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“In pandemia la Chiesa c’è soprattutto con la vita di carità”. Intervista al cardinale Semeraro

Logo Interris - Mons. Semeraro: "Il lavoro per la riforma della curia romana è quasi concluso"

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“In questi tempi così critici la Chiesa ha forse ridimensionato la sua presenza quanto alla celebrazione dei riti sacri, ma non è assente!“, afferma a Interris.it il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Semeraro: “La pandemia non ci ha presi di sorpresa”

Prosegue il porporato: “Qualcuno, a dire il vero, lo pensa, ma nella sua immaginazione l’agire della Chiesa dovrebbe risolversi nei riti e nella confezione di arredi sacri. La Chiesa, invece, c’è soprattutto ma con la vita di carità! In questo la pandemia non ci ha presi di sorpresa, ma ci ha sollecitato a mettere in luce il meglio, che è la carità!”. Abituale collaboratore del Papa, nel 2013 monsignor Semeraro è stato nominato segretario del Consiglio dei cardinali per l’aiuto al Pontefice nel governo della Chiesa Universale. Da due mesi è il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Originario del Salento, sacerdote dal 1971, vescovo di Oria nel 1998 e di Albano dal 2004. E’ amministratore apostolico “ad nutum Sanctae Sedis” del Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata e delegato pontificio dell’Ordine Basiliano d’Italia. Autore di apprezzati saggi di pastorale e spiritualità, è stato segretario del Sinodo dei Vescovi. E’ membro del Dicastero per la Comunicazione e Consultore della Congregazione per le Chiese Orientali. La pandemia, vista dalla prima linea della Chiesa povera per i poveri, quali difficoltà e sfide pone?

“La mia risposta si colloca appunto nel punto di osservazione posto dalla sua domanda: ‘la Chiesa povera per i poveri’. Ancora più concretamente, considerando quanto avvenuto e ancora si verifica nella Chiesa di Albano ancora affidata alle mie cure pastorali. Si terrà conto, anzitutto, del carattere di “sorpresa’ che questa pandemia ha avuto nella nostra società. Una sorta di ‘cigno nero’ la cui presenza ci costringe a rivedere molte delle concezioni –forse anche ‘miti’- che da molti decenni guidano in nostro costume”.Quali?

“Quelli del progresso inarrestabile, della infallibilità della scienza, dell’ansia di ‘immortalità’. La pandemia ha messo allo scoperto la nostra vulnerabilità, la nostra fragilità, la nostra mortalità! Fare discernimento in queste evenienze vuol dire essere riportati alla nostra condizione umana e su questa base alla fraternità umana. ‘Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità’, ha scritto il Papa nell’enciclica ‘Fratelli tutti'”.Papa Francesco ha ribadito che nessuno si salva da solo. Nell’emergenza sanitaria si diventa più egoisti o più solidali?

“La situazione di eccezionalità in situazione di pandemia collegata ad un morbo che si trasmette per contagio. E ci espone gli uni agli altri in un mondo dove tutto è relazione può avere due esiti. Uno può essere quello in cui l’altro è guardato con sospetto, come un infetto portatore di infezione, un colpevole da cui occorre guardarsi e difendersi. In questo esito l’esito è drammatico giacché le stesse vittime sono considerate carnefici e così non c’è più possibilità di convivenza. L’altra possibilità e quella di aprirsi alla responsabilità e alla cura. La responsabilità quanto a se stessi, non illudendosi che la soluzione dal Covid-19 dipenda da una serie di ordinanze statali. È importante che la società e ciascuno di noi si faccia carico dei propri comportamenti”.A cosa si riferisce?

“La pandemia non è un ‘destino’. Il virus non è caduto dal cielo e ancor meno è la punizione divina per i nostri peccati. Esso si è sviluppato, piuttosto, in un mondo dove l’uomo vuole farla da padrone su tutto, a cominciare dalla natura. Su questo è necessario riflettere. Se ci sentiamo richiamati alla responsabilità allora riusciamo a sentire anche l’appello che viene dalla fraternità”.Come è cambiato in pandemia il valore della solidarietà?

“È appunto la questione, il ‘caso serio’ cui ho appena accennato. Richiamavo prima l’enciclica ‘Fratelli tutti’ dove il Papa ci ricorda che nessuno può affrontare la vita in modo isolato. Che c’è, invece, bisogno di una comunità che dia sostegno, aiuto. Una comunità di aiuto reciproco per sostenersi guardare in avanti con occhi ricchi di speranza. È bello anche ciò che dice il Papa. E cioè che ‘è importante sognare insieme! Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è. I sogni si costruiscono insieme”.

Affrontiamo tutti la stessa tempesta ma non siamo tutti sulla stessa barca, l’emergenza Covid rischia di accrescere ulteriormente le disuguaglianze sociali?

“Questo, mi permetta di sottolinearlo, non è un problema legato al Covid. È una questione che deve indurci a guardare ancora più a fondo. Già nell’enciclica “Populorum progressio”– si era nel 1967, quando l’Occidente era in pieno processo di industrializzazione – Paolo VI scrisse che l’esito degli squilibri sociali sarebbe stato questo: “I poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi”.Può farci un esempio?

“Io mi pongo spesso e con dolore la domanda: ‘Quali interessi economici sono covati in questa pandemia’? Se rimane vivo l’antico vizio dell’egoismo, che ci sia o non il Covid, i poveri diverranno comunque sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi!”.

Giacomo Galeazzi: