Buio a Kabul
I talebani non sono cambiati. Al contrario. Dal loro ritorno al potere due anni fa le condizioni di vita degli afghani, e soprattutto delle afghane, sono andate via via peggiorando. Con una “continua, sistematica e scioccante soppressione dei diritti umani. Inclusi il diritto all’istruzione, al lavoro, alla libertà di istruzione”, segnalano le Nazioni Unite. Una giornata è stata decretata festiva dal regime. Per celebrare la riconquista di Kabul. La disfatta dell’allora governo. E la partenza disordinata e rocambolesca degli americani, dei loro alleati. E dei loro collaboratori locali che più di tutti rischiavano la vendetta dei mullah.
Rivendicazione
I talebani hanno rivendicato quello che ai loro occhi appare un successo: “La conquista di Kabul ha dimostrato ancora una volta che nessuno può controllare l’orgogliosa nazione afghana. E che a nessun invasore sarà permesso di minacciare l’indipendenza e la libertà dell’Afghanistan“, si è felicitato il governo in un comunicato. Mentre davanti all’ex ambasciata Usa centinaia di uomini sventolavano bandiere bianche e nere. Simbolo dell'”Emirato islamico”. E’ questo, infatti, il nome scelto per il Paese dal regime che ha di fatto reintrodotto, nonostante le promesse, l’interpretazione più rigida e arcaica dell’Islam. Le prime a farne le spese sono state le donne. Almeno 1,1 milioni di ragazze sono state private della scuola secondaria e dell’università. Le afghane sono state escluse dalla vita pubblica e dal lavoro. E persino i saloni di bellezza sono stati costretti a chiudere i battenti. Non solo, i talebani hanno reintrodotto l’uso di punizioni crudeli. Come la fustigazione e la lapidazione. Isolato dal resto del mondo, l’Afghanistan vive anche la sua peggiore crisi umanitaria.
Catastrofe umanitaria
L’Onu stima che 16 milioni di bambini non ricevano cibo di base o assistenza sanitaria. E che siano quasi 30 milioni, il massimo storico, gli afghani bisognosi di supporto. La recessione economica, hanno sottolineato gli esperti delle Nazioni Unite, favorisce inoltre pratiche discriminatorie, oppressive e violente. Come il matrimonio forzato e infantile, l’abuso e lo sfruttamento economico e sessuale. La vendita di bambini e di organi, il lavoro forzato minorile, la tratta di esseri umani. “Il percorso verso qualsiasi relazione più normale con il regime sarà bloccato. Fino a quando i diritti delle donne e delle ragazze, tra le altre cose, non saranno effettivamente sostenuti e salvaguardati”, avverte la Casa Bianca. E’ la condizione base degli Stati Uniti per dialogare con i talebani. Nessun Paese occidentale li ha riconosciuti come legittimi governanti dell’Afghanistan. A ribadirlo è il segretario di Stato, Antony Blinke. Washington ha fatto passare in sordina il secondo anniversario di quella che doveva essere un’uscita di scena militare. Ma che si trasformò in una disfatta anche politica.
La guerra più lunga
Blinken ha comunque difeso quella scelta: “La decisione di ritirarci dall’Afghanistan è stata incredibilmente difficile, ma è stata anche quella giusta- afferma-. Abbiamo messo fine alla più lunga guerra d’America. Per la prima volta in vent’anni, non abbiamo una generazione di giovani americani destinati al fronte e alla morte”. Due anni dopo l’Afghanistan resta un Paese non più in guerra col nemico americano. Ma chiuso in se stesso. E sprofondato per decisione dei suoi stessi governanti nel buio della fame e della violenza.