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Italia modello di accoglienza e integrazione: la storia di Josephine

Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno aiutato e hanno creduto in me, in particolare gli insegnanti che mi hanno permesso di imparare la lingua italiana. Grazie al loro aiuto e al loro sostegno, ora sono ben integrata, spero in futuro di poter diventare un’infermiera per aiutare le persone che soffrono”. Josephine Nakalanda, ugandese, era arrivata in Italia nel settembre del 2018. L’Uganda era diventata invivibile per lei. Specialmente dopo che suo marito, Steven Kaggwa, è stato massacrato perché candidato alle elezioni con un partito all’opposizione del presidente in carica, Yoweri Museveni, spesso distintosi per il forte autoritarismo e la politica repressiva verso gli oppositori. 

Il laboratorio “Coltiviamo l’integrazione”

Giunta a Milano, Josephine  decise di  partecipare al laboratorio “Coltiviamo l’integrazione”, progetto finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione del Ministero dell’Interno, con capofila Tamat NGO, in collaborazione con l’associazione “I Tetti colorati Onlus di Ragusa”, Fondazione ISMU, Associazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia e Cardet.

L’obiettivo del laboratorio è di fornire ai migranti strumenti di integrazione sociale, culturale ed economica attraverso un’attività pratica che favorisca l’interazione con la comunità locale e dia competenze che possono servire per il futuro. Questo attraverso corsi strutturati per acquisire sia la conoscenza della lingua italiana e del linguaggio specifico nel mondo del lavoro, sia il sapere tecnico e pratico nel campo dell’agricoltura.

«Mi è piaciuto tanto perché ho imparato molte cose che non conoscevo» racconta Josephine. Il suo sogno è lavorare in ospedale e curare le persone: “Adesso sto terminando il percorso di formazione come ausiliario socio-assistenziale e tra poco comincerò il mio tirocinio pratico. Dopo vorrei studiare ancora per avere la qualifica di operatore sociosanitario (OSS) oppure, se possibile, arrivare a diventare infermiera. Sono molto felice di aver partecipato a questo progetto e sono grata di aver incontrato persone che non solo ci hanno insegnato tante cose, ma che sono state gentili e hanno avuto cura di noi”.

Ora non vede l’ora di poter portare i suoi due figli in Italia e con loro costruire un nuovo futuro, lasciandosi alle spalle i brutti ricordi e la dittatura brutale e sanguinaria di Museveni, arrivato al potere con la violenza, le frodi elettorali, gli arresti e le intimidazioni nei confronti degli oppositori.

L’intervista

Josephine, come è arrivata in Italia?

“Nel settembre del 2018, pagando di tasca mia un viaggio aereo. Ero minacciata di morte. Ho perso i miei genitori nel 2017 e mio marito nell’agosto dell’anno dopo. Tutti uccisi da bande criminali legate a chi detiene il potere in Uganda. Non ho potuto portare con me i miei figli, Maria Tracy 16 anni e Valentino Joseph 14. Sono ancora in Uganda, protetti da una mia amica”.

Si tiene in contatto con loro?

“Sì, con loro mi sento una volta alla settimana. Mi mancano molto e spero di poterli rivedere presto. Ho sempre paura che qualcuno possa far loro del male e il mio desiderio e di farli venire il prima possibile qui in Italia”.

Il laboratorio “Coltiviamo l’integrazione” come l’ha aiutata?

“Ho imparato l’italiano, a cucinare e ho frequentato anche un laboratorio di falegnameria”.

Le piace vivere in Italia?

“Mi trovo molto bene qui e per fortuna non ho avuto nessun problema per quanto riguarda l’integrazione”.

Ora di cosa si occupa?

“Ho appena concluso il corso di operatore sociosanitario e adesso sto aspettando di fare il tirocinio, il mio sogno e fare l’infermiera. Se avrò la possibilità voglio continuare gli studi e iscrivermi all’università per diventare infermiera”.

Vorrebbe ricostruirsi una famiglia?

“Mi piacerebbe molto. Ero legatissima a mio marito, ma spero di poter conoscere un altro uomo che possa in futuro prendersi cura di me e dei miei figli. Ho sofferto molto, nel mio Paese mi è stata negata la possibilità di poter vivere liberamente e son dovuta fuggire. Ho quasi 40 anni e devo ricostruirmi una nuova vita e garantire ai miei figli un futuro migliore”.

Pensa di stabilirsi definitivamente in Italia o le piacerebbe tornare nel suo Paese d’origine?

“Il mio paese è l’Italia, in Uganda non avrei avuto nessuna possibilità di ricostruirmi un futuro. Del mio paese ricordo solo la disperazione, il dolore e la morte”.

Luigi Nocenti: