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Merlin, 65 anni della legge contro l’ingiustizia più antica del mondo

Il 20 settembre 1958 entrava in vigore la Legge Merlin, che prevedeva la chiusura delle case di tolleranza. Ecco come si arrivò a questa svolta di civiltà

65 anni fa, il 20 settembre 1958 entrava in vigore la Legge Merlin, che prevedeva la chiusura delle case di tolleranza. In Italia la legge per l’abolizione delle case chiuse, presentata dalla senatrice socialista Lina Merlin nell’agosto del ’48, passò 10 anni dopo, il 4 marzo ’58, tra accese polemiche. È stata l’ultima fermata di un lungo percorso di regolamentazione del sesso a pagamento nell’Italia unita. La legge Merlin pose fine alla regolamentazione della prostituzione in Italia, chiudendo le case di tolleranza. Settecento casini furono chiusi, liberando 3 mila prostitute. “Il grado di civiltà di un Paese, come ha ricordato il presidente della Repubblica durante le celebrazioni per l’8 marzo 2019, al Quirinale, si misura dalla condizione della donna in quella società – osserva don Aldo Buonaiuto, animatore accanto a don Oreste Benzi del servizio anti-tratta della Comunità Papa Giovanni XXIII e autore del libro d’inchiesta “Donne crocifisse” (Rubettino, con la prefazione di papa Francesco)-. Davanti a una platea in maggioranza femminile, il Capo dello Stato ha sottolineato come lo sfruttamento sessuale delle donne sia una pratica criminale purtroppo largamente diffusa“.Merlin

Legge Merlin

“Ci sono lezioni del passato su cui è opportuno meditare“, ha sottolineato Mattarella riferendosi alla Legge Merlin che dichiarò fuorilegge lo sfruttamento della prostituzione. La senatrice Lina Merlin dovette lottare, in Parlamento e fuori da esso, contro pregiudizi e stereotipi inaccettabili, duri a morire – aggiunge il Capo dello Stato–. Vi erano parlamentari che sostenevano persino che alcune donne nascevano prostitute. E pertanto non sarebbero mai cambiate. Quella legge fu una tappa importante nel cammino di liberazione della donna. Oggi quella senatrice, Lina Merlin, sarebbe in prima linea contro la tratta di questo nostro tempo. Non meno importante la reazione ferma che bisogna avere contro chi usa violenza fisica e psicologica, fino in molti casi a procurarne la morte, contro mogli, figlie e fidanzate. Non possiamo continuare ad assistere inerti alla violenza nelle case e nelle strade. È infatti un compito costante di tutti rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo di ogni persona umana. “Sul mercato del lavoro le condizioni delle donne italiane sono ancora critiche. E il tasso di occupazione femminile insoddisfacente, soprattutto se paragonato agli altri Paesi europei- avverte il presidente della Repubblica-.Nella nostra società infatti ci sono risorse civili e morali in grado di continuare il percorso della libertà, della parità, della differenza che arricchisce la comunità.Merlin

Contro la tratta

Il presidente Mattarella ha anche espresso parole durissime sugli uomini “complici” della tratta. “Mi piace ricordare il 7 dicembre 2018, quando Mattarella aveva partecipato a Rimini al 50esimo anniversario della Papa Giovanni XXIII, incontrando anche le ragazze salvate dalla strada. In quell’occasione mi venne spontaneo rivolgergli la richiesta di dedicare  la festa della donna pensando alle vittime di tratta. Lui ci ha ascoltato“, riferisce don Aldo Buonaiuto. Le ingiustizie hanno antiche radici, sia nazionale sia intermazionali. Con l’Unità d’Italia venne autorizzata l’apertura di case controllate dallo Stato per l’esercizio della prostituzione. Le case di tolleranza, cioè tollerate dallo Stato, furono classificate, nel 1860, in tre categorie e il Decreto diventò Legge attraverso l’emanazione del “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione”. Un secolo e mezzo fa il legislatore, appena raggiunta l’unificazione nazionale, si preoccupò immediatamente di fissare tariffe. Di indicare la necessità di una licenza per aprire una casa, di stabilire le tasse da pagare e di istituire controlli medici sulle prostitute per contenere le malattie veneree.

Ingiustizia secolare

A ricostruire l’evoluzione storica del meretricio coatto nel nostro Paese sono alcuni saggi fondamentali come “Storia della prostituzione in Italia” di Romano Canosa e Isabella Colonnello, “Storia delle case chiuse in Italia e in Veneto” di Walter Basso, “Storia delle case chiuse in Italia e in Toscana” di Alessandra Artale, “Storia della prostituzione” di Vern L. Bullough e M. Vassalle. La regolamentazione del sesso a pagamento in Italia è durata parecchi decenni. Nel 1888, secondo la legge Crispi, all’interno delle case di tolleranza era vietato vendere cibo e bevande, fare feste, balli e canti. Non si potevano aprire case di tolleranza in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole. Le persiane dovevano restare chiuse (da qui il nome “case chiuse”). Nel 1891 furono ridotte le tariffe in modo da limitare la prostituzione libera, che non era soggetta a controllo sanitario. Durante il fascismo i gettoni (o marchette) consegnati a fine giornata dalla ragazza erano la base per calcolare il suo compenso nel bordello. Nella prima metà del Novecento, la situazione non era migliore all’estero. In Unione Sovietica, nel 1922, furono censite 62 mila prostitute a Pietrogrado e Mosca. E solo nel ’46 la Francia chiuse i bordelli, seguita dalla Germania.

Iniquità irriducibile

“Regolamentare la prostituzione è la più insopportabile e indegna delle menzogne che l’uomo si racconta da millenni– avverte don Buonaiuto-. Codificare il mercimonio coatto equivale a negarne l’irriducibile iniquità. Se nel più antico testo legislativo dell’umanità (il codice di Hammurabi del 18° secolo avanti Cristo) si è regolamentata la prostituzione, è evidente quanto il fenomeno affondi le proprie malefiche radici nella notte dei tempi. Nell’Egitto dei faraoni le schiave del sesso erano le prigioniere di guerra e, persino il popolo ebraico, fin dagli albori della sua millenaria storia, affidava ai tribunali la gestione economica e sociale dell’attività delle prostitute. Meretrici, etère, cortigiane attraversano la civiltà greca e latina fino ad arrivare al Medioevo cristiano e musulmano. E da lì al Rinascimento e all’età contemporanea, come ricostruisce Vern Leroy Bullough nel suo saggio “Storia della prostituzione”.

Storia dolorosa

Dall’età preistorica la sopraffazione dell’uomo sulla donna e meretricio sono inestricabilmente collegati. Gli studi antropologici individuano la divisione forzata tra sessualità maschile e femminile, già prima del passaggio dalla vita nomade a quella stanziale. Avvenuto 10 mila anni fa con l’introduzione dell’agricoltura. Insomma, più che il mestiere più antico del mondo, la prostituzione si configura come l’ingiustizia più radicata nella storia dell’umanità. Le prime case di tolleranza statali risalgono all’Atene del VI secolo avanti Cristo, all’epoca di Solone. Funzionari dello Stato (“pornotelones”) riscuotevano dal tenutario (“pornoboskos”) la tassa sulle rendite delle sue dipendenti. Le prostitute di strada, invece, si riconoscevano per la scritta “akolouthi” (seguimi) sui sandali. E un magistrato si occupava del controllo del meretricio.  colosseo

Nell’antichità

Nella Roma delle origini le prostitute si tingevano i capelli di rosso, indossavano la tunica invece della stola. E ululavano come i lupi alla luna per attirare i loro clienti, per questo erano chiamate “lupe” (oltreché meretrici, da “merere” – guadagnare). E i lupanari erano i bordelli dell’epoca.Altri loro nomi erano: “fornicatrices” (da fornix, “arco”) perché adescavano sotto i ponti, “ambulatrices” (passeggiatrici) perché adescavano per strada e “lenoctilucae” (lucciole) perché uscivano di notte. Le prostitute erano di proprietà dei padroni di schiavi (“lenones”). Per Catone, il Censore: “è nei lupanari che i giovani devono soddisfare i loro ardori, piuttosto che attaccarsi alle donne sposate” e un Tribunale sorvegliava 32 mila prostitute. “È una ferita alla coscienza collettiva, una deviazione all’immaginario corrente– sostiene il Pontefice nella prefazione di “Donne crocifisse”-. È patologica la mentalità per cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce da usare e poi gettare. È una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società. Liberare queste povere schiave è un gesto di misericordia e un dovere per tutti gli uomini di buona volontà. Il loro grido di dolore non può lasciare indifferenti né i singoli individui né le istituzioni. Nessuno deve voltarsi dall’altra parte o lavarsi le mani del sangue innocente che viene versato sulle strade del mondo”.Papa

Epoche

Nel Medioevo le meretrici si spostavano secondo il calendario di fiere e mercati oppure accompagnavano gli eserciti in guerra. Il re degli Ostrogoti, Teodorico, cercò, attraverso pene severe, di limitare lo sfruttamento del meretricio condannando a morte chi, in casa propria, tratteneva le donne per mettere in commercio il loro corpo. Il re dei Franchi, Carlo Magno, primo imperatore del Sacro Romano Impero, decretò che fosse impressa in fronte, con un ferro rovente, la condizione di prostituta. Il dilagare della sifilide, considerata un castigo divino, e la moralizzazione promossa da Riforma e Controriforma, portarono alla chiusura dei postriboli, nel tentativo di confinare le prostitute in quartieri-ghetto, nonché a gravose imposizioni fiscali sul meretricio. In epoca moderna è stato Napoleone a regolamentare e mettere sotto il controllo dello Stato le case di tolleranza, mentre, solo nel 1904, si è arrivati al primo accordo internazionale contro lo sfruttamento della prostituzione. E nel 1910, alla convenzione per la repressione della “tratta delle bianche”.

A difesa della coscienza

 Nell’epoca rinascimentale e poi nell’età dei lumi la prostituzione femminile era autorizzata in quanto non metteva a repentaglio la famiglia né il passaggio in eredità dei beni. Uno “sfogatoio” sociale al quale indirizzare le giovani sterili o del tutto prive di mezzi di sostentamento e le vedove senza protezione. “Ancora oggi, un aspetto particolarmente ripugnante del mercimonio coatto è l’ipocrisia di descrivere il fenomeno come un ‘male minore’ per la società, quasi si trattasse di una valvola di sfogo per stemperare il tasso collettivo di aggressività ed evitare danni peggiori al bene comune– afferma don Aldo Buonaiuto-. Una tentazione alla quale non sono immuni neppure alcuni uomini di Chiesa. Alcuni anni fa, prima un parroco piemontese (per ‘liberare le strade dalla prostituzione che è ineliminabile’) poi un vescovo portoghese (per ‘limitare la diffusione dell’Aids’) arrivarono a chiedere di riaprire la case chiuse. E dovette intervenire l’Osservatore Romano, con un articolo di padre Gino Concetti, per ribadire che la riapertura dei bordelli è un metodo già rifiutato dalla coscienza e dalla cultura civile”.

 

 

 

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