I negoziati sul nucleare come banco di prova per la nuova leadership dell’Iran. L’Istituto per gli studi di politica internazionale analizza lo scenario. “I colloqui a Vienna sono ripresi dopo cinque mesi di pausa- osserva Ispi-. Cinque mesi in cui l’Iran è passato dalla presidenza moderata di Rouhani a quella del conservatore Raisi“. Adesso il pericolo è quello di un “sostanziale reset nelle trattative“. Disattendendo così le speranze americane ed europee di riprendere i colloqui da dove si erano interrotti. La nuova squadra di negoziatori iraniani ha alzato l’asticella delle richieste. Non solo l’immediata revoca di tutte le sanzioni. Ma anche la garanzia che nessun futuro presidente Usa abbandonerà nuovamente l’accordo. Come fatto da Trump. E, “a supporto di queste richieste”, precisa l’Ispi, Teheran ha annunciato nuovi progressi del suo programma nucleare.
Sanzioni
Sono trascorsi sei anni anni, infatti, dall’accordo (Jcpoa) con cui l’Iran ha messo un freno al suo programma nucleare. Più volte, però, Teheran ha accumulato quantità di uranio altamente arricchito. Violando gli impegni presi per limitare le attività in campo nucleare in cambio di un allentamento delle sanzioni. Dai negoziati sull’accordo nucleare iraniano a Vienna “non arriverà un risultato ottimale per Israele”. Ma il governo israeliano sta facendo il massimo per limitare i danni. Ad assicurarlo è il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid. Mentre nella capitale austriaca sono in corso le trattative tra l’Iran e le potenze mondiali. “Il primo ministro, il ministro della Difesa ed io abbiamo detto che non siamo contrari a un accordo. Un buon accordo è una cosa positiva”, evidenzia Lapid. Precisando tuttavia che i colloqui di Vienna non porteranno a “un risultato ottimale per quanto ci riguarda”. Ma “lavoriamo sempre con le persone coinvolte per migliorare il risultato per Israele“. Israele non è vincolato da alcun accordo. Il governo si riserva la possibilità di agire militarmente contro il nucleare iraniano. Se ritenesse che la minaccia rimane troppo grave.
Iran spaziale
Il Joint Comprehensive Plan of Action ha limitato nel 2015 la ricerca nucleare iraniana. Concedendo a Teheran agevolazioni economiche. Ora il presidente Usa Joe Biden è impegnato a far ripartire l’accordo cancellato unilateralmente da Donald Trump nel 2018. Il premier israeliano Naftali Bennett “non è contrario a un accordo, a patto che sia un buon accordo” fra l’Iran e gli altri paesi che sei anni fa siglarono l’intesa. E cioè Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Ma le tensioni con l’Iran investono una pluralità di ambiti. “Nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu vieta il programma di ricerca spaziale iraniano e i relativi test. Compresi quelli dei vettori satellitari“, afferma il portavoce del ministero degli Esteri Saeed Khatibzadeh. L’osservazione di Khatibzadeh arriva dopo le critiche di Stati Uniti e Francia. Secondo cui il lancio di dispositivi di ricerca da parte dell’Iran ha violato la risoluzione 2231 del Consiglio. “Tale affermazione è fallace e fondamentalmente falsa”, sottolinea Khatibzadeh. “Costituiscono un diritto inalienabile del paese i progressi scientifici e di ricerca dell’Iran. Compresi quelli nel campo dell’aerospaziale”. Poi aggiunge: “Le dichiarazioni intriganti non possono influenzare la determinazione dell’Iran. E l’Iran non presta attenzione ai commenti di alcuni paesi che stanno cercando di imporre i loro dettami“.
Nuove tensioni
Il primo ministro israeliano Bennett ribadisce che “Israele manterrà sempre il suo diritto di agire e si difenderà da solo”. Una risposta anche alle critiche dell’ex premier Benjamin Netanyahu. Secondo il quale sulla questione del nucleare iraniano la libertà di azione militare di Israele sarebbe stata sottomessa all’approvazione statunitense. In realtà Bennett rispetta diplomaticamente il tentativo di Joe Biden di far ripartire l’accordo con Teheran. Entro poco tempo, osserva l’Ispi, l’Iran potrebbe aver accumulato abbastanza uranio arricchito per costruire la sua prima bomba atomica. E neanche la crisi economica peggiore dagli anni Cinquanta sembra intaccare la tabella di marcia. “Fanno gola a Teheran50 miliardi di dollari (circa un quarto del Pil del paese) che l’Iran incamererebbe ogni anno dalla rimozione delle sanzioni sull’export di petrolio- sostiene l’Ispi-. Da anni, tuttavia, Teheran trova una sponda nella Cina. Che importando sempre più greggio dall’Iran, ne sta lentamente riportando la produzione ai livelli pre-sanzioni. ‘Spuntando’ così un’arma negoziale fondamentale per Washington.
Corsa contro il tempo
Come se non bastasse, gli Stati Uniti devono stringere i tempi. “I progressi sul nucleare iraniano saranno presto così avanzati da non poter essere invertiti da un nuovo accordo- precisa l’Ispi- Restano quindi sul tavolo tutte le opzioni. Dalla interruzione delle trattive alla rimozione delle sanzioni. Complici anche i rapporti freddi con Pechino e Mosca, gli Usa, nonostante il sostegno degli alleati Ue, sono più soli nelle trattative con l’Iran rispetto al 2015. Trattative che si preannunciano lunghe e difficili. Dopo l’Afghanistan, la sensazione è che Biden abbia molto da perdere e poco da guadagnare da queste trattative. E dire che la politica estera avrebbe dovuto essere il “cornerstone” della nuova presidenza”.