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Incocciati, tra ricordi e futuro: “Il nostro calcio come una famiglia. Oggi serve passione”

Ex attaccante, protagonista con squadre storiche degli anni 80, oggi Incocciati allena i ragazzi dell'Atletico Terme Fiuggi. Ai quali cerca di trasmettere i valori di un calcio fatto di passione e sacrificio

Testimone di un calcio d’altri tempi, protagonista di squadre storiche e allenatore ispirato dai valori del pallone che fu. Una figura di raccordo quella di Giuseppe Incocciati, a cavallo di un’epoca d’oro vissuta con successo accanto ai grandissimi. Nativo di Fiuggi ma cresciuto nel Milan che, in quegli anni, affrontò la Serie B, calcando il terreno del Meazza con i futuri campioni del mondo Baresi e Collovati, la carriera di Incocciati conoscerà tappe cruciali e romantiche: l’annata all’Ascoli del presidentissimo Costantino Rozzi, conclusa con una promozione in Serie A da protagonista; la parentesi prolifica con l’Atalanta, il biennio nel Pisa di Anconetani e la stagione a Napoli da partner in attacco di Maradona. Sul campo e fuori, in cammino coi giganti che, negli anni Ottanta, resero il calcio italiano il migliore del mondo. Un’aura romantica che oggi conserva nei suoi ricordi e che, nella sua città, cerca di trasmettere ai ragazzi dell’Atletico Terme Fiuggi. Un connubio di sport e passione che, probabilmente, in un periodo di difficoltà estrema come quello della pandemia, avrebbe avuto parecchio da dire anche ad alti livelli.

Incocciati con la maglia del Pisa

Giuseppe Incocciati, iniziamo dall’ondata pandemica che, come accaduto a ogni altro ambito, ha colpito anche il mondo dello sport. Come valuta il tentativo di ripresa a porte chiuse?
“Per quel che riguarda la quotidianità, ha significato che le cose continuano nonostante le problematiche che abbiamo vissuto. Un ritorno a una vita ‘normale’, anche sotto l’aspetto sportivo. In questo senso ritengo sia stato giusto riprendere le attività, anche se nell’anomalia della situazione. Il condizionamento è arrivato più che altro sotto l’aspetto psicologico, riguardo quello che gli atleti hanno subito. Situazioni non facilmente affrontabili. E abbiamo visto risultati un po’ anomali, ma l’importante è che si sia chiuso il campionato e che si riprenda la nuova stagione in sicurezza, con la speranza che sia nella situazione più normale possibile”.

Da allenatore avrà sicuramente avuto un confronto con i suoi ragazzi. Un atleta come assorbe uno stop imposto a un’attività fisica della quale fa il proprio lavoro e in cui investe per il proprio futuro?
“Si sono dovuti un po’ adattare a questa situazione. Per un atleta star fermo cinque mesi senza poter fare nulla è problematico. Così come lo è restituire quei valori di forza per quanto riguarda il tono muscolare. E anche rimettere in piedi il lato psicologico, secondo me quello più danneggiato. La ripresa è stata delicata, perché i giocatori sapevano che dopo un lungo periodo di inattività potevano andare incontro a infortuni inaspettati. E un atleta affronta gli allenamenti con grande preoccupazione. Non è stato semplice e lo abbiamo visto anche a livello professionistico: ad esempio la Lazio, che prima della pausa sembra avere le carte in regola per poter vincere il campionato e che ha poi faticato dopo il nuovo via. Situazioni inaspettate dovute a diversi fattori, legati soprattutto agli effetti psicologici: gli stadi vuoti, la preoccupazione del contagio, gli allenamenti differenziati e una serie di novità che hanno inciso negativamente… Speriamo che con la nuova stagione si possa ritornare a un po’ di serenità, non solo nello sport ma anche nella vita di tutti i giorni”.

Com’è stata tecnicamente la ripresa degli allenamenti? Si è iniziato adeguando i carichi di lavoro…
“Certamente sì. Abbiamo fatto un periodo di adattamento ai carichi di lavoro. Siamo partiti molto blandi per poi iniziare in un secondo tempo la preparazione dovuta. Ora la Figc ha dato le date d’inizio dei campionati: a noi toccherà il 27, insieme alla Lega Pro. In un periodo in cui abbiamo fatto quasi venti giorni di preparazione”.

Restando sul calcio di oggi, lei ha vissuto, come calciatore, forse il periodo più importante del pallone di casa nostra. In particolare il suo biennio nel Pisa di Romeo Anconetani ci parla di un calcio in cui il binomio società-squadra era praticamente un tutt’uno…
“Non solo nel Pisa, ma anche nell’Ascoli e nel Milan c’erano presidenti che, chi più chi meno, erano un po’ i nostri padri di famiglia. Persone che sapevano fare tutto, consapevoli dell’aspetto tecnico e di quello organizzativo, conoscevano la materia e avevamo la massima certezza di un apparato che potesse dare sicurezza. Oggi non so se sia così, forse nelle grandi società ma penso si sia perso un po’ il valore della famiglia all’interno di una squadra. Cosa che invece noi avevamo puntualmente: anche nei momenti di difficoltà il presidente scendeva nello spogliatoio con noi, mangiava con noi, era sensibile a tutti gli aspetti. E’ un calcio che oggi non c’è più. A quei tempi era una vita un po’ differente, oggi ci sono altre difficoltà che hanno forse allontanato la passione nel gestire una squadra di calcio. L’ultimo è stato forse il presidente Berlusconi. Oggi il mondo viaggia su altri fronti, ci sono questi multinazionali che entrano negli aspetti economici, talmente potenti che il singolo fa fatica a entrarci”.

Personalità così vicine alla squadra avrebbero potuto fare la differenza, a livello umano, in un periodo come quello che abbiamo vissuto…
“Io sono un nostalgico, sono convinto che noi, come popolo italiano, abbiamo tutto il necessario per saper ben guidare una società. Lo dimostra la Juventus, il Napoli di De Laurentiis, la Lazio, la Fiorentina. Più difficoltà stanno incontrando la Roma, il Milan e l’Inter, che si sono affidate a delle cordate estere. Da una parte servono capitali ma serve anche il profilo sportivo che accomuna tutti. Io mi tengo ben attaccato a quello che ho vissuto e alle emozioni che in prima persona ho avuto. Anche a livello europeo, se andiamo a vedere, in Italia vince la Juve, in Germania il Bayern… Nella stragrande maggioranza, le squadre che vincono sono capitanate dagli interni. Secondo me dobbiamo fare ancora passi importanti da questo punto di vista”.

Da un nerazzurro all’altro, ormai non è più una sorpresa ma lei, da ex, si sarebbe aspettato di vedere l’Atalanta rivaleggiare con le più grandi formazioni d’Europa?
“Io, nel mio periodo bergamasco, sono arrivato in semifinale di Coppa delle Coppe con l’Atalanta. Sono anni che la Dea dimostra di essere una società all’avanguardia. Non sono affatto stupito che la squadra abbia raggiunto queste posizioni, che sono anche frutto dell’organizzazione, di persone che sanno fare. E sono convinto che faranno ancora bene, perché è una società di persone serie, che sanno organizzare. E poi sul mercato agiscono in modo perfetto, acquistano giocatori funzionali che magari all’inizio sono sconosciuti e poi si rivelano di alto livello. Conosco l’ambiente, come impostano il lavoro e non sono affatto stupito di quanto stanno vivendo. E sono contento che l’Atalanta porti in alto il nome del calcio italiano”.

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