Le recenti notizie degli sbarchi sulle coste dell’isola siciliana di Lampedusa e il sovraffollamento dell’hotspot di contrada Imbriacola hanno riportato all’attenzione il tema delle migrazioni. Argomento che negli ultimi tempi aveva riguardato soprattutto l’arrivo di persone provenienti dall’Ucraina, prevalentemente donne e bambini in fuga dalla guerra che ha avuto inizio nella notte tra il 23 e il 24 febbraio. Ad oggi, i profughi ucraini nel nostro Paese sono 141.562, secondo i dati del Viminale, per la precisione 74.771 donne, 22.071 uomini e 44.720 minori. Lo scorso 6 luglio, rispondendo al question time, il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha dichiarato che di questi 141mmila , 12.550 sono accolti nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e 1.095 nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Mentre i migranti provenienti via mare da Paesi africani, mediorientali e asiatici nel periodo 1 gennaio-12 luglio 2022 sono 30.958, e i minori stranieri non accompagnati sbarcati sono 3.415 (al 4 luglio), secondo i dati del Cruscotto statistico giornaliero del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Se le provenienze sono diverse, le cause migratorie sono diverse, le condizioni di partenza sono diverse, una cosa accomuna molte di queste persone che lasciano il loro Paese: la necessità di assistenza psicologica per superare il trauma dell’esperienza migratoria, dello sradicamento, degli abusi subiti o a cui si è assistito.
L’intervista
Per approfondire i temi dell’aiuto psicologico alle persone migranti e della psicologia dell’emergenza, Interris.it ha intervistato la psichiatra e psicoanalista Adelia Lucattini, membro della Società psicoanalitica italiana (Spi) e dell’International psychoanalitical association (Ipa).
Quando ci riferiamo alle categorie di migranti e profughi, poi quali persone in carne e ossa vi trovate davanti?
“Occorre innanzitutto fare una distinzione tra i migranti e i profughi, e tra i primi tra i migranti economici o familiari, come arrivano – se via mare, via terra, via aereo, con visti turistici – e da quale parte del mondo. I migranti che arrivano per vie convenzionali di base non chiedono un supporto perché hanno una rete che gli accoglie e dei mediatori linguistico-culturali. Noi li intercettiamo nel caso abbiano disturbi mentali o problemi connessi alla migrazione, che è comunque una situazione con delle sue specificità. Altra cosa sono i migranti che intraprendono viaggi difficili e pericolosi, come quelli che passano per Stati non democratici, dove sono vittime di abusi, rischiano di essere rinchiusi in dei centri dove subiscono maltrattamenti e torture, assistono alla morte altrui e temono per la propria vita. Costoro ricevono un’immediata assistenza psicologica dagli psicologici dell’emergenza, che intercettano la loro angoscia e le loro inibizioni, grazie all’aiuto di mediatori linguistici e culturali formati per ascoltarli. I profughi sono coloro che non desiderano lasciare loro Paese di origine ma sono costretti, per sfuggire alle persecuzioni o perché scoppiano le guerra”.
Qual è la “specificità” dei profughi, in questo frangente?
“Si tratta di persone che vengono da una situazione traumatica, hanno perso la loro vita di prima, la casa intesa anche come punto di riferimento mentale, la loro rete sociale. Quando li incontriamo, mostrano ansie persecutorie e disturbi psicanalitici importanti, angoscia, disorientamento, e il tutto è ancora più complesso se hanno trascorso un periodo in un campo profughi. C’è da osservare che si tratta di persone che prima di questi avvenimenti non avevano disturbi, se non qualche caso come ce ne sono anche da noi in Italia, per cui è fondamentale il ricorso a etnopsicoanalisti ed etnopsichiatri che conoscono la cultura di provenienza di queste persone e le strutture sociali dei loro paesi. La cosa importante per gli operatori è saper porre le domande giuste. Domande che abbiano a che fare con il loro percorso, perché è attraversando questo percorso spazio-temporale si può arrivare al loro percorso interno. Noi dobbiamo intercettarli lì dove sono, con il loro dolore, perché è in quel momento che sviluppano il trauma”.
Quanto è importante, in questo processo, l’affiancamento del mediatore?
“In questo caso gli interpreti devono essere assolutamente formati sia come mediatori linguistici che culturali perché devono saper tradurre anche il senso di quello che le persone stanno dicendo. E questo dipende anche dal loro ambiente culturale di provenienza, basti pensare che la maggior parte del mondo infatti vive in comunità, il vicinato è formato spesso dai parenti”.
Come si svolge, in concreto, l’assistenza psicologica a queste persone?
“Hanno tutti paura e la paura li paralizza, per cui occorre mostrarsi interessati ma senza essere intrusivi. Nella nostra cultura l’assistenza psicologica è qualcosa di conosciuto e riconosciuto, ma dobbiamo considerare che ci sono persone che vengono da paesi in cui non c’è nulla di tutto questo e noi gli dobbiamo far capire che possiamo essergli utili senza far sembrare questa offerta d’aiuto in qualche modo aggressiva L’ascolto richiede tempi lunghi, bisogna capire qual è il ritmo della persona che si ha davanti perché i traumi determinano difficoltà raccogliere le idee e i pensieri intrusivi non controllabili interferiscono, inoltre sono persone diffidenti per via di quello che hanno subito. Si offre sempre un bicchiere d’acqua, perché molti di loro si dimenticano di mangiare e di bere, e bisogna dargli tempo e fiducia.”
Quali sono le principali richieste aiuto di persone migranti e/o profughi?
“Di solito chiedono una casa, non solo per andarci ad abitare ma per aver un luogo dove potersi rappresentare un immaginario, e che i figli vadano a scuola, mentre i giovani e gli adolescenti chiedono di fare rete”.
Come sta andando l’assistenza agli ucraini?
“In questo caso collaboriamo con gli psicologi ucraini, che si occupano degli aspetti più traumatici. Dagli ucraini arrivano richieste diverse, perché quasi tutti vogliono tornare nel loro paese per ricostruirlo e riprendere la loro di vita, mentre i loro figli o vanno a scuola dove sono accolti o comunque seguono le lezioni on-line con i loro insegnanti”.
Il modello italiano di assistenza e accoglienza “tiene”?
“Il tessuto di accoglienza formato dai comuni, dalle parrocchie e dalle associazioni è una rete che tiene e offre accoglienza – perché ricordiamo che per migranti e profughi non c’è obbligo di trattamento, bensì c’è la possibilità – e l’accoglienza diffusa a livello territoriale consente di evitare che si creino situazioni di ‘campi profughi’. Il nostro di gestione dell’emergenza e del post-emergenza è assolutamente collaudato e funzione sia con gli operatori professionali che con l’importantissima rete del volontariato”.