“Essere famosi di per se non è né una cosa utile, né importante. Può diventare una cosa utile e importante se attraverso il seguito che hai, cerchi di costruire conoscenze in rapporto a determinate situazioni, cause o progetti umanitari. Come quelli di UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati”. A dirlo è Lino Guanciale, attore teatrale e volto noto di fiction televisive di grande successo. Ma non solo.
Guanciale è anche impegnato da molti anni a sostegno della causa dei rifugiati. E’ infatti ambasciatore UNHCR Italia. L’agenzia Onu può contare su diversi personaggi popolari come Lino che contribuiscono a UNHCR sostenendo i rifugiati attraverso raccolte fondi e campagne di sensibilizzazione, rappresentando l’agenzia negli eventi e parlando dei rifugiati nel corso di interviste, nonché intraprendendo missioni all’estero in zone remote e di conflitto. Così facendo, contribuiscono a ricordare al mondo la sofferenza dei rifugiati e al contempo fanno sapere a questi “ultimi” che non sono stati dimenticati. Senza gli ambasciatori, l’UNHCR avrebbe un lavoro molto più duro da compiere per sensibilizzare l’opinione pubblica delle reali condizioni di vita delle persone che scappano dai propri Paesi per guerre, conflitti e carestie.
Nell’intervista esclusiva per InTerris.it, Lino Guanciale racconta delle sue esperienze con UNHCR Italia in Etiopia e in Libano e del perché l’incontro con i rifugiati sia stato “deflagrante” per la sua vita.
L’intervista a Lino Guanciale
1 – Come è iniziata la collaborazione con UNHCR?
“La collaborazione con UNHCR è iniziata 6 anni fa. Sono venuti a cercarmi loro ma io non aspettavo altro. Mi trovavo in un periodo della mia carriera di attore con una popolarità in crescita e mi stavo interrogando su come investire questa piccola dote di visibilità mediatica. Perché ho sempre cercato di tenermi chiaro in testa che essere famosi di per sé non è una cosa né utile né importante. Può diventare una cosa utile se attraverso il seguito che hai, cerchi di costruire conoscenze in rapporto a determinate situazioni, cause o progetti umanitari. A me già all’epoca era chiaro come intorno all’emergenza rifugiati si stesse coagulando la parte più significativa, il nodo dei nodi, del nostro dibattito politico contemporaneo. Quindi sono bastate solo tre parole per rispondere alla chiamata UNHCR: ‘Sì, voglio partecipare!’”
2 – Quale è stata l’esperienza più significativa vissuta con UNHCR e perché?
“Con UNHCR oltre alle campagne nazionali legate a contesti formativi come le visite ai centri dove i rifugiati vivono e studiano per rimettersi in carreggiata sotto ogni punto di vista in attesa che la propria situazione documentale venga messa a punto e la partecipazione alle campagne di sottoscrizione, ho anche partecipato a due missioni estere, una in Etiopia e una in Libano. Sono state entrambe esperienze enormemente importanti per me e potrei dire che quella più dirompente sotto certi aspetti è stata la prima, in Libano, ma semplicemente per il potere di novità che c’era per me nel trovarmi per la prima volta in una situazione di questo tipo: incontrare in loco persone che avevano dovuto rinunciare a tutto e cercare di convincerle che aprendosi avrebbero ottenuto un qualche beneficio attraverso il materiale video che stavamo effettuando e dare visibilità alla loro condizione, in modo che si creasse una sensibilizzazione nell’opinione pubblica italiana inerentemente alle loro reali condizioni. In Etiopia l’esperienza che ho visto attraversando per la prima volta il grande campo rifugiati di Mai Aini, quasi al confine con l’Eritrea, è stata davvero potentissima. Era la prima volta che ne visitavo uno così grande! Lì ho fatto anche diretta conoscenza con una situazione di contenzione di tante persone ‘costrette’ a stare in un luogo pur sicuro – dove chi ti segue fa di tutto per farti studiare, per farti costruire le basi per un futuro migliore e che dove tutto quello che ti ha distrutto la vita è alle spalle – ma che inevitabilmente diventa come una specie di grande limbo: le persone finiscono per abitarvi anche per decine di anni. Dunque,, anche se in maniera diversa posso dire che entrambe le esperienze siano state deflagranti per me”.
3 – Qual e l’importanza di essere ambasciatore UNHCR?
“Essere ambasciatore UNHCR è importante per tanti motivi: ho deciso di farlo perché credo in una determinata progettualità e causa ben specifica. Oggi come oggi essere ambasciatore per l’agenzia ONU per i rifugiati è importante perché uno chiarisce bene da che parte sta in rapporto alla più grande emergenza umanitaria e culturale del nostro tempo. Schierarsi non è una cosa brutta! Schierarsi è una cosa bella perché aiuta a chiarirsi e anche a vivere meglio con se stessi. Di sicuro a me sta facendo molto bene, è un’occasione di crescita enorme”.
4 – Quale rapporto tra notorietà e volontariato? Come un volto noto può aiutare le cause umanitarie?
“Un volto noto può essere utile perché, essendo seguito da tanta gente – googlato dai fans [ride, ndr] – può costruire l’occasione per dare una maggiore risonanza a determinate storie e necessità. E quindi maggior visibilità a determinati contenuti. A me piace sempre raccontare una storia: quando ero in Libano uno dei rifugiati che stavo per intervistare dentro casa sua – una tenda nel piccolo campo di insediamento in Libano – mi chiese il perché io fossi là. Non in senso teorico, ma pratico, cioè come a dire: ‘ma tu che utilità mi porti?’. E io risposi: ‘La gente clicca i miei video!’. Mi è sembrata la risposta più sintetica ed efficace possibile. Questo ragazzo, che si chiamava Amhed, mi chiese di dargli il mio telefono per vedere quante visualizzazioni facessi coi miei video. Così si convinse che, tutto sommato, potesse essere un investimento utile fare un’intervista insieme [ride, ndr] e mi fece entrare. Questo piccolo apologo credo spieghi bene in che modo, concretamente, chi ha la ventura di essere popolare possa essere utile alle cause umanitarie come questa”.
5 – Come è stato vissuto il periodo della pandemia e del conseguente blocco del lavoro degli artisti?
“La pandemia è stata ed è ancora un flagello terribile per il settore artistico e performativo. Segnali di ripresa si sono cominciati ad avere da un anno a questa parte ma sempre con la “spada di Damocle” delle aperture e chiusure a singhiozzo di cinema e teatri causate dalla veemenza delle ondate di contagi. Io mi auguro che adesso si riesca, con le regole pattuite, a proteggerci tutti insieme nella maniera più efficace possibile creando un equilibro tale da permetterci di convivere con il virus con meno rischi possibili per la salute della collettività. Questo mi pare l’unico ordine di idee da conquistare: fare di tutto per proteggersi affidandosi e fidandosi della scienza. Quindi fidandosi dei vaccini, dai sistemi messi a punto dalle istituzioni, per riuscire a effettuare tracciamenti efficaci e tornare sia alle abitudini che avevamo. Ma anche ad averne di nuove. Ho infatti la speranza che la visibilità della sofferenza patita tra gli altri dal settore dello spettacolo – che durante la pandemia ha avuto un faro puntato con la chiusura dei teatri, dei cinema, dei concerti, delle discoteche e delle maestranze senza lavoro per mesi – faccia nascere il desiderio nelle persone che non erano mai state a teatro di andarci per sostenere il mondo dello spettacolo ma anche e soprattutto per scoprire un linguaggio che più di ogni altro racconta la contemporaneità. Il teatro è per sua natura contemporaneo. Parlo più di teatro che di televisione o cinema perché questi due canali hanno trovato dei nuovi equilibri, anzi si sta lavorando molto sui set – di film come di fiction – in questi mesi. Sono le arti performative dal vivo (perciò includo, oltre al teatro, anche la danza e la musica) che in questo momento soffrono più di ogni altro comparto artistico la pandemia”.
Quali sono i suoi prossimi appuntamenti lavoratovi?
“Mi attende a breve il debutto in uno spettacolo al teatro Giuseppe Manini di Narni. Sarò in scena insieme a Francesco Montanari in L’uomo più crudele del mondo scritto e diretto da Davide Sacco che, insieme a Francesco dirige il teatro Manini. Questo spettacolo andrà poi in tournée l’anno prossimo. Subito dopo ho un alto spettacolo, Zoo, scritto e diretto da Sergio Blanco, grandissimo autore uruguagio, che debutterà al Piccolo Teatro Grassi di Milano il 26 marzo. È un bellissimo momento della mia carriera perché ho tanto teatro in questi mesi, e il teatro mi fa bene! È qualcosa che non ho mai smesso di fare venendo io dal palcoscenico. Da maggio in poi tornerò sul set di serie tv molto attese e anche quello non vedo l’ora di farlo!”.
7 – Cosa vuole dire in conclusione?
“In conclusione mi viene da dire solo grazie una volta di più a UNHCR per avermi cercato [ride ancora, ndr]; benedico ancora il giorno in cui mi è stata data la possibilità di dire sì di slancio. Lo rifarei altre mille e mille volte perché davvero credo che non ci sia dovere più forte – un imperativo morale più alto – di fare per qualcun altro quello che in condizioni estreme vorresti davvero che fosse fatto a te. Cerco sempre di mettermi nei panni degli altri per…deformazione professionale! [ride di nuovo, ndr]. Quello che sta accadendo oggi con le gravi emergenze umanitarie e crisi r nel mondo è già accaduto in passato nel nostro Paese. Noi italiani ci siamo già passati. E non dovremmo dimenticarcelo”.
In questi giorni UNHCR ha lanciato la nuova campagna “Questo inverno salva dal freddo i bambini afghani”. Per aderire alla raccolta fondi clicca qui.