematici – chi ha sviluppato la dipendenza – è al tre e interessa circa un milione e mezzo di persone, di cui più di un terzo ha tra i 50 e i 64 anni. Nella popolazione minorenne in età da scuola superiore dichiara di aver giocato entro l’anno il 29,2% degli interpellati e si segnala che giocano più ragazzi che le ragazze. Il fenomeno riguarda maggiormente gli studenti del Meridione e delle isole, in particolare è più diffuso tra chi frequenta gli istituti tecnici e gli istituti professionali. Anche tra i giovanissimi la percentuale dei problematici è del 3%, ma la media sale di quasi un punto e mezzo nel Sud Italia (4,4%). In merito ai più giovani, nel rapporto “Consumi d’azzardo 2017” del Reparto di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari dell’Istituto di fisiologia clinica del Centro nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr) si osserva un calo degli studenti giocatori da 1,4 milioni a un milione. Una variazione da poter attribuire, secondo la coordinatrice e ricercatrice dell’Ifc-Cnr Sabrina Molinaro, all’attivazione del numero verde per l’azzardo patologico e dall’aumento della quota di istituti scolastici che ha attivato interventi per la prevenzione al gioco, “dal 4% del 2009 al 27% del 2016”. Nonostante si vedano i risultati positivi, la sola sensibilizzazione non è sufficiente perché quasi l’11% degli studenti italiani ignora che giocare d’azzardo sotto i 18 anni è illegale.

Il ritardo delle istituzioni

Ma la lettura del dato che dà il professor De Carlo riporta l’attenzione sulle criticità ancora ben presenti. “Il trend è comunque in crescita”, spiega lo psicologo “sempre meno verticale per fortuna, ma difficilmente andrà a calare se non si agisce”, e aggiunge infine “i genitori non hanno gli strumenti culturali per controllare i giovani nella loro vita online né hanno il tempo per farlo”. Compito di contrastare il gioco d’azzardo e la ludopatia spetta quindi allo Stato. Dopo il processo di liberalizzazione avviato circa un ventennio fa per poter sfruttare il gioco come leva fiscale, dal 2015 l’esecutivo guidato da Partito democratico ha iniziato a occuparsi del versante socio-sanitario della vicenda. In quell’anno infatti il governo in manovra di bilancio ha introdotto lo stanziamento di 50 milioni di euro annui per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza dal gioco d’azzardo. In quello stesso anno viene costituito, di concerto tra il Ministero della Salute e il dicastero dell’Economia e delle finanze, l’Osservatorio per il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, i cui compiti sono la valutazione delle misure di contrasto alla diffusione dell’azzardo e la definizione di linee di azione per le prestazioni di prevenzione.

Nel 2017 con l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza si introduce il trattamento per la ludopatia. Durante il primo governo Conte si vara il cosiddetto ‘Decreto dignità’ che ha l’obiettivo di vietare la pubblicità di giochi e scommesse – ma l’Agcom, a cui era stato assegnato il ruolo di comminare le sanzioni, ne ha sottolineato le criticità e le contraddizioni che rendono la norma difficilmente applicabile – e nei giorni convulsi della crisi di governo intrapresa dal leader della Lega Matteo Salvini viene ricostituito l’Osservatorio con un ampliamento delle competenze: aggiornare le linee guida su base di evidenze scientifiche; svolgere le funzioni assegnate dalla legge; esprimere un parere sui piani di attività presentati da Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano.

Simona Neri, sindaco del piccolo comune toscano di Laterina Pergine, nell’aretino, dal dicembre 2019 è rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani presso l’Osservatorio e ha un’ampia conoscenza del problema e delle possibili soluzioni, quelle che sono state preso solo in parte e quelle non ancora attuate. “Per anni il problema della malattia è stato solo di tipo etico-morale, ora è anche sanitario. E’ importante sensibilizzare sulla ludopatia per intercettare chi non si rivolge al Ser.D”, afferma il primo cittadino. Sul fronte delle istituzioni, Neri spiega quali strade si è scelto di seguire e quali sono le carenze: “Ora c’è un protocollo sanitario che i servizi possono attivare per il recupero, il reinserimento sociale e il tutoraggio economico di chi ha perso tutto” a causa del disturbo. In virtù dei suoi ruoli, Neri può monitorare il tipo di risposta che dà il territorio locale e quello nazionale: “L’Osservatorio deve valutare tutti i piani di contrasto, ho avuto modo di capire che non tutte le regioni hanno la stessa reazione. Lombardia e Toscana hanno preso più di petto il problema, c’è chi è più avanzato nelle proposte e ha attivato una rete mentre altre regioni mettono in atti misure meno efficaci e meno omogenee”.

Per attuarle però servono norme chiare e uguali per tutti, non è sufficiente vietare le pubblicità o imporre – lasciando l’incombenza alle leggi regionali – una distanza minima da luoghi sensibili come scuole, luoghi di culto e parchi pubblici, il cosiddetto distanziometro. “Vogliamo che venga ripreso e ridiscusso l’accordo preso in Conferenza unificata Stato-Enti locali del 2017, che permetteva di immettere sul mercato macchine awp controllabili da remoto e una misura importantissima per regolarizzare le fasce orarie di apertura a livello locale, oltre che dare peso agli indici di presenza mafiosa nei comuni. Noi amministratori siamo sempre bocciati dal Tar”. Serve poi “una legge nazionale che regolamenti il settore e la distribuzione dei punti gioco. Le leggi regionali son tante ma non si può andare avanti così, alcune licenze le dà il comune e altre la questura – che non fa riferimento ai distanziometri”.

Educazione, leggi e investimenti

Il contrasto al gioco d’azzardo e alla ludopatia deve passare per tre filoni d’azione, secondo De Carlo. “Culturale, legislativo e sanitario”, illustra lo psicologo. “Il primo per diffondere una cultura della salute psicofisica, il secondo per introdurre norme restrittive più severe e infine investire sui servizi”. Il conto dei costi è preso fatto: “Un grosso stimolo economico per i servizi di salute mentale costerebbe mezzo miliardo per le tradizionali sedute in presenza, se si investisse poi sull’intervento psicologico online la cifra potrebbe persino essere dimezzata. Per fare una proporzione, il budget alla sanità della Regione Veneto è di nove miliardi”.

Visto il livello di allarme espresso dagli addetti ai lavori, viene da chiedersi come i giocatori a rischio e quelli problematici hanno reagito ai due mesi di lockdown nazionale, all’ansia e alla paura della malattia e alla preoccupazione di fronte a, poniamo, il rischio di perdere il posto di lavoro. E’ presto per avere risposte sicure, sostiene De Carlo: “Sono state fatte delle surveys che hanno visto picchi di stress notevoli e si può facilmente stimare un aumento delle giocate da parte di chi già faceva uso su Internet, perché i comportamenti compulsivi sono risposte disfunzionali allo stress”. Ma forse si può chiudere con una nota di speranza. “Il lockdown è stato una specie di terapia d’urto per chi ha trovato le imposizioni e non si è avventurato in un nuovo stile di gioco con siti falsi e server stranieri”, racconta Neri “abbiamo fatto questionario per capire se ci sono state variazioni rispetto al gioco durante i due mesi trascorsi chiusi in casa: hanno risposto l’80% di giocatori problematici e patologici e solo l’11% ha dichiarato di aver spostato le proprie abitudini di gioco dall’on site (sul luogo) all’online”.

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