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Virginia Kaladich (Fidae): “Il Covid: un’occasione per rivalutare il ruolo delle scuole paritarie”

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“Intendere la scuola come luogo di felicità”, dopo due annualità scolastiche sconvolte dalla pandemia la Federazione di Scuole Cattoliche primarie e secondarie (Fidae) vuole ripartire da questo presupposto. Si tratta di una vera e propria pastorale scolastica, che la presidente della Fidae, Virginia Kaladich, ha illustrato ad Interris.it. Il Covid è stata anche un’occasione per rivalutare il ruolo delle scuole paritarie per tutta la tenuta del sistema scolastico nazionale e il principio della libertà educativa.

La FIDAE ha concluso da poco il suo Consiglio Nazionale, 3 giorni di lavori per tracciare la ripresa delle attività didattiche e il rilancio post pandemia. Su quali presupposti si baserà il prossimo anno scolastico per le paritarie cattoliche?

“Sono state giornate preziose, prima di tutto perché è stata per molti l’occasione di incontrarsi nuovamente di persona ma soprattutto perché abbiamo lavorato con un obiettivo preciso: dare un senso a questa emergenza, vogliamo fare scuola trasformandola radicalmente per renderla sempre più vicina agli studenti e anche ai nuovi linguaggi che questa pandemia ha reso addirittura indispensabili.  Per questo nuovo anno scolastico vorremmo ripartire da quelle che chiamiamo 3 P che per noi sono il Patto Globale, che significa formazione per l’insegnamento dell’educazione civica, educazione al volontariato, educazione ambientale e pastorale scolastica in ogni classe; Progettare insieme il futuro, che significa outdoor education ma anche leadership condivisa, sistemi didattici innovativi, erasmus plus e avanguardie educative; Prendersi cura, che significa peer education, inclusione e più in generale intendere la scuola come luogo di felicità”.

Dad, dispersione scolastica, spazi adeguati per la sicurezza … quali sono i problemi che vanno assolutamente risolti?

“Se guardiamo alla scuola in generale, sicuramente il pericolo più grande viene dalla dispersione scolastica. Purtroppo la pandemia ha contribuito ad acuire questa tendenza in crescita negli ultimi anni che non fa molta notizia ma da cui invece dipende il futuro del nostro paese: chi abbandona la scuola si troverà ad avere meno opportunità rispetto a chi completa un percorso di studi, perpetuando le diseguaglianze che hanno generato il fenomeno. Il covid e il lockdown dello scorso anno hanno purtroppo portato ad abbandoni, non sempre la Dad è riuscita a coinvolgere i nostri ragazzi. Oggi siamo più pronti: è vero che è sempre preferibile una lezione in presenza ma non possiamo neanche più trascurare questi nuovi mezzi con cui i ragazzi comunicano e si informano. La Fidae ha messo in campo (già nel maggio 2020) una Prassi di rifermento per Dad e didattica mista, aperta a tutti gli ordini e i gradi di scuola, uno strumento che vuole garantire standard elevati e unici per tutti gli studenti. Naturalmente anche le istituzioni devono mettere la loro parte, ad esempio attraverso la fornitura di device e di copertura internet. Ma soprattutto è l’insegnante che deve metterci quel qualcosa in più per trasformare la Dad in una didattica di vicinanza”.

Quali lezioni avete colto da un anno e mezzo di pandemia, a livello umano e professionale cosa è emerso?

“La crisi ci ha messo a nudo, ha fatto emergere sicuramente alcuni aspetti su cui bisognava già intervenite ma poi ha anche tirato fuori da tanti di noi alcune qualità inaspettate e la voglia di rimettersi in gioco. Penso ai primi mesi dello scorso anno quando come Fidae abbiamo istituito subito una task force di professore più “digitalizzati” che potessero aiutare gli altri, ebbene posso dirle che i volontari sono stati tantissimi, si sono messi a disposizione oltre il proprio orario di lavoro senza prendere un solo euro di più, e lo hanno fatto anche in maniera continuativa. A livello umano si è creata una maggiore complicità, come spesso succede nei momenti più difficili, ed è anche aumentata la propensione a fare squadra mentre prima magari si tendeva a cavarsela da soli”.

Il green pass è realmente applicabile nelle scuole?

“Al momento mi sembra una norma di buon senso, considerato che i ragazzi passano tante ore a scuola il fatto che quasi tutto il personale scolastico sia vaccinato è un ulteriore garanzia per la sicurezza. Per quanto riguarda l’idea di estenderlo ai ragazzi credo che per il momento non ci sia bisogno, l’andamento dello scorso anno scolastico ha dimostrato che rispettando alcune regole precise come il distanziamento e l’uso della mascherina, oltre che le quarantene, si possono tenere sotto controllo i contagi che comunque avvengono molto raramente all’interno degli istituti scolastici”.

Avete parlato anche della legge sulla parità, cosa manca ancora per l’attuazione di una vera libertà educativa?

“Sulla carta la legge c’è ma è incompleta. Se infatti da una parte è stata riconosciuta la libertà di scelta educativa, così come prevede la nostra Costituzione, dall’altro lato ci sono molti buchi neri, come il fatto che ogni anno dobbiamo elemosinare un contributo che ci spetta per legge ma che sembra sempre che sia un’elargizione o, peggio, un favore, da parte del Parlamento. E poi devo dire che la cosa più dura da combattere è il muro ideologico di una parte politica che continua ad additare le scuole paritarie come dei diplomifici o come centri esclusivi aperti a pochi”.

Senza paritarie crolla tutto il sistema dell’istruzione pubblica?

Diciamo prima di tutto che le scuole paritarie rappresentano circa il 10% di tutto il sistema scolastico nazionale e in molti casi, ad esempio in territori di montagna o in zone rurali, sono gli unici istituti presenti. Ma poi, senza voler entrare nel merito della grave perdita che significherebbe in termini di bagaglio culturale e di ricchezza della proposta educativa, lo Stato si ritroverebbe a dover affrontare problematiche enormi: pensiamo solo alla questione delle aule e della mancanza di spazio sufficiente affinché gli alunni siano effettivamente distanziati”.

Cosa chiedete al governo?

“Chiediamo una maggior attenzione verso di noi: nei mesi precedenti ci siamo dovuti rivolgere più volte al Parlamento, abbiamo presentato diversi emendamenti ai provvedimenti anti Covid del Governo perché quando si parlava di fondi per la scuola erano rivolti esclusivamente alle statali. In Italia, per legge, il sistema scolastico è unico ed è composta da statali e paritarie, non esistono studenti di serie A e di serie B. E non esistono professori di serie A e di serie B. Questo è un altro nodo su cui abbiamo chiesto l’intervento del Ministero dell’istruzione perché non è possibile che i docenti delle paritarie non possano essere regolarizzati e non possano raggiungere il livello, anche contributivo, che invece raggiungono in una statale”.

E gli studenti cosa chiedono? Oltre le nozioni è indispensabile recuperare la socialità?

“I ragazzi sono assetati di conoscenza, vogliono capire e vogliono sapere come le loro conoscenze possono essere applicate nel mondo che si trovano ad affrontare. Il compito di noi docenti è quello di andare oltre alla purea e semplice trasmissione di una nozione, dobbiamo renderli capaci di saper usare quella nozione, di capire qual è il momento giusto, in che modo esporla, con chi metterla in pratica: la scuola si deve occupare a 360° gradi dello studente ed è chiaro che la dimensione della socialità è imprescindibile perché siamo animali sociali, abbiamo bisogno di un incontro, di una relazione anche per renderci conto di quanto e come impariamo”.

Cosa può offrire la scuola cattolica nelle nuove sfide educative poste dalla pandemia? Perché avete parlato di visione trascendente?

“La visione trascendente di cui abbiamo parlato durante il Consiglio Nazionale è intesa come la capacità di guardare alla realtà delle cose, dei fatti, delle persone come rivelatrice di dimensioni che possono essere colte solo con gli occhi dei “puri di cuore”. Ed è per questo che le Scuole Cattoliche, nelle singole Chiese locali, sono espressione dei carismi dello Spirito Santo, del volto bello della santità dei figli di Dio, che hanno come unico obiettivo la cura del popolo di Dio. La Scuola Cattolica può essere protagonista di speranza se diventa l’ambiente nel quale la comunità educante sperimenta attenzione, ascolto, umiltà e cura. La speranza è l’atteggiamento tipico di chi non teme l’innovazione, la disponibilità a mettersi in ascolto dei linguaggi che esprimono le istanze di chi li utilizza per esprimersi. La Scuola Cattolica si propone come un fedele compagno di viaggio nel rileggere le esperienze vissute alla luce della fede, individuando quali domande le esperienze stesse contengano e chiedano di essere affrontate. La cura pastorale della scuola cattolica si esprime nel guardare a Gesù di Nazareth come alla luce che illumina i valori autentici dell’esistenza umana”.

Macario Tinti: