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Emergenza energia: ecco cosa rischia l’Italia con le guerre a Gaza e in Ucraina

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A distanza di mezzo secolo è ancora vivo in Italia il ricordo delle “domeniche a piedi” imposte dalle misure di austerità. Esattamente cinquant’anni fa, nell’autunno del 1973 fu proibita la circolazione di auto e moto – mezzi di trasporto pubblico esclusi – a causa della crisi petrolifera provocata dalla guerra del Kippur. Ancora oggi un terzo dell’energia italiana si basa sul petrolio. In Europa è il 41%. Transizione ecologica in ritardo, dunque, Per dipendenza da petrolio l’Italia è ottava nella classifica europea. In testa ci sono paesi come Lituania, Grecia, Paesi Bassi e Spagna. In Italia, nel dettaglio, le fonti di energia derivano dal petrolio per il 35%, dal gas naturale per il 30% mentre le rinnovabili sono al 10%. Non è stata appresa, quindi, la lezione della storia. “Mezzo secolo fa lo choc petrolifero ebbe inizio da un evento geopolitico- ricostruisce Euronews-. Il 6 ottobre del 1973, giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, Israele fu attaccato dall’esercito egiziano attraverso la penisola del Sinai”. Contemporaneamente all’inizio delle ostilità, i paesi dell’Opec, in sostegno a Siria ed Egitto, presero decisioni gravose. Decisero, infatti, un forte aumento del prezzo del petrolio a livello globale. E la diminuzione del 25% delle esportazioni. Oltre a un embargo nei confronti dei paesi maggiormente filoisraeliani. Tuttavia la causa principale dello choc petrolifero fu principalmente monetaria. Risaliva alle mosse della Casa Bianca.

50 anni fa

Nel 1971 l’amministrazione Nixon decise di dire addio al dollaro convertibile in oro. “I produttori arabi dovettero aumentare i prezzi per compensare la svalutazione del biglietto verde, valuta utilizzata per l’acquisto del petrolio- rievoca Euronews-. La stagflazione travolse il Sistema Monetario Europeo, embrione dell’Euro, che iniziò a valutare un nuovo meccanismo. Offrendo alla Comunità Economica Europea un proprio sistema di gestione delle valute. Uno dei motivi questo per cui il Regno Unito aderì all’Unione europea in quegli anni, alcuni mesi prima della guerra del Kippur”. Dopo quella crisi, l’Occidente iniziò a produrre auto a minor consumo. E a diversificare le forniture di energia fossile a causa dell’instabilità mediorientale. L’Europa occidentale scoprì nuove riserve di petrolio nel Mare del Nord. Mentre, all’allora Unione Sovietica in pochi anni diventò uno dei principali esportatori di petrolio del mondo.

Ruolo dell’Opec

L’importanza della funzione internazionale dell’Opec si rivelò con effetti traumatici nella prima grande crisi. Quella che esplose fra questa organizzazione e i paesi consumatori di petrolio (ottobre 1973). Proprio in connessione alla guerra arabo-israeliana del Kippur. Culminata nell’embargo petrolifero contro USA, Paesi Bassi e Danimarca (revocato nel 1974). E nella vertiginosa crescita del prezzo del greggio (da 3,01 a 11,65 dollari al barile). L’aumento del prezzo continuò sino al 1975, anno di recessione e di calo generalizzato della domanda di petrolio. E si mantenne relativamente stabile fino al 1978. Negli anni seguenti, rileva Treccani.it, la drastica diminuzione delle esportazioni iraniane, successiva alla caduta della monarchia (1979), provocò sensibili aumenti di prezzo del greggio. Che, con varie oscillazioni, giunse a toccare la punta di 43 dollari al barile per lo scoppio della guerra Iran-Iraq (1980). E la conseguente contrazione della produzione di petrolio. Questa tensione sfociò in un ribaltamento della situazione. Manifestatosi in un notevole calo del prezzo del greggio negli anni 1982-83. Riconducibile da un lato alla forte diminuzione della domanda di petrolio da parte dei paesi industrializzati. Dovuta sia a ragioni congiunturali. Quali la ridotta crescita economica dei primi anni 1980. Sia a ragioni strutturali. Come lo sviluppo di fonti alternative al petrolio, l’utilizzo di tecniche atte a ridurre l’uso di energia. Dall’altro alla crescente rilevanza delle produzioni e delle esportazioni di greggio da parte dei paesi non appartenenti all’Opec. Ossia Canada, Messico, Norvegia, OmanURSS, Stati Uniti).

Energia-Italia

I fatti drammatici che stanno sconvolgendo il Medio Oriente hanno riportato alla ribalta, ancora una volta, l’instabilità dei mercati dell’energia. E la difficoltà di trovare interlocutori ‘affidabili’ e scevri da comportamenti lesivi dei diritti umani, in chiave anti-Putin. Con l’Algeria che si schiera a supporto di Hamas, a pochi giorni dai fatti dell’Azerbaigian, il piano di rendere l’Italia un ‘hub del gas’ mostra tutte le sue crepe”, afferma Annalisa Corrado. Responsabile Conversione ecologica, Clima, Green economy e Agenda 2030 del Pd. “Non ci stancheremo mai di dirlo. L’unica forma di recupero della nostra indipendenza energetica, economica e geopolitica è una rapida e radicale transizione energetica. Verso un sistema efficiente, dinamico e a trazione rinnovabile. Non c’è altra via per liberare il nostro Paese. Tanto dai ricatti di mercati instabili e speculativi. Quanto dalla dipendenza da governi opachi. Se non esplicitamente liberticidi e incuranti dei diritti civili della popolazione“.

Effetto petrolio in Italia

Preoccupa, in tutto ciò, la dinamica del prezzo del petrolio. Mentre quello del gas torna a crescere sensibilmente. In molti temono una nuova stangata. Ciò, aggiunge Annalisa Corrado, “si ripercuoterebbe immediatamente sulla competitività delle imprese e sulle tasche dei cittadini. Il cui potere di acquisto è in caduta libera“. Quindi “risulta  incomprensibile, in questo scenario instabile, ostinarsi a non voler prorogare il mercato tutelato luce e gas per oltre dieci milioni di utenti. Abbiamo bisogno di una strategia seria e rigorosa. Attenta alle fasce più fragili della popolazione. E al sostegno alle economie in trasformazione. Così da progettare e costruire rapidamente il phase-out dalle fonti fossili. Ivi compreso il gas metano”. Al di là degli accordi internazionali, “non abbiamo altra strada che questa. Continuare ostinatamente a fingere di essere nel Novecento non ci aiuterà. Anzi. Non potrà che portarci a sbattere”.
Giacomo Galeazzi: