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Le valanghe sottomarine: chiave per il clima terrestre

La rompighiaccio Laura Bassi. Foto: OGS - Riccardo Scipinotti©PNRA

Ha preso il via il primo studio sulle valanghe sottomarine in Antartide. Lo European Research Council (ERC) ha assegnato un finanziamento di 2,7 milioni di euro al progetto quinquennale Antarctic Canyon Experiment (ACE), guidato dall’Università di Plymouth con la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS). Il progetto si avvarrà di tecnologie all’avanguardia per studiare le cause e gli effetti delle correnti di torbidità in Antartide – conosciute come valanghe sottomarine – che avvengono nelle profondità dell’Oceano Meridionale, esplorandone il ruolo nella regolazione del clima globale. Per meglio comprendere le implicazioni delle valanghe sottomarine sui cambiamenti climatici attuali e futuri, Interri.it ha posto alcune domande alla dottoressa Laura De Santis, ricercatrice della Sezione di Geofisica dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS che ha risposto insieme al collega Michele Rebesco. Entrambi sono attualmente in Antartide imbarcati nella nave da ricerca “Laura Bassi”, la rompighiaccio di proprietà dell’OGS unica in Italia a disposizione della ricerca nazionale.

L’intervista ai ricercatori OGS

Può spiegarci perché il serbatoio di carbonio presente nei fondali antartici è così cruciale per l’intero sistema climatico terrestre?

“L’anidride carbonica prodotta dall’uomo e immessa in atmosfera è tra le principali cause del rapido riscaldamento climatico. Per nostra fortuna una parte di essa viene sottratta all’atmosfera dagli organismi viventi, sia vegetali che animali, che la utilizzano nei loro processi vitali trasformandola in carbonio organico. Dopo la morte tuttavia, la loro decomposizione reinmette una parte di anidride carbonica in atmosfera, a meno che i resti degli organismi non vengano rapidamente sepolti nei sedimenti. Ciò avviene per esempio quando i fiumi trascinano grandi quantità di detriti, ramaglie e carcasse di animali in mare, che poi frane sottomarine trasportano fino a profondità abissali. L’Oceano quindi è uno dei grandi ‘serbatoi’ di carbonio della Terra; in particolare l’Oceano Meridionale immagazzina il 40%, di tutto il carbonio di origine antropica. Tuttavia, prima di essere remineralizzato nelle rocce, il carbonio organico che si trova sui fondali oceanici può ancora tornare in acqua e poi in atmosfera. Non è del tutto chiaro però come avvenga lo scambio di carbonio tra sedimento, acqua e atmosfera, né per quanto tempo ancora l’Oceano possa ‘sottrarre’ CO2 all’atmosfera. E’ importante capirlo per prevedere cosa potrebbe succedere se questa ‘pompa di carbonio’ non funzionasse più”.

L’Antartide. Foto: OGS – W_Boehm©PNRA

Che relazione intercorre tra le correnti di torbidità e i fenomeni climatici estremi?

“Le correnti di torbida che si verificano negli oceani sono enormi valanghe sottomarine. Sono più efficaci di tutti i fiumi del mondo messi assieme nel traportare rapidamente sedimento, e con questo anche grandi quantità di carbonio organico. Le correnti di torbida si verificano quando sedimento accumulato sui pendii oceanici viene scosso da eventi estremi, come terremoti o tempeste. L’aumento di questi eventi può aumentare l’innesco di frane sottomarine; tuttavia, questi fenomeni sono stati studiati solo alle basse latitudini, mai in Antartide. Qui entrano in gioco altri processi legati per esempio allo scioglimento dei ghiacci che possono causare eventi estremi come la rottura di grandi icebergs, amplificando o al contrario smorzando l’innesco di correnti di torbida. Senza una migliore comprensione di questi processi anche nelle zone polari, risulta difficile una stima globale del cosiddetto ‘ciclo del carbonio’ che controlla lo scambio di carbonio tra i grandi serbatoi naturali della Terra. È per comprendere questi processi e il loro impatto sul clima che studiamo le correnti di torbidità lungo il Canyon sottomarino di Hillary, tra i maggiori in Antartide. Sui suoi argini sono conservati sedimenti utili a ricostruire i processi che hanno regolato il transito e seppellimento di sedimenti e di carbonio organico nel tempo, attraverso diversi cicli climatici anche molto più caldi di quello attuale”.

Quali sfide logistiche e tecniche comporta una missione scientifica in Antartide, soprattutto in un contesto climatico estremo?

“Lo studio di queste ‘valanghe sottomarine’ a qualche migliaio di metri negli oceani è di per se una sfida. In Antartide è tutto reso ancora più complicato dall’ambiente remoto, a migliaia di km dalle infrastrutture e logistica a supporto delle nostre tecnologie, dal clima ostile con temperature molto rigide, dalla scarsità di mappe dei fondali in cui andiamo ad operare”.

In quanti siete a bordo della Bassi in tutto? Quali sono le principali sfide fisiche e psicologiche che i ricercatori affrontano durante la lunga permanenza a bordo in condizioni estreme di freddo e isolamento?

“Nelle spedizioni del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide si imbarcano circa 30 tra tecnici e ricercatori appartenenti a diverse università ed enti di ricerca. Le principali sfide fisiche e psicologiche per i ricercatori sono la lontananza dai propri affetti, la mancanza di ore di buio, la convivenza in spazi ristretti per lungo tempo e sicuramente…il mal di mare!”.

Milena Castigli: