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Luca Fortunato (Apg23): “Vi spiego la matematica dell’amore”

L'intervista di Interris.it a Luca Fortunato, autore de "La matematica dell'amore" e responsabile della Capanna di Betlemme di Chieti

“Quando la prossimità diviene concreta e disinteressata si realizza la ‘matematica dell’amore’” E’ l’incipit del libro dall’interessante titolo “La matematica dell’amore”. L’autore, Luca Fortunato, di “prossimità concreta e disinteressata” (vale a dire di “amore gratuito verso gli ultimi) ne sa qualcosa.

Coordina la Capanna di Betlemme di Chieti della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi che accoglie tanti ultimi – padri separati, donne vittime di violenza, persone con disagi psichici o con disabilità, clochard, tossicodipendenti – scartati dalla società. Persone segnalate dai servizi sociali o semplicemente incontrate negli angoli dimenticati delle strade, ai quali Luca ha proposto di andare a vivere con lui alla Capanna di Betlemme. Dove trovano un tetto, un letto, un pasto caldo, un luogo sicuro dove poter relazionarsi con gli altri, lavarsi e dormire. E, soprattutto, dove trovare una famiglia. Finalmente, non più soli.

Interris.it lo ha intervistato sulla sua ultima fatica, “La matematica dell’amore. Nella condivisione con gli ultimi il segreto della felicità”, per le edizioni Sempre (2022), sulla sua relazione coi poveri e, last but not least, in merito al suo ricordo del fondatore e padre spirituale della Comunità Papa Giovanni XXIII: don Oreste Benzi.

Luca Fortunato, responsabile della Capanna di Betlemme di Chieti, in piedi nel riquadro a sinistra durante una cena con i senza fissa dimora nel Natale del 2020

L’intervista a Luca Fortunato

Il tuo libro si intitola “La matematica dell’amore”. Amore e matematica sembrano due termini in antitesi. L’amore ha dunque dei limiti prestabiliti?

“No, l’amore non ha dei limiti prestabiliti. Anzi! Si intitola ‘La matematica dell’amore’ perché è l’insieme di alcune formule di vita il cui risultato è sempre l’Amore. Se ci limitiamo ad amare solo chi ci ama, solo chi abbiamo scelto per interesse – è il senso profondo del testo – il nostro cuore può riempirsi al massimo al 60%. Tuttavia la permanenza di quel vuoto – il restante 40% – diventa assordante, e ci spinge a tuffarci nei surrogati nel tentativo di riempirlo (abuso di cibo, alcol, uso di droghe, gioco d’azzardo, abuso del nostro corpo o di quello degli altri) fino a pensare e credere che non si possa avere un cuore pieno di gioia, sereno al 100%. Dio ha nascosto la ‘formula’ di un cuore così nell’amore verso tutti, necessariamente anche verso chi non amiamo, verso chi non ci piace, verso chi è diverso da noi, verso chi non ci attrae, verso chi all’apparenza non ha nulla da darci in cambio. E invece è proprio in ognuno di loro, in ciascuno di questi fratelli che emarginiamo, che si cela il nostro 40% mancante. Insomma, se metti insieme, se fai incontrare davvero un giovane, una persona povera, una persona disabile è matematico che il cuore si riempia fino quasi a scoppiare di gioia, di pace, di serenità. Non è vero solo per le persone sensibili o quelle brave: no! Tutti hanno diritto ad essere felici, tutti hanno diritto a stare veramente bene, anche i più duri di cuore o quelli che pensano di non esserne capaci. Scegli i poveri e avrai la gioia, avrai la verità, avrai la serenità, avrai la pace. Oggi sembra invece che sia l’egoismo a farla da padrone, sebbene esso dia come risultato solo l’essere per sé stessi, e dunque un grande senso di vuoto”.

Perché hai scelto di scrivere questo libro?

“Perché attraverso alcune esperienze ho ricevuto un grande Dono, e ho sentito la necessità di comunicarlo a tutti, soprattutto ai giovani, così da restituirlo ed utilizzarlo come strumento di prevenzione contro droghe, alcol, contro il ‘non senso’ della vita”.

Come e quando è nato il tuo amore per i poveri?

“La mia è stata solo una risposta, in quanto sono stati loro stessi ad amarmi per primi. Mi sono trovato nella condizione di conoscerli, di approcciarmi a queste persone (soprattutto amici con disabilità grave) e di ricevere il loro amore; a me è spettato solo rispondere!”.

Anni fa, sei stato in missione in Africa: com’era vivere lì e cosa hai riportato da quel viaggio?

“Ho vissuto un anno in Zambia in un progetto con duecento bambini orfani. Il primo mese è stato duro, piangevo ogni giorno perché ritenevo inaccettabile la condizione di estrema povertà dei bambini, la mancanza di medicine o qualunque bene di prima necessità. Poi pian piano ho capito che avrei dovuto cambiare il mio sguardo, togliermi le lacrime dal volto e dare gioia. Questo per me è stato edificante e doloroso allo stesso tempo; mi ha dato il coraggio di non aver paura della povertà che abbiamo in occidente, che è nulla rispetto alla miseria che ho scoperto lì. Anche lì c’è stato un passaggio di ‘restituzione’: ho deciso di rimettere in circolo i doni che Qualcuno mi aveva dato per metterli a servizio di chiunque fosse rimasto indietro”.

Don Oreste Benzi  (San Clemente, 7 settembre 1925 – Rimini, 2 novembre 2007) fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Nel tuo percorso hai incontrato don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII alla quale apparti. Che ricordo hai di lui?

“Ho conosciuto don Oreste poco prima di partire per l’Africa, durante un corso missioni organizzato proprio dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, della quale ancora non facevo parte. L’ho incontrato poi per due volte durante il mio periodo in Zambia, oltre a diversi colloqui e alla preghiera insieme. Di lui ricordo il profumo di santità: don Oreste era un Santo che camminava in mezzo agli altri. Metà di lui era già in Cielo, e l’altra metà mi stava di fronte. E’ stato un incontro fortissimo che ha modellato le mie scelte di vita verso gli ultimi e i dimenticati. Che lui amava come figli”.

Cosa ti ha colpito maggiormente del sacerdote dalla “tonaca lisa”?

“Aveva una capacità unica di dare speranza e luce. Mi risuonano spesso le sue parole: ‘Non aver paura, coraggio!. Brillava nella sua assoluta semplicità, nella sua capacità di farsi prossimo”.

Dal 2014 vivi a Chieti come responsabile di una Capanna di Betlemme. Di cosa si tratta e che cosa fai lì?

“La Capanna si occupa di persone senza fissa dimora, con sfratto esecutivo, di papà separati, così come di donne vittime di violenza o di tratta. Si occupa di povertà, di disagio sociale, di disagio socio-sanitario (quindi di tutte quelle persone che hanno problemi sanitari, psichici o dipendenze). Facciamo una primissima accoglienza per poi cercare di far recuperare loro quei diritti che gli spettano, cercando di accompagnarli verso il miglior tipo di vita adatto a loro. Li aiutiamo dunque anche nella ricerca di un’occupazione, nell’orientamento lavorativo, nell’inserimento in corsi di formazione, nella ricerca di un’abitazione. Ma soprattutto le persone che passano per la Capanna trovano Qualcuno, oltre che qualcosa, e questo fa la differenza!”.

Vuoi raccontarci una storia dal tuo libro che ti ha toccato particolarmente?

“Preferisco non raccontare una storia in particolare poiché questo libro non nasce per essere autoreferenziale: sono storie di persone straordinarie, di persone che ho incontrato nella mia vita, che hanno fatto la differenza, ma sono persone che esistono in tutto il mondo, che chiunque può incontrare. Persone che apparentemente non hanno nulla da dare ma che in realtà hanno proprio quello che manca”.

In conclusione, perché leggere “La matematica dell’amore“?

“In questo libro c’è una sorpresa, un dono, un regalo da scartare, c’è uno stile di vita da scoprire che porta alla Gioia, alla Serenità e che porta a scrollarsi la pesantezza di dosso”.

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