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Intelligenza Artificiale e cura: uno sguardo etico verso il futuro

In Italia, secondo i dati Istat riguardanti i cittadini residenti, attualmente, ci sono oltre sette milioni di persone nella fascia di età over 75, ovvero l’11,7% della popolazione, di cui il 60% donne e oltre quattro milioni di over 80. Le cifre attuali, correlate in prospettiva al costante incremento dei cittadini nelle cosiddette “terza” e “quarta” età, porta con sé l’aumento delle problematiche di salute e delle conseguenti necessità di cura, anche all’interno di strutture specializzate e con il supporto strumenti tecnologici all’avanguardia, tra cui gli ultimi ritrovati nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale. Interris.it, in merito alle possibili declinazioni dell’I.A. nell’ambito della cura, ha intervistato la dott.ssa Paola Cattin, responsabile della formazione degli operatori e dei professionisti che lavorano all’interno delle realtà di Uneba Lombardia, un’associazione di categoria nata per intuizione dell’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, poi diventato Papa Paolo VI nel 1963, con l’intento di unificare le realtà di assistenza alle persone con fragilità allora esistenti.

La dott.ssa Paola Cattin di Uneba Lombardia (© Christian Cabello)

L’intervista

Dott.ssa Cattin, In che modo, l’Intelligenza Artificiale, può favorire l’assistenza quotidiana delle persone anziane in condizione di fragilità?

“L’Intelligenza Artificiale, se utilizzata come uno strumento ed affiancata a dei professionisti che hanno competenza e specificità nell’assistenza agli anziani piuttosto che alle persone con disabilità, può diventare un alleato prezioso, perfezionando e amplificando l’attenzione e la rilevazione di informazioni e dati, i quali aiutano gli operatori a prestare meglio l’opera di cura. Faccio un esempio: nel caso di disturbi del comportamento, legati ad un deficit cognitivo, come ad esempio il ‘wandering’ nei casi di Alzheimer, il poter disporre di rilevatori che coadiuvano e avvisano il professionista in riguardo a movimenti consulti o ad allontanamenti del paziente, può diventare un elemento di supporto molto importante. Ad oggi, purtroppo, nei casi di ‘wandering’, una delle strategie può essere costituita dalla limitazione dei movimenti invece, grazie alle nuove tecnologie, come dei sensori, nello stesso tempo, si possono aiutare gli operatori e, allo stesso tempo, il paziente è libero di muoversi nello spazio. L’I.A., quindi, se utilizzata in questo modo, va ad integrare delle competenze specifiche e di alto livello. Essa non sostituisce gli operatori, ma li affianca”.

Il prendersi cura, da sempre, è uno degli obiettivi di Uneba, come lo state declinando su questo versante con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale?

“L’Intelligenza Artificiale deve essere al servizio del professionista per garantire una risposta ai bisogni di cura e assistenza, sempre più specifici e personalizzati. Uneba, in questi anni, ha stretto delle collaborazioni con delle aziende che utilizzano l’I.A. nella cura. Si pensi, ad esempio, a tutto ciò che è legato alla cartella clinica informatizzata, agli strumenti per consentire le rilevazioni dei movimenti delle persone negli spazi, agli ausili per la mobilizzazione dei pazienti e ai software che possono analizzare i dati raccolti dagli operatori. L’I.A. ormai, è entrata nella quotidianità di ciascuno di noi, quindi, non dobbiamo subirla ma viverla da protagonisti. Ciò, in qualità di associazione di categoria, lo si fa affiancando le aziende che, su questa nuova tecnologia, stanno investendo e lavorando”.

Quali sono le vostre speranze per il futuro in materia di diffusione dell’Intelligenza Artificiale e prossimità alle fragilità della Terza Età?

“La sfida che ci attende è quella di lavorare a doppio legame con le aziende e i professionisti esperti in materia di intelligenza artificiale. La specificità dell’assistenza e del ‘care’, ovvero la specialità dei professionisti che aderiscono ad Uneba, unita all’alta competenza di coloro che si occupano di I.A., non può che fondersi per sostenere le persone, al fine di garantire loro una risposta personalizzata e specifica ai loro bisogni. Mi immagino un futuro dove, nell’ambito disabilità e non autosufficienza, non ci sia per forza una risposta legata alla residenzialità ma in cui, attraverso l’utilizzo della telemedicina e dell’I.A., si possa anche rimanere a domicilio. L’autonomia motoria e di movimento, attraverso l’utilizzo di queste nuove tecnologie e mediante specifici ausili, potrebbe essere mantenuta più a lungo. Vedo un futuro di grande collaborazione tra Intelligenza Artificiale e professionisti del care, nell’ottica di garantire risposte sempre più personalizzate.”

Foto di valelopardo da Pixabay

Che ruolo riveste la formazione per questi aspetti?

“La formazione riveste un ruolo cruciale. A volte, di fronte alle novità come l’I.A., alcuni ne sono intimoriti e, l’aspetto formativo, deve agire su diversi livelli. Il primo riguarda la conoscenza per far sì che si possa diventare fruitori di questa novità e, unito a ciò, il fatto di poter essere mandanti nei confronti delle aziende che lavorano con l’I.A., al fine di poter avere strumenti, ausili è software, in grado di dare sempre più supporto alle professioni di cura”.

Christian Cabello

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