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Lino Banfi: “Ho fatto ridere tre Papi, ma la fede è una cosa seria”

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Lino Banfi, pseudonimo di Pasquale Zagaria (Andria, 9 luglio 1936) è un attore, comico, sceneggiatore ed ex cabarettista “padre” di personaggi iconici e indimenticabili della commedia all’italiana, quali il Commissario Lo Gatto, l’allenatore di calcio Oronzo Canà e last but not least, nonno Libero della fortunata fiction televisiva “Un medico in famiglia”.

Durante la sua lunga carriera ha inoltre recitato in ruoli sia comici sia drammatici con molti attori famosi e lavorato con alcuni noti registi del cinema italiano, quali Luciano Salce, Nanni Loy, Steno e Dino Risi.

Goodwill Ambassador Unicef

Pochi sanno però che Banfi, tra gli attori più amati in Italia, ha una particolare attenzione per i problemi delle persone meno fortunate e in particolare dei bambini.

La sua scelta di privilegiare l’immagine di difensore dei valori positivi della famiglia, incarnati sullo schermo nel ruolo di nonno Libero, ha infatti creato le condizioni per l’incontro tra UNICEF Italia e l’attore pugliese.

L’amore per i bambini lo ha spinto a mettersi a disposizione nelle vesti di Goodwill Ambassador Unicef da febbraio del 2000. Nel 2001 ha fatto il suo primo viaggio in Eritrea, dove ha visitato i campi profughi di Harena, Afabet, Adi Keshi. Nel 2003 è andato in missione in Angola durante le giornate dedicate alla campagna di vaccinazione contro il morbillo. Lì ha visitato molti dei progetti UNICEF: dai centri nutrizionali ai programmi igienico-sanitari e di sensibilizzazione contro le mine. Tra le tante altre iniziative, ricordiamo quella del 2006 dove è testimonial della campagna “Uniti per i bambini, Uniti contro l’AIDS” e quella del 2011, quando ha promosso, sempre come testimonial, la campagna di lotta alla mortalità infantile Vogliamo Zero.

La giornalista di In Terris Milena Castigli parte proprio da questa lunga collaborazione con Unicef Italia per intervistare Lino Banfi su volontariato, lavoro, fede, Padre Pio e qualche amarcord, come l’incontro simpatico con Papa Francesco e la lunga carriera di attore comico, iniziata in seminario tanti anni fa grazie a un…vescovo in odore di santità.

L’intervista

Signor Banfi, lei ha partecipato a numerose iniziative Unicef dal 2001 al 2011. Come è nata la sua collaborazione con Unicef Italia e cosa rappresenta esserne ambasciatore?
“In questi 20 anni con Unicef ho creato un bel rapporto sia col presidente, il dott. Francesco Samengo, sia con Chiara Ricci, la Responsabile Area Volontari e Programmi Unicef Italia. Samengo (quando mi chiama al telefono) mi dice sempre: “Pronto? Parlo con Nonno ciccio 1?”. Perché ormai lui è ‘Nonno ciccio 2’ e io sono Nonno Ciccio 1! In questi anni ho fatto tante cose con loro perché Unicef è una cosa seria. Sono stato anche ad Amsterdam dove c’è una grandissima piattaforma di smistamento da dove partono i medicinali o le altre cose necessarie via aerea o via mare. Lì ho toccato con mano l’impegno di migliaia di volontari che operano con il cuore. E ho capito l’onore ma anche l’onere di essere ambasciatore Unicef: metti la faccia per un progetto importante, nel quale lavorano tante persone e per il quale tante altre donano i propri soldi. Ed è vero – come tutti mi chiedono – che le donazioni e i lasciti arrivano a destinazione! Le persone mi credono perché, come dicono a Unicef, ‘ho la faccia che convince’!”.

Come ha vissuto il lockdown e la pandemia?
“Inizialmente io e mia moglie Lucia eravamo rassegnati a non uscire. Questo durante il lockdown. Dopo, è scattato qualcosa: una voglia di rinascita, di ricominciare a vivere e non ad appassire nell’aspettare l’arrivo di questo maledetto virus. Un nemico invisibile quindi assurdo. Chi come me ha una certa età, ha vissuto la guerra e i bombardamenti. Le bombe erano un nemico visibile, si sentivano, tu scappavi e cercavi di evitare quella bomba che se ti colpiva ti uccideva di sicuro. Adesso invece non conosciamo bene questo nemico: in molti parlano ma nessuno di loro dice una cosa uguale all’altra. E’ quindi difficile capire chi è il nemico se non ci capiamo neppure tra di noi. Ho reagito riprendendo a lavorare, facendo ospitate televisive e girando due nuovi film: uno con Ronn Moss e uno che sto girando in questi giorni a Bologna, proprio sugli anziani in una Rsa, che si intitola ‘Simpatiche canaglie’. Tutto pur di uscire dal letargo, ma in sicurezza: col virus non si scherza”.

Lino Banfi con la moglie Lucia

A proposito di “nonno ciccio 1”, lei è definito “Il nonno d’Italia”. In quanto tale, quale consiglio darebbe ai giovani spesso costretti a lasciare l’Italia per trovare lavoro?
“Noi nonni siamo quasi 13 milioni in Italia. Ma se i giovani non fanno figli, noi nonni scompariremo! Quando vado a parlare ai giovani dico sempre loro [in dialetto pugliese, ndr]: ‘Ehi raghézzi, svegliatevi. Che succede? Perché non fate figli?’. Il consiglio che do loro è: se è proprio necessario andare all’estero, magari per fare un’esperienza, fatelo. Ma poi, quando sarete diventati bravi, tornate in Italia. La vostra gioia sarà dimostrare che siete riusciti a realizzare i vostri sogni. E costruire qualcosa di grande anche per il vostro Paese. Questo è l’augurio ai tanti ‘cervelli in fuga’: che possano trovare in Italia quelle condizioni economiche e sociali affinché possano rientrare”.

E’ vero che fu un vescovo a suggerirle di intraprendere la carriera di attore comico? Come accadde?
“Sì, stavo studiando in seminario. La mia famiglia era povera: nessuno aveva studiato, facevano i contadini. Io ero bravo a scuola e allora mio padre decise di mandarmi in seminario per studiare e avere un titolo. Lì facevamo delle recite religiose due volte all’anno: a Natale e a Pasqua. Io interpretavo a volte san Giovanni, a volte san Pietro, a volte Giuda. Gesù Mai! Non ero abbastanza bello!”.

“In seminario incontrai un vescovo che adesso è in odore di santità: il venerabile mons. Giuseppe Di Donna. A 13-14 anni mi mandarono via dal seminario: mi avevano scoperto a fumare una sigaretta. In quell’occasione, il vescovo mi disse ‘meglio un bravo ragazzo fuori che un cattivo sacerdote dentro’. Io stavo andando via piangendo, pensando alla delusione che avrei dato ai miei genitori. Allora il monsignore mi disse: ‘Zagaria – il mio cognome vero – perché stai piangendo? La tua vera vocazione non è quella di fare il prete ma di far ridere le persone!”.

Il Venerabile Giuseppe di Donna

Perché le disse così?
“Perché durante le recite, le persone ridevano! Anche se io facevo parti drammatiche le persone mi guardavano e ridevano. ‘Hai una faccia strana, che fa ridere’, diceva il vescovo, ora venerabile. Alla fine il suo consiglio è servito! Io poi lasciai il seminario e inizia il liceo classico, che però non finii perché iniziai a lavorare in alcune compagnie teatrali. Da allora, non mi sono più fermato”.

Pochi giorni fa è stato pubblicato il suo libro intitolato “In Italia siamo tutti allenatori nel pallone”, in riferimento alla mitica figura di Oronzo Canà. Dei tanti personaggi, comici e drammatici da lei interpretati, quale le rassomiglia di più e perché?

Lo spettacolo e le luci della ribalta non sono tutto nella vita. Lei è anche un credente. La fede ha un ruolo importante nella sua vita?
“Molto. Ha un ruolo basilare anche in questa fase drammatica della mia vita in cui mia moglie Lucia, che ha 82 anni, sta affrontando una terribile malattia. Io, così come faccio con le battute nei film, mi sono ‘cucito addosso’ anche la fede facendo dei lunghi discorsi con il Padre Eterno. Gli racconto le barzellette! Ogni tanto gli chiedo se è giusto tutto quello che stiamo vivendo. In questo caso non ricevo risposte, ma dei silenzi. Ho creato nel mio cervello un’immagine: una carovana di persone, capeggiate da mio padre e da Padre Pio, con dietro parenti e amici morti, che vanno da Dio. Fanno una piccola salita per poi arrivare da Lui. Allora io, prima che arrivino al cospetto dell’Altissimo, dico loro quali sono i messaggi da portargli: domande, pensieri, preghiere. Mi faccio dei lunghi dialoghi con loro e con il Padre Eterno. E anche qualche risata! Questo è il mio modo di vivere la fede”.

Ha nominato Padre Pio. E’ devoto al frate di Pietralcina?
“Sì molto. Non l’ho mai conosciuto ma se ne è sempre parlato in famiglia. Mio padre mi diceva: ‘Ma perché non vai a San Giovanni Rotondo o a Pietralcina’. Ma io, quando facevo avanspettacolo ero, come tutti i miei colleghi alle prime armi, uno ‘scavalcamontagne’: facevo di tutto e andavano ovunque pur di riuscire a dare lo spettacolo e non avevo il becco d’un quattrino. E non sono mai andato mentre era ancora in vita. Andai solo dopo la sua morte, grazie all’invito di Carlo Campanini, che era un grande attore comico (e lo chiamavo Maestro) amico carissimo di Padre Pio”.

Campanini vi parlava di Padre Pio?
“Sì, sempre. Lui scendeva molto spesso. In alcune occasione, pagò il viaggio a un collega per farglielo incontrare. Ci raccontava che padre Pio era una persona stupenda e mi invitava ad andare dal santo a farmi benedire. Campanini, che aderiva a tutti gli inviti dei Gruppi di preghiera per parlare delle esperienze vissute accanto al santo, ci raccontava che padre Pio era molto simpatico e che sapeva raccontare le barzellette!”.

Carlo Campanini e padre Pio

Poi lei andò a san Giovanni Rotondo?
“Sì, ci andai quando lui non era più in vita. Vado a pregare a san Giovanni Rotondo di nascosto, in incognito. In una di queste visite ricevetti un dono molto bello dai frati. Un’immagine di padre Pio molto rara: mentre dorme! Perché Padre Pio diceva sempre: ‘non fatemi fotografie quando dormo’. Invece una gliela fecero e i frati mi regalarono il quadretto – che ho ancora appeso in casa – con la riproduzione di padre Pio che dorme beato. Nell’immagine si vede lui sul lettino che dorme di lato, con le mani guantate sotto il viso, in pace, sorridente. Quel quadro lo tengo appeso in camera mia, davanti al letto, e mi fa addormentare serenamente”.

Torniamo al presente. Lei ha incontrato recentemente il Papa. Vuole raccontaci come è andata?
“Io ho avuto la fortuna di conoscere tre Papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. E ho fatto sorridere tutti e tre! Ho una foto bellissima con Wojtyla che mi accarezza. Lui stava già male, soffriva di Parkinson. I cardinali gli dissero: ‘Si ricorda questo signore che l’ha fatta tanto sorridere?’. Io mi emozionai molto al pensiero di averlo fatto ridere!”.

Lino Banfi con Giovanni Paolo II

“Sono molto amico di Papa Ratzinger, l’ho incontrato anche dopo che ha lasciato il pontificato nel 2013. Tempo fa, abbiamo parlato quasi un’ora soli, io e lui in salotto, all’interno della sua residenza presso il monastero Mater Ecclesiae”.

“A Benedetto XVI chiesi la benedizione per i miei 50 anni di matrimonio con Lucia. Lui accettò e quando fummo in sua presenza, disse a mia moglie: ‘Lei è fortunata, suo marito la fa ridere’. E lei rispose: ‘Mica tanto. A volte è triste’. ‘Solo quando sono incavolèto!’, spiegai in dialetto”.

Lino Banfi e la moglie Lucia con benedetto XVI

“Per quanto riguarda Francesco, grazie a un mio conoscente, ho saputo che il Papa mi voleva conoscere. Era nel periodo di Natale dello scorso anno. In quei giorni, il 17 dicembre, il Papa – che ha la mia età perché siamo entrambi del 1936 – compiva gli anni. Ci siamo incontrati un mercoledì mattina prima dell’udienza generale in una stanza a Santa Marta. Mentre aspettavo di essere ricevuto, due guardie svizzere lì presenti mi riconobbero e mi chiesero di fare una foto insieme. Io non so fare i selfie! Perciò uno di loro prese il cellulare e ci mettemmo in ‘posa’ per l’autoscatto. Proprio in quel momento scese il Papa e ci vide! Le due guardie divennero rosse in faccia come peperoni…Ma il Santo Padre sorrise e, con la mano, fece segno di continuare a fare la foto ricordo…Un gesto bello e molto umano”.

“Poi, dopo la foto, entrammo in salotto. Lì Francesco mi disse: ‘mi hanno detto che lei è una persona molto importante e che è il nonno d’Italia’. Beh, santità – dissi io – che lei dica a me che io sono una persona importante è assurdo. Se io sono il nonno d’Italia lei è l’abuelo del mundo [il nonno del mondo, ndr]. Lui gradì molto e quando gli dissi che eravamo coetanei, lui mi mise amichevolmente una mano sulla schiena e mi disse: ‘Beh, Banfi, lei può dire che ha anche meno anni di me’. Noi – dissi io – siamo come i buoni vini, non invecchiamo mai”.

Lino Banfi con Papa Francesco

“A quel punto volevo farmi una foto e glielo chiesi. Santità – dissi – possiamo fare una foto insieme? Sennò, quando racconto che ho visto il Papa, non mi crede nessuno! Lui rise e disse di sì. Purtroppo, neppure lui sapeva fare i selfie, così ci ha fotografati un prete che stava lì vicino”.

“Questo per dire che, anche se sono stato solo una manciata di minuti a parlare con lui, ho capito dallo sguardo e dalle piccole cose la grandezza di quest’uomo. E del fardello che porta ogni giorno addosso. Credetemi, non è facile essere Papa!”.

Lino Banfi, “Siamo tutti allenatori nel pallone”, Marco Ercole ed., 2020
Milena Castigli: