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L’ultimatum che scuote l’Iraq. Venti giorni per “camminare dal conflitto all’unità”

Logo Interris - Sangue innocente versato in Iraq. 700 bambini uccisi dall'Isis

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In Iraq la strada verso la pace resta impervia e costellata di ostacoli. All’incontro interreligioso nella Piana di Ur, Papa Francesco ribadì che “la via che il Cielo indica al nostro cammino è quella della pace. “Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte-evidenziò il Pontefice-. I conflitti hanno causato tanta miseria. Ed è indegno che qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza. Senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti. A cominciare dai più deboli“.

Foto © Vatican Media

Dal conflitto all’unità

Secondo Jorge Mario Bergoglio: “Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un ‘loro’ e non un ‘noi’. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno. Perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti. Ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità”.  L’Iraq è da tempo uscito dai riflettori dell’opinione pubblica globale. Ma la pacificazione della nazione appare ancora un obiettivo lontano. Tra pandemia e ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, i mass media hanno smesso di occuparsi delle tensioni irachene.

Iraq in cerca di pace

Gli Stati Uniti e i loro alleati non ritirano dall’Iraq i circa tremila soldati. Dispiegati da anni nel Paese nell’ambito della “lotta all’Isis”. Ma trasformeranno la missione. Da combattimento sul terreno a consulenza e addestramento alle forze armate irachene. Intanto rimane alta la tensione tra le milizie filo-iraniane e le truppe statunitensi. Impegnate non solo in Iraq ma anche nella vicina Siria. Il consigliere della sicurezza nazionale irachena, Qassem Araji ha incontrato il direttore delle relazioni esterne del ministero degli Interni di Baghdad, il generale Saad Maan. E hanno annunciato quanto già anticipato dal presidente americano Joe Biden. Entro il 31 dicembre la svolta riguarderà 2.500 militari Usa. Inquadrati nella coalizione globale anti-Isis guidata da Washington. Assieme a circa altri mille militari di contingenti membri della stessa Coalizione. Cesseranno ogni attività di combattimento. E forniranno addestramento e consulenza alle forze federali irachene.

La svolta Usa

Per questo si è svolta a Baghdad una riunione. Tra i vertici dell’esercito iracheno. E il comandante in capo della coalizione, il generale statunitense John Brennan. Seduto accanto al suo vice, il generale britannico Karl Harris. All’incontro hanno partecipato rappresentanti dell’esercito francese. Della Nato. E delle forze militari curdo-irachene. Una larga partecipazione finalizzata a mostrare quanto ampio sia l’accordo. Tra il fronte filo-statunitense e il governo uscente di Baghdad. Il leader populista sciita Moqtada Sadr ha stravinto le elezioni legislative del 10 ottobre scorso. Con la cocente sconfitta dei partiti armati vicini all’Iran.

Milizie filo-iraniane

I negoziati per la formazione del nuovo governo proseguiranno a lungo. Ma analisti locali concordano nel dire che né Sadr né i suoi possibili alleati di governo intendono modificare gli accordi. Presi da Baghdad e da Washington. E questo nonostante i ripetuti avvertimenti. Lanciati contro i soldati Usa dalle milizie filo-iraniane. Da anni diventate parte del sistema istituzionale iracheno. Le tensioni affiorano anche dai profili social di dirigenti e seguaci di questi partiti armati sostenuti da Teheran. Sui quali sono comparse nuove minacce alle truppe americane in Iraq e in Medio Oriente. Gli Stati Uniti si erano ritirati militarmente dall’Iraq nel 2011. Dopo aver occupato il paese nel 2003. Nel 2014, di fronte alla sorprendente avanzata dell’Isis, Washington era di nuovo intervenuta nel Paese. Arrivando a schierare più di 10 mila unità. Poi gradualmente ridotte dagli inizi del 2018 a 8.000. Poi era cominciata una fase sempre più acuta della tensione tra Washington e Teheran. Culminata con l’uccisione nel gennaio del 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani a Baghdad. In un raid in cui era stato ucciso il principale leader delle milizie irachene filo-iraniane.

Escalation

Gli attacchi contro gli interessi americani in Iraq e in tutta la regione erano proseguiti. Così come i raid Usa e israeliani contro basi e depositi di armi di milizie filo-Teheran. In Iraq ma soprattutto nella vicina Siria. L’annuncio di Joe Biden di un “ritiro entro la fine del 2021” aveva visto ridurre le truppe alle attuali 2.500 unità. Ma ha anche aperto prospettive di incertezza. In particolare alla luce delle recenti ripercussioni del ritiro militare Usa dall’Afghanistan. In Iraq, dunque, rimarranno più di tremila soldati. Tra truppe statunitensi e dei Paesi alleati. E nell’ultima riunione i generali iracheni e curdo-iracheni hanno presentato al generale Brennan e ai rappresentanti Nato una sorta di “lista della spesa“. Per i prossimi due anni di permanenza. Ciò è stato giustificato con la necessità di “sconfiggere il terrorismo“. E “stabilizzare” la regione.

Giacomo Galeazzi: