L’8 luglio si celebra la giornata internazionale del Mar Mediterraneo. Il Mare Nostrum, pur avendo solo una superficie di circa l’1% di tutti gli oceani è un tesoro di biodiversità: le sue acque ospitano circa 15.000 specie, oltre il 30% delle quali sono endemiche, ossia esistono solo nel nostro mare. Questa giornata è un’occasione per fare un bilancio dello stato di salute del Mare Nostrum e sui pericoli che lo minacciano. Interris.it ne ha parlato con il dottor Leonardo Tunesi, Responsabile dell’Area Tutela Biodiversità, Habitat e Specie Marine Protette dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
L’intervista
Dottor Tunesi, in che stato di salute è il mar Mediterraneo?
“In questo momento la salute del mar Mediterraneo è preoccupante. Ci sono una serie di minacce che stanno facendo sentire i loro effetti. Bisogna darsi da fare per risolvere i problemi che potenzialmente ha”.
Quali sono i principali pericoli che lo minacciano?
“Possiamo identificare quattro grandi categorie di minacce. Primo il sovra sfruttamento delle risorse biologiche, ossia la pesca eccessiva che ha contraddistinto gli ultimi decenni del secolo passato; secondo le alterazioni fisiche e chimiche dell’ambiente; inoltre, negli ultimi anni è sempre più massiccio l’arrivo di specie non indigene, quelle che vengono chiamate ‘aliene’; non ultimo per importanza, ci sono le sostanze che noi introduciamo nell’atmosfera con i nostri comportamenti, che stanno provocando cambiamenti climatici che hanno effetti drammatici anche sui mari. Queste quattro grandi categorie riuniscono i problemi che attanagliano i mari: richiedono specifiche misure da parte dell’umanità per poterle risolvere”.
Il Mediterraneo ospita oltre 15.000 macro-specie marine. Quali sono quelle maggiormente a rischio a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici?
“Oltre il 30% di queste specie sono endemiche, ossia presenti solo nel mar Mediterraneo: nel momento in cui una di queste specie dovesse scomparire dal nostro mare vuol dire che ne avremmo causato l’estinzione. Sono molte quelle a rischio. A rischio di estinzione, per fortuna, al momento non ce ne sono tantissime. Quella più emblematica è la foca monaca, un mammifero marino presente nel Mediterraneo solo con qualche centinaio di esemplari. Nonostante sia una specie originariamente presente in tutto il Mediterraneo, adesso è possibile trovarla con una certa frequenza solo nelle acque delle coste di Grecia e Turchia, e lungo le coste del Sahara occidentale. E’ una specie molto minacciata. Negli ultimi mesi è ricomparsa con alcune segnalazioni in Puglia ionica e adriatica, nel siracusano, ma probabilmente si tratta di esemplari che condividiamo con altri paesi come la Grecia o la Tunisia”.
Uno dei problemi che riguardano il Mediterraneo sono le reti e le lenze “fantasma”. Come superare questo problema?
“Questo è un problema divenuto molto importante soprattutto negli ultimi decenni. Quando ero piccolo, al mare era consuetudine vedere i pescatori che rammendavano le reti e le lasciavano asciugare al sole, questo perché erano fatte di materiali naturali, come il cotone, che ne richiedevano una manutenzione importante per fare in modo che durassero. E’ nella natura delle cose che delle attrezzature da pesca si possano perdere in mare, ma essendo allora realizzate in fibre naturali – fino a una cinquantina di anni fa – le reti disperse in mare si decomponevano. Ormai è sistematico l’utilizzo di materiali plastici per le reti e per le lenze, e il problema è diventato molto importante. Bisogna far sì che i pescatori non perdano queste attrezzature e, dove possibile, regolamentare la pesca. Nel contempo mettere in campo iniziative per provare a recuperare questi materiali per ridurre l’impatto negativo sull’ambiente: oltre a continuare a catturare e uccidere pesci e crostacei che poi non vengono pescati, avvolgono e soffocano tratti importanti di fondali”.
Ci sono progetti in via di realizzazione che mirano a tutelare la salute del Mediterraneo?
“Sì, ci sono una serie di regole per andare a ridurre i problemi di cui già abbiamo parlato. Uno strumento essenziale è la creazione di nuove aree marine protette per salvaguardare il mare e la sua biodiversità. Da questo punto di vista è importantissima la strategia europea per la biodiversità per il 2030. L’Europa ha infatti adottato una nuova strategia per il decennio in corso che ha due obiettivi principali: prevedere la protezione di almeno il 30% dei nostri mari, di cui il 10% in maniera rigorosa, e iniziare il ripristino di tratti di mare in modo attivo e passivo, in pratica è come ricostruire le foreste sulla terraferma. Una scelta condivisa da tutti i Paesi, siamo in pieno percorso di avvio – anche in Italia – che porterà a dare una risposta a questi obiettivi nei prossimi 8 anni”.
Il governo italiano come e dove potrebbe intervenire per preservare il Mediterraneo e la sua biodiversità?
“Il governo italiano, insieme agli altri Stati che si affacciano sul Mediterraneo, ha sottoscritto la convenzione di Barcellona, un accordo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), che mira alla protezione del Mediterraneo e della sua biodiversità. Un’aspetto molto importante è che nell’ambito dei progetti finanziati dal Pnrr ce n’è uno che si chiama Marine ecosystem restoration (Mer), presentato dal Ministero della Transizione Ecologica e redatto con il supporto dell’Ispra, che prevede un finanziamento di 400 milioni di euro per studi, realizzazione di infrastrutture e dare il via a una serie di iniziative di ‘recupero’ di diversi habitat marini, tra i quali anche la prateria di posidonia. Si tratta di una pianta superiore, con radici, fusti, foglie, che crea delle praterie, un’oasi di vita nel Mediterraneo. Con questo progetto è inoltre previsto di rifare la cartografia di tutte le praterie di posidonia e di mappare per la prima volta la gran parte dei monti sottomarini presenti nelle acque italiane, per creare nuove aree marine protette di alto mare in modo da rispondere adeguatamente a quanto richiesto dall’Europa”.