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Lavoro e Covid, lo spettro di un nuovo stop: l’allarme di Confesercenti

Stretta per ristoranti e altre imprese da nuovo Dpcm. Chiusure alle 23 ma anche pesanti incognite per il futuro. Il segretario generale Bussoni: "Situazione preoccupante"

Non è ancora lockdown totale ma la deriva assunta dai Paesi europei, faccia a faccia con una progressione mai vista della pandemia, a livello di contagi, ha già prodotto le prime restrizioni. Via via più severe, nonostante i numeri, analizzati freddamente, differiscano in qualche modo dagli scenari di marzo. Il punto, però, è che la visione condivisa dei governi riguarda l’adozione di una strategia preventiva, laddove non si sia già dovuti ricorrere a provvedimenti più drastici. Una situazione in divenire che, e anche questo è un dato di fatto, quasi in ogni Paese ha messo al centro delle restrizioni non solo le relazioni personali (ritenute il più frequente momento di contagio, specie a livello familiare), ma anche il mondo del lavoro. Quello che più di tutti ha subito il colpo del lockdown dei mesi scorsi. E che, ora, si trova di fronte allo spettro di una nuova flessione.

Commercianti, gestori di locali, ristoranti e tavole calde: una fauna di imprese multiforme, già duramente messa alla prova. Con il sospiro di sollievo dei mesi estivi che appare già un lontanissimo ricordo. Ieri come oggi, i lavoratori chiedono garanzie: “Servono risposte immediate – ha spiegato a Interris.it Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti -. Si rischiano posti di lavoro”.

 

Dottor Bussoni, dopo il lockdown si è respirato, per qualche tempo, un sospiro di sollievo per le imprese costrette a chiudere. Ora, però, si apre una nuova fase di sostanziale incertezza…
“Quello del lockdown è stato un periodo drammatico, in cui si è cercato di affrontare l’emergenza e dare una risposta alle imprese. In modo difficili, con contributi che non arrivavano, procedure complesse, accordi per garantire la sicurezza difficili da interpretare. Finito il lockdown, da maggio, per molti settori quasi una stabilizzazione. Il periodo da giugno a settembre ha rappresentato un periodo quasi di ‘normalità’, anche se non lo era visto che il comparto turistico ha vissuto con risorse interne. Ci si era messi in una condizione quasi di normalità anche se permaneva una situazione difficile per il comparto dell’abbigliamento e alimentari. Le notizie di questi giorni ci portano a vivere una situazione diversa rispetto al periodo del lockdown ma altrettanto preoccupante”.

Qual è il contraccolpo?
“Basti pensare a un dato: gli acquisti online, durante le chiusure, avevano raggiunto un picco elevato, poi si erano abbassati, dicono i consumatori, nei mesi estivi. Adesso sta ritornando in salita. I dati sui risparmi degli italiani dicono che siamo in un periodo di attesa, senza certezze sul futuro. E quando non si può lavorare diventa un problema. Mentre per i lavoratori dipendenti sono stati date indicazioni necessarie, come blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, per gli autonomi mancano sostegni adeguati. Siamo preoccupatissimi perché temiamo che con le restrizioni annunciate, le imprese che avevano ricominciato con fatica rischino di non avere più prospettive”.

Misure, quelle adottate, che colpiscono i settori lavorativi che forse più di altri hanno investito in sicurezza e adeguamento alle norme anti-contagio…
“Assolutamente. Una serie di normative a molti non sembrano neanche comprensibili. Certo, tutti ci dobbiamo adeguare alle disposizioni e chi si occupa di sanità indichi ciò che è giusto fare. Ma che in questa fase aumenti un senso di insoddisfazione e di protesta, per quanto riguarda alcune nostre categorie, è altrettanto vero. Mentre prima ci trovavamo in una situazione inaspettata, che ha spiazzato tutti, adesso ci troviamo di fronte a una situazione già vissuta ma che nessuno credeva di dover più vivere. Dopo due-tre mesi relativamente tranquilli ci troviamo in una condizione di nuovo problematica. Già il fatto che non ci sia una chiusura generalizzata è positivo, ma non è sufficiente. Le imprese in questa fase soffriranno molto e senza un’economia florida dei consumi interni il Paese non va avanti. Si rischiano posti di lavoro e chiusure delle imprese”.

Quali possibili soluzioni? Si può trovare un compromesso fra contrazione dell’economia ed emergenza sanitaria?
“Nel momento in cui si fanno provvedimenti che penalizzano una determinata attività, bisognerebbe dare alla stessa una risposta immediata. Questa cosa però non esiste. E poi c’è un rimpallo anche di competenze fra Stato e Regione. Alle decisioni che assumono queste ultime chi darà risposte? Lo Stato, la Regione o non le darà nessuno?”.

Il cono d’ombra del nuovo Dpcm è forse proprio nella possibilità, a livello territoriale, di applicare misure mirate. Il comune denominatore, però, sembra comunque essere la flessione delle imprese…
“Pensiamo a coloro che lavorano negli eventi. Ci sono imprese che da marzo a oggi non hanno mai lavorato. Pensiamo agli alberghi, ai quali è mancata completamente la presenza dei turisti. Alle agenzie di viaggio. Chi scegli di viaggiare lo fa per tratti brevi, non all’estero. Non c’è più chi viene da fuori, ci sono alcune economie che sono totalmente ferme. Il turismo vale il 13% del Pil in Italia, l’11% dell’occupazione, i consumi danno un apporto nella misura del 60%. Che risposte potremmo mai avere?”.

Un’altra fase di rallentamento del lavoro può rappresentare un ulteriore colpo a un settore già in difficoltà come quello degli autonomi?
“In queste condizioni aprire un’impresa, ad esempio nel campo del commercio, credo sia una follia. Il futuro è talmente incerto che comunque si andrebbe a grande rischio. E’ come investire in Borsa su titoli volatili, facendo una scommessa. E’ un’apertura di azzardo. Eravamo in una fase di contenimento economico, quasi di recessione. Le difficoltà c’erano anche prima e la pandemia le ha aggravate. Mi faccio però una domanda: avevamo pochi giorni fa più o meno gli stessi contagi della Germania. Noi siamo saliti a 15 mila contagi, la Germania è stabile. Non so se siano stati adottati provvedimenti specifici. Prima di tutto va tutelata la salute ma laddove possibile non andiamo a penalizzare le imprese, che danno lavoro e producono ricchezza. E con tutta la bruttezza del caso, meno le fermiamo e meglio è”.

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