Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere comportamenti volti a prevenire e eliminare questa terribile piaga. Femminicidi, abusi sessuali, stalking, molestie, maltrattamenti, violenza psicologica, digitale ed economica sono alcune delle forme di sopraffazione a cui molte donne, in tutto il mondo, sono quotidianamente sottoposte.
Una violazione dei diritti umani
L’evento inaugura i “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere“, un’iniziativa lanciata nel 1991 dal Center for Women’s Global Leadership (CWGL), che si conclude il 10 dicembre, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani. Questo sottolinea il riconoscimento internazionale della violenza contro le donne come una grave violazione dei diritti umani.
Le violenze invisibili: ignorate e sottovalutate
Purtroppo, non tutte le violenze vengono considerate allo stesso modo. Stefania e Glory (nomi di fantasia) lo hanno sperimentato sulla loro pelle. Oltre alle violenze subite, è stata loro tolta, ignobilmente, anche la possibilità di scegliere. La loro dignità è stata ripetutamente calpestata, sia dai cosiddetti clienti che, notte dopo notte, hanno preteso il diritto di “comprarle” come fossero oggetti, sia da chi, passando accanto a loro, ha distolto lo sguardo, fingendo di non vedere. “La violenza che ho subito io non è di serie B” potrebbero affermare queste due giovani donne, che hanno dovuto sopportare botte, insulti, ricatti, violenze sessuali e ogni tipo di umiliazione.
Stefania: “per un anno non ho mai visto la luce del sole”
Stefania è stata costretta a prostituirsi nonostante avesse appena 15 anni. Ha lasciato la Romania con amici dei suoi genitori che le hanno fatto passare la frontiera chiudendola dentro il portabagagli della macchina. Le avevano promesso un lavoro onesto, il classico: “farai la baby-sitter”. Arrivata in Italia, invece, ha raccontato a Interris.it: “mi hanno spogliata, messo dei vestiti succinti e chiusa in uno scantinato. Su un materasso lercio e maleodorante dovevo soddisfare tutte le richieste di quegli uomini che volevano comprare il mio corpo”. Per un anno non ha mai visto la luce del sole, poi l’hanno mandata a prostituirsi sulla strada. “Era inverno, faceva tanto freddo e mi facevano vestire sempre con abiti leggeri – ha aggiunto – Io ho iniziato a piangere ma loro mi hanno portato con forza sulla strada dicendo che dovevo fare tanti soldi per ripagare il viaggio. Andavo in strada dalle 9 di sera alle 6 della mattina. Avevo paura di salire dentro le macchine dei clienti e soprattutto avevo paura dei miei sfruttatori perché se non portavo i soldi a casa mi piacchiavano. Mi hanno presa a calci, mi hanno spento le sigarette sulla schiena. Mi hanno perfino strappato i capelli e tagliato l’orecchio destro con una pinza, l’orecchio sinistro me lo hanno rotto, mi hanno rotto tre costole e bucato le ginocchia con i tacchi a spillo. Dopo due settimane di torture mi hanno messo del nastro adesivo sulle ginocchia per coprire le ferite e una parrucca per non far vedere che non avevo più capelli e poi mi hanno portato sulla strada dicendomi che dovevo portare i soldi per pagare la casa e comprare il cibo. Quando ero con questi uomini nessuno di loro mi ha mai chiesto se avessi bisogno di aiuto, anzi si approfittavano ancora di più finché una sera in macchina sono arrivati i carabinieri e hanno aperto lo sportello. Io sono caduta per terra, svenuta”.
Glory: dal cuore della Nigeria all’inferno della rotta del Mediterraneo
Glory viene dalla Nigeria, per arrivare in Italia ha dovuto affrontare il Mar Mediterraneo su una barca fatiscente. “Abbiamo fatto un viaggio molto difficile attraversando molte frontiere e siamo arrivati in Libia – ha raccontato a Interris.it – Lì la situazione è terribile. Ogni giorno ho rischiato di morire, ma nonostante la sofferenza, ho cercato di resistere perché avevo la speranza di poter lavorare in Europa. Dopo due traversate fallite, siamo finalmente approdati a Lampedusa”. In Italia la aspettavano due persone, le hanno detto che la prostituzione sarebbe stato il suo lavoro. “Io però non riuscivo a farlo e quel giorno non ho guadagnato niente. Quando ‘la madame’ mi ha chiesto i soldi guadagnati le ho detto che non sapevo di dover lavorare per strada. Si è arrabbiata urlando tutta la notte – ha ricordato commossa – Un giorno che non avevo portato abbastanza soldi mi hanno picchiato fino a svenire. I vicini hanno chiamato la polizia e loro mi hanno detto di nascondermi perché non mi dovevano trovare dato che ero clandestina. Mi hanno sequestrato il cellulare e il marito della madame mi ha detto: ‘da oggi sei morta’”.
Una violenza senza fine
Una violenza che non avrà mai fine quella subita da Stefania e Glory che, ancora oggi, portano sul loro corpo i segni della brutalità di chi le ha rese schiave. Loro si sono potute salvare grazie all’incontro con don Aldo Buonaiuto, saceerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da anni si impegna per mettere fine alla piaga della prostituzione coatta. Queste giovani donne sono riuscite, nonostante fossero state ferite in ogni modo, a trovare il coraggio di fidarsi ancora delle persone. Nelle strutture protette dell’Apg23, fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi, hanno ritrovato quella dignità che brutalmente era stata loro strappata. Della prostituzione non si parla mai in occasione della giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne perché, purtroppo, si crede che ci sia una consesualità a svolgere quella che proprio don Oreste definiva “l’ingiustizia più grande del mondo” perché “nessuna donna nasce prostitua, ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare”. Queste giovani donne, provenienti da tutte le parti del mondo, sono private della possibilità di scegliere, sono ridotte in schiavitù e costrette a prosituirsi. Chi non sottostà alla volontà dei suoi aguzzini, viene picchiata o uccisa. Una violenza senza fine, quasi considerata di “serie B”, che ogni notte si ripete lungo le strade italiane nell’indifferenza più totale di tutta la società.