I giorni passano con scambi di dichiarazioni e minacce e la tensione cresce con l’attesa della prossima mossa, la reazione israeliana all’attacco dell’Iran dello scorso finesettimana. Se avverrà e quando e come. “Israele risponderà in maniera saggia e non di pancia”, avrebbe detto il primo ministro Benyamin Netanyahu ad una riunione dei ministri del Likud, il suo partito. “Siamo pronti a usare un’arma che non abbiamo mai usato prima”, avverte il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano Abolfazl Amouei. Il resto della comunità internazionale non vuole l’escalation nella regione e invita alla moderazione, con i leader di diversi Paesi occidentali, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden su tutti, che cercano di convincere il premier israeliano a non compiere azioni che possano far precipitare la situazione. Gli occhi del mondo sono quindi tutti ancora di più fissi sul Medio Oriente, un puzzle geopolitico dove le tessere negli ultimi sei mesi, dopo il 7 ottobre, hanno preso a mescolarsi. Per comprendere meglio il contesto e provare a capire cosa potrebbe succedere, Interris.it ha intervistato Alessia Chiriatti, responsabile del programma formazione e ricercatrice dell’Istituto affari internazionali (IAI) per il programma Mediterraneo e Medio Oriente e Africa.
L’intervista
Quanto è alta la tensione?
“E’ sicuramente palpabile nella misura in cui ci si aspetta una risposta da parte Israele all’attacco iraniano. Ne è una prova l’impegno degli Stati Uniti, con interlocuzioni diplomatiche e contatti con Netanyahu, per provare a scongiurare l’escalation. A oggi lo scacchiere mediorentale è diverso rispetto a quello che siamo stati abituati a conoscere, con attori e rapporti di forza che si sono modificati, e va osservato con nuove lenti diverse. In precedenza credevamo che la regione fosse stabile, seppur con dei conflitti congelati, e anche alla luce di questo si parla del 7 ottobre come un momento inaspettato. Ma proprio perché la tensione è alta, è il caso di guardare tutti i fatti avvenuti dal 7 ottobre in poi come concatenati, ad esempio i rapporti che si sono rinvigoriti tra Israele e alcuni Paesi della regione”.
Quando e come potrebbe rispondere Israele? Puntando il mirino dove?
“E’ anche una guerra di nervi, contano la tempistica e il fattore sorpresa. La reazione israeliana potrebbe non tardare ad arrivare anche per una questione di efficacia. Inoltre, mentre l’Iran ha avvisato dell’attacco, il primo ministro israeliano non mostra l’intenzione di volerlo fare. Per quanto riguarda gli obiettivi, la forma della risposta potrebbe variare ma non con un attacco diretto.”
Qual è il quadro mediorientale oggi?
“Il Medio Oriente si può osservare come un prisma con diverse facce. L’Iran, che vuole porsi come leader dell’Islam politico contro quello che ritiene l’imperialismo occidentale, principalmente statunitense, ma ha speso molto per gli ultimi attacchi. L’Arabia saudita, importante sia sotto il profilo strategico-militare che dal punto di vista economico e della sicurezza energetica. Le altre sono il Qatar, la Turchia, la Siria di Bashar al Assad, provato dalla guerra civile ma sostenuto dall’Iran, come gli Houti in Yemen, e l’Iraq, Paese senza una stabilità interna. La vera notizia è il ruolo dell’Arabia saudita, che ha fornito a Israele informazioni e supporto militare nel suo spazio aereo. Il suo appoggio fa capire in maniera chiara che Riad si sente minacciata dall’espansione iraniana”.
Quali sono i rischi di una guerra regionale?
“La possibilità reale di una guerra ‘tutti contro tutti’ è bassa. Ma nella misura in cui abbiamo un’escalation di questo tipo, con minacce da entrambe le parti, da un lato l’Iran può coinvolgere le milizie del cosiddetto ‘asse della resistenza’, e dall’altro Israele può trascinarsi dietro gli Stati Uniti”.
Chi possono essere i mediatori in questa situazione?
“Gli Usa provano a stemperare la situazione con Israele. Anche la Turchia, membro della Nato, vuole ricoprire questo ruolo nella regione, dato che è vicina al popolo palestinese e il suo messaggio è ben visto nello scacchiere mediorientale. L’Unione europea non può continuare a stare alla finestra, è importante che provi ad aiutare la diplomazia a moderare i toni. Il conflitto può restare limitato agli attori attuali, ma se l’escalation sale di livello può coinvolgerne altri a livello globale”.