Categories: copertina

L’impatto del diabete nella vita quotidiana. L’intervista al prof. Dario Pitocco

Il 14 novembre si celebra la giornata mondiale del diabete che, quest’anno cade in contemporanea con il centenario della scoperta dell’insulina. Correva l’anno 1921 e i ricercatori dell’Università di Toronto, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best, fecero una scoperta scientifica senza pari che trasformò radicalmente il trattamento del diabete: isolarono per la prima volta l’isletina, oggi nota come insulina, un ormone secreto dal pancreas e fondamentale per regolare il metabolismo del nostro organismo. Senza di essa, infatti, non saremmo in grado di utilizzare lo zucchero che assumiamo tramite i cibi.

La prima persona a ricevere l’insulina

Leonard Thompson, un giovane di 14 anni che rischiava di morire di diabete in un ospedale di Toronto, è stato il primo paziente a ricevere un’iniezione di insulina, con risultati straordinari: nell’arco di un giorno, i livelli di glucosio nel suo sangue da pericolosamente alti divennero quasi normali. Una scoperta che fece il giro del mondo in poco tempo. Successivamente, Banting e il collega John Macleod svilupparono una forma di insulina più pura, prodotta dal pancreas bovino: per questo nel 1923 ricevettero il premio Nobel per la medicina. Si dovette attendere, però, il 1978, per finalizzare la prima insulina umana ottenuta per via sintetica.

Diabete tipo 1 e tipo 2

La mancanza dell’insulina nel sangue o la difficoltà ad utilizzarlo portano a sviluppare, rispettivamente, il diabete di tipo 1 (per lo più di origine autoimmune) e il diabete di tipo 2 (in larga parte di origine metabolica). Per chi soffre di diabete di tipo 1, l’insulina è a oggi una terapia salvavita e deve essere somministrata continuamente attraverso iniezioni multiple giornaliere o tramite dei microinfusori, degli strumenti che potrebbero attualmente essere definiti dei semi-pancreas artificiali.

Alcuni dati

Secondo i dati raccolti nell’Italian Diabets Barometer Report, realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, in collaborazione con Istat e Coresearch, le persone con diabete nel nostro Paese sono più di 3 milioni e mezzo, con una crescita del 60% dal 2000 al 2019. In questo periodo i diabetici sono passati dal 3,8% della popolazione al 5,8%. Una tendenza che trova riscontro a livello europeo. Tra il 2008 e il 2014 il numero di cittadini europei con diabete è cresciuto di 4,6 milioni, ovvero del 28% in sei anni.

L’intervista

Per capire meglio cosa sia il diabete, l’impatto sulla vita quotidiana della persona che ne soffre, l’importanza della prevenzione e della giusta aderenza ad un adeguato stile di vita, Interris.it ha intervistato il prof. Dario Pitocco, Professore associato di Endocrinologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore responsabile dell’Unità Operativa Dipartimentale di Diabetologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.

Professore, perché è importante dedicare una giornata a una malattia come il diabete?

“Prima di tutto è importante perché quest’anno cade in contemporanea con il centenario della scoperta dell’insulina. Seconda cosa, è importante perché la popolazione va sensibilizzata. Quando si parla di diabete, parliamo di una condizione molto eterogenea, il cui tratto comune è quello contraddistinto dal valore alto di livelli di glucosio nel sangue. I meccanismi attraverso cui si giunge a questo valore così alterato possono essere diversi e spesso poco conosciuti”.

Esistono diversi tipi di diabete?

“Parliamo di diabete di tipo 1 quando l’iperglicemia – ossia il livello di glucosio nel sangue molto alto – è conseguente a una disfunzione su base autoimmune. Quando si fa riferimento all’autoimmunità vuol dire che il sistema immunitario, che è quello che ci protegge da virus o batteri, ‘perde la bussola’ e attacca il nostro organismo. Nel caso del diabetico 1 il sistema immunitario attacca le cellule beta all’interno del pancreas deputate alla produzione dell’insulina. Questo tipo di diabete si presenta al suo esordio in modo molto caratteristico che sono i sintomi dello scompenso glicemico: andare spesso ad urinare, bere molto e dimagrire. Questo tipo di diabete può colpire qualsiasi fascia di età. Riconoscere precocemente questi sintomi serve ad evitare la complicanza acuta più importante di questa condizione che è la chetoacidosi che può portare anche al coma. Si parla invece di diabete di tipo 2 quando l’aumento di glucosio nel sangue consegue a un cattivo funzionamento dell’insulina, definito insulino resistenza. Il diabete di tipo 2 si accompagna spesso ad altre alterazioni come la pressione alta, il sovrappeso e livelli alti di colesterolo”.

Quali sono le complicanze che una persona malata di diabete può andare incontro?

“E’ importante sensibilizzare la popolazione perché spesso l’iperglicemia lieve non dà quei sintomi a cui facevamo riferimento prima. Una persona può avere per molti anni questi valori glicemici alterati e questi possono causare complicanze importanti nell’organismo. Il diabete può colpire i vasi sanguigni di grosso calibro: nella popolazione affetta dal diabete il rischio di essere colpiti da un infarto è circa il doppio rispetto a una popolazione non diabetica. Il diabete è la prima causa non traumatica di amputazione degli arti inferiori. Inoltre, può colpire anche i piccoli vasi come quelli presenti negli occhi (retinopatia diabetica), quelli dei reni (nefropatia diabetica). Può anche colpire il sistema nervoso e quindi causare una neuropatia”.

Si può prevenire il diabete?

“Purtroppo il diabete di tipo 1 non è prevenibile. Se si riconoscono precocemente i sintomi si può prevenire l’esordio acuto con la comparsa della chetoacidosi. Nel diabete di tipo 2, se la popolazione è sensibilizzata, soprattutto se ci sono casi in famiglia, o si presentano le condizioni (sovrappeso, colesterolo e pressione alta) di cui parlavamo prima, se si controlla la glicemia almeno un paio di volte l’anno, si mette in atto uno stile di vita e alimentare corretto, si può in qualche modo bloccare e arrestare la progressione del diabete”.

A volte si pensa che, dopo la diagnosi, prendere la pasticca o fare l’iniezione di insulina per tenere sotto controllo la glicemia sia la soluzione e così si può continuare a mangiare quello che si vuole. E’ realmente così?

“No. Lo stile di vita, ossia la corretta aderenza alla dieta e il movimento, rimane un punto fondamentale nel diabetico 2 e in qualche modo è importante anche per la persona con diabete di tipo 1. Ricordiamoci che pensare di curare il diabete senza fare attenzione allo stile di vita, è come costruire un palazzo senza fondamenta: alla fine crolla tutto. Per il diabete di tipo 2 sono usciti tanti nuovi farmaci che vanno a colpire la fisiopatologia, quei meccanismi che sono alla base del diabete e, quindi, ne modificano la storia naturale. Per questo, se supportati da una giusta aderenza alla dieta e al movimento, possono fare sì che ci sia una modificazione nell’evoluzione della patologia. Inoltre, e questo riguarda soprattutto le persone affette da diabete di tipo 1, c’è stato un forte progresso della tecnologia e ora abbiamo a disposizione degli strumenti come i microinfusori di insulina che, potenziati dall’utilizzo di un sensore di monitoraggio in continuo della glicemia, infondono insulina in modo semiautomatizzato, come se fossero dei piccoli pancreas artificiali”.

Questi strumenti tecnologici, microinfusori e sensori per la misurazione dei livelli di glucosio senza bisogno di pungersi le dita, come influiscono nella gestione quotidiana della malattia?

“Quando si ha il diabete la glicemia tende ad oscillare moltissimo. L’obiettivo del trattamento del diabete è quello di rendere questa oscillazione la più controllata, provando a far rimanere il valore glicemico all’interno di un range che è stato definito tra i 70 e 180 mg/dl. Certamente l’utilizzo della tecnologia aiuta molto per il raggiungimento dell’obiettivo, riducendo, inoltre, il rischio di incorrer ein crisi ipoglicemiche (abbassamento della glicemia) e in crisi iperglicemiche”.

Lo scorso anno abbiamo dovuto fare i conti con la pandemia da coronavirus. Questo come ha influito nella vita dei pazienti?

“La pandemia ha dilatato le visite di controllo, un po’ la popolazione con diabete ne ha risentito. Siamo riusciti a limitare i danni tramite la tecnologia, con i teleconsulti e le visite a distanza. Per chi usa i sensori e i microinfusori ci sono a disposizione delle piattaforme che permettono di scaricare i dati e così il diabetologo può vedere l’andamento glicemico. Ovviamente, questo non può sostituire la visita diabetologica, ma può aiutare a valutare e controllare il follow up di determinati pazienti”.

Come lei ricordava prima, quest’anno ricorre il centenario della scoperta dell’insulina. Mentre prima si moriva di diabete, ora c’è una speranza di vita molto più lunga…

“Per quello che riguarda le persone con diabete di tipo 1, l’aspettativa di vita, rispetto agli altri, è di circa 7-10 anni in meno. Sicuramente la scoperta dell’insulina, poi il passaggio dalle insuline animali (bovine e suine) a quelle umane e poi agli analoghi dell’insulina, e la diffusione dei microinfusori ha cambiato radicalmente la terapia insulinica e l’effetto”.

Le persone che soffrono di diabete possono continuare a svolgere normalmente la loro vita, ovviamente con le dovute precauzioni, o ci sono delle limitazioni sotto alcuni punti di vista?

“L’obiettivo del nostro lavoro è questo: che il diabete sia cucito addosso alla persona come un vestito di ottima qualità, in modo che non se ne senta il peso quotidiano. Il diabete è la patologia cronica più impattante che abbiamo al momento. E proprio perché interessa il quotidiano dobbiamo fare in modo che il paziente, allo stesso tempo, lo avverta il meno possibile e lo gestisca nel migliore dei modi”.

Manuela Petrini: