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L’importanza della giornata internazionale della solidarietà. L’intervista a Matteo Fadda

L'intervista al responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, Matteo Fadda, in occasione della Giornata Internazionale della solidarietà

Se cerchiamo la parola solidarietà in un dizionario, questa è la spiegazione: è un sentimento di fratellanza, di aiuto materiale e morale tra le persone di un gruppo, di una collettività. Il 31 agosto si celebra la Giornata internazionale della solidarietà. Istituita dall’Onu nel 2005, ha l’obiettivo di sensibilizzare le persone sul tema e, allo stesso tempo, di stimolare azioni di sostegno e collaborazione nei confronti di chi vive situazioni di disagio. E’ stata istituita con l’obiettivo di sensibilizzare la società verso coloro che vivono una vita più difficile e problematica. In tutto il mondo, molte persone si trovano ad affrontare sfide immense, come la povertà, le malattie, le catastrofi naturali e i conflitti armati.

L’azione della Comunità Papa Giovanni XXIII in Italia e nel mondo

Al fianco di quelli che la società considera gli ultimi, dal 1968, c’è la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi. Nel 1973 si apre la prima caasa famiglia in provincia di Rimini e, negli anni, l’associazione si diffonde a macchia d’olio sul territorio italiano e poi all’estero. Nel 1983 a seguito della richiesta da parte di Mons. Denis Dejong, Vescovo di Ndola, di aprire una casa famiglia in Zambia si è interrogata sul da farsi finchè nell’agosto del 1985 parte il primo gruppo di missionari e apre una casa famiglia in Zambia, la prima all’estero.

Foto ©Apg23

I progetti in Zambia

Oggi in Zambia la Comunità di don Benzi gestisce una casa famiglia, tre famiglie aperte all’accoglienza, 13 centri per bambini malnutriti, otto centri nutrizionali per anziani, due mense scolastiche, sette community school, una struttura di prima accoglienza e tre centri per ragazzi di strada, due scuole speciali ed un corso professionale per i disabili, da quando sono bambini fino all’inserimento nel mondo del lavoro, un centro diurno sempre per persone disabili. Ogni giorno raggiunge circa 5mila persone. Da segnalare in particolare il progetto Rainbow, un “modello di cura” che ha l’obiettivo di aiutare il maggior numero di orfani dell’Aids e bambini vulnerabili lasciandoli nella loro famiglia estesa. Vi è poi il Cicetekelo Youth Project che accoglie 300 bambini di strada offrendo non solo alloggio e cibo, ma anche istruzione, formazione lavorativa ed un accompagnamento, con amore, nel loro percorso di crescita fino al reinserimento nella comunità. Infine vi sono le gelaterie Gigibontà, ad oggi dieci in tutto il Paese, dove si può gustare un ottimo gelato italiano e nelle quali lavorano 189 persone.

L’Apg23 nel mondo

Oltre che in Zambia, in Africa l’Apg23 è presente in Burundi, in Camerun, in Kenya in Sierra Leone e in Tanzania con progetti che riguardano l’accoglienza, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’inserimento al lavoro, il sostegno alimentare e la tutela dei diritti umani. I missionari dell’associazione fondata da don Oreste Benzi svolgono la loro opera di sostegno alle fasce più fragili e vulnerabili della popolazione anche nelle Americhe (in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Haiti, Usa e Venezuela); in Australia; in Asia (Libano, Sri Lanka, Palestina, Israele, Nepal, Iraq, India, Georgia, Cina, Bangladesh); conta una presenza anche in Australia; In Europa (Albania, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Romania, Russia, San Marino, Spagna, Svizzera).

Foto ©Apg23

La solidarietà passa per “Un pasto al giorno”

Il 16 e il 17 ottobre i volontari dell’Apg23 saranno nelle piazze italiane per chiedere un piccolo gesto di solidarietà a quanti potranno e vorranno. Torna “Un pasto al giorno“, quest’anno giunto alla 15esima edizione: davanti al sagrato di una parrocchia o in una piazza del centro città, i membri dell’Apg23 saranno attivi con i loro banchetti per chiedere un gesto concreto per aiutare chi vive in gravi condizioni di povertà. Lo scopo di “Un pasto al giorno” è quello di portare in tavola 7 milioni e mezzo di pasti all’anno per le persone povere aiutate e accolte nelle loro case, mense e realtà di aiuto. Per ringraziare chi si fermerà ai banchetti lasciando un contributo, i volontari dell’Apg23 doneranno un libro con 52 preghiere, simbolicamente una per ogni settimana dell’anno, scritte dalle persone dell’associazione. In questi 15 anni di Un Pasto al Giorno tanti volontari si sono spesi per tutte le persone che accogliamo nelle nostre realtà, per dare loro una risposta di speranza e futuro, iniziando proprio dal pasto.

L’intervista

Per appronfondire il tema della solidarietà, del suo significato e dell’importanza di questa giornata, Interris.it ha intervistato Matteo Fadda, Responsabile generale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

Matteo, qual è l’importanza della Giornata internazionale della solidarietà? 

“La solidarietà è un tassello fondamentale della nostra umanità. La solidarietà e il sentirsi interconnessi con l’altro, non divisi, non nomadi, ci fa vedere come nel nostro mondo il bene comune passa attraverso ognuno di noi. Negare questo manda tutto al macero. L’individualismo, il consumismo, i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri: sono tutti elementi che dipendono dal fatto che le persone – non tutte ovviamente – non si sentono solidali le une con le altre. La solidarietà è uno degli elementi fondamentali su cui poggia il futuro della nostra società”.

Lei è responsabile di un’associazione che opera in diverse zone del mondo, ora anche in Ucraina. Come l’Apg23 è solidale con il prossimo?

“Sentendosi parte di un’unica famiglia, ci si organizza secondo le regole dei diversi stati, ma sperimentando questo legame di appartenenza reciproca. Non c’è un mio o un tuo, ma esiste il nostro sia quando c’è abbondanza sia quando si è nella ristrettezza, ci si stringe a vecenda, solidali nel bene e nel male. Tutto inizia con il sentirsi parte davvero di un’unica famiglia, non solo nello spirito, ma concretamente. Si mette in comune, quello che noi definiamo ‘società del gratuito’: dò tutto quello che ho gratuitamente e prendo ciò di cui necessito, non in base a titoli di merito. Di solito basta per tutti e avanza anche per gli altri”.

Un modello che l’Apg23 sperimenta in tutte le sue realtà. Ma come è possibile aprire una missione in un Paese con regole, cultura e tradizioni completamente diverse dalle nostre e sentirsi un’unica famiglia? Come è possibile sperimentare la solidarietà? 

“E’ molto complicato, anche dopo tanti anni di missione. E’ un processo di inculturazione dell’essere missionari. Esiste però un linguaggio che è comprensibile da tutti, che è quello dell’amore gratuito: voler bene, essere aperto al prossimo senza aspettarsi nulla in cambio. Questo stupisce molto in alcune culture piuttosto che in altre, ma tutti lo capiscono. La difficoltà consiste nel tradurlo in pratica nel territorio e nella cultura dove si vive, ma non è per niente semplice”.

Dal 2006, la Comunità Papa Giovanni XXIII è stata accreditata con lo stato di “Consultativo Speciale” all’Ecosoc (Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite), un organismo che tratta tematiche legate allo sviluppo sociale, alla giustizia e alla pace. Proprio in quella sede è stato chiesto che la solidarietà internazionale venga riconosciuta come diritto umano. Come giungere a questo obiettivo?

“Sarebbe davvero bello se i governi di ogni Stato riconoscessero la solidarietà come diritto umano. La nostra presenza all’Onu è un batterci per questa ed altre tematiche, come i diritti del bambino, il diritto allo sviluppo, il diritto alla pace, l’immigrazione, la salute globale e l’accesso ai farmaci, la protezione della famiglia, la lotta al traffico di esseri umani, alla povertà e contro l’abuso di droga. Il nostro stile è sempre quello di partire dalla condivisione. Il nostro partecipare con solidarietà alla crisi ucraina per noi significa andare e vivere le stesse cose che vissute dalla povera gente che da oltre un anno si trova sotto le bombe. Il nostro impegno è stato riconosciuto anche dall’Unione Europea che ci ha anche finanziati. Questo, probabilmente, ha cambiato il modo di leggere la cooperazione internazionale che si basa proprio sul principio della solidarietà. E’ nato il movimento Stop the War Now che riunisce 150 associazioni, un evento unico nato proprio dall’esigenza delle persone”.

Guardando un po’ lo scenario mondiale attuale, dopo tre anni di pandemia, lo scoppio della guerra in Ucraina e la crisi migratoria che sembra non accennare a placarsi, secondo lei, don Oreste cosa avrebbe detto ai membri dell’Apg23 rispetto alla solidarietà? 

“In realtà non lo so. Abbiamo la fortuna di avere Papa Francesco che parla un linguaggio molto simile a quello che utilizzava don Oreste, come se si fossero conosciuti. Don Oreste ci ha sempre ricordato, e Papa Francesco lo fa ora, di avere una coscienza di popolo che va al di là dei confini e degli steccati che erigiamo. Una coscienza di un unico popolo, quello di Dio, di una chiesa vicina ai poveri, non creare distanza tra chi vive nei palazzi e la povera gente. Il pastore che deve avere l’odore delle pecore. Don Oreste ci direbbe questo, che ci porta a una visione del mondo che non erige muri o barricate, ma che costruisce ponti. Trovo questa somiglianza tra don Oreste e Papa Francesco, una voce unica che è quella dello Spirito Santo che parla attraverso uomini di buona volontà”.

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