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L’impatto del coronavirus sulla mortalità per ictus ed infarto

Intervista di Interris.it al professore Vincenzo Di Lazzaro, direttore UOC Neurologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma

La pandemia di Covid 19 ha avuto impatti indiretti su tutte le patologie. Agli impedimenti e gli ostacoli che le persone incontrano per accedere ai normali controlli di routine si sommano le riconversioni di molte strutture ora completamente dedicate alla lotta contro il coronavirus, la sospensione di molti servizi di diagnostica e cura ma soprattutto l’atteggiamento tanti uomini e donne che ignorano i sintomi di possibili patologie pur di non accedere al pronto soccorso per paura di essere contagiati.

Secondo uno studio della Società italiana di cardiologia la paura del contagio ha fatto triplicare la mortalità per infarto, passata dal 4.1% al 13.7 per cento. Una situazione che rischia di bruciare 20 anni di prevenzione e che è causata soprattutto dal ritardo del trattamento degli arresti cardiaci.

In pratica la pandemia ha avuto un impatto notevole su tutte le patologie e in particolare quelle cosiddette “tempo-dipendenti” come ictus e infarto del miocardio, in cui il fattore tempo fa la differenza tra la vita e la morte. Secondo Società Italiana Emergenza Sanitaria, per esempio, nella sola città di Roma nel periodo marzo-aprile 2020 si sono registrati 305 interventi di soccorso per ictus, contro i 358 dell’anno precedente.

L’allarme è stato lanciato nuovamente, giovedì scorso, in occasione della giornata mondiale giornata mondiale dell’Ictus 2020, dal professor Vincenzo Di Lazzaro, direttore UOC Neurologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.

Nell’intervista che il professore ha rilasciato ad Interris viene rimarcata l’importanza di accedere tempestivamente alla rete dell’emergenza territoriale:

“L’accesso al pronto soccorso avviene in piena sicurezza. Sono stati allestiti in tutti gli ospedali percorsi differenziati per i pazienti covid e i sospetti pazienti covid. La rete di ospedali specializzati al trattamento dell’ictus è sempre attiva”.

La tempestività del soccorso fa la differenza vero?
“I sintomi sono evidenti e vengono descritti dall’acronimo FAST – Face, Arm, Speech, Time – ovvero se compare un’improvvisa deviazione della bocca, la debolezza di un arto braccia o gambe che siano, se si ha difficoltà a parlare o a comprendere ciò che viene detto, bisogna agire rapidamente in poco tempo per scongiurare danni cerebrali irreversibili. Al sorgere di questi segnali dobbiamo subito recarci al pronto soccorso o chiamare il 118. Il sistema dell’emergenza è in grado di trasportare il paziente nel centro giusto, che non è necessariamente quello vicino casa, ma quello specializzato nel trattamento delle patologie cerebrovascolari”.

I casi di ictus possono essere messi in moto dall’infezione da coronavirus?
“Il covid può essere esso stesso causa di ictus, perché l’infezione può arrivare alle arterie causando una vasculite e causare un serio processo infiammatorio”.

Voi avete registrato un calo degli accessi al pronto soccorso di persone colpite da ictus?
“Il calo dei pazienti che si sono recati al proto soccorso è un fenomeno nazionale, anzi oserei dire mondiale, con la pandemia ci sono più persone in stato di fragilità che non voglio o non possono accedere ad un ospedale.  Ma dobbiamo dire che non vanno sottovalutati i sintomi, nemmeno le aritmie, sentirsi il cuore in gola è un altro segnale di un possibile imminente ictus”.

Si può fare prevenzione?
“Certamente almeno 3 ictus su quattro possono essere prevenuti grazie allo stile di vita, partiamo dalla pressione arteriosa, dall’iper-tenzione che può essere prevenuta e curata con una corretta alimentazione, la dieta mediterranea è un tocca sana. Il peso deve essere sempre sotto controllo e bisogna fare attività fisica per tenere bassi livelli di colesterolo e della glicemia”.

A dirsi è facile ma con le restrizioni ai movimenti e la chiusura delle palestre rischiamo comportamenti sempre più sedentarie…
“Anche in casa o con una semplice passeggiata dobbiamo garantirci sempre un minimo di attività fisica regolare, questo ci può permette di prevenire anche la demenza, infatti delle piccole ischemie non avvertire possono alla lunga provocare danni al cervello, il paziente iperteso è a rischio”.

I dati sugli ictus

Secondo l’Osservatorio Ictus Italia (dati del dicembre 2018), questa malattia rappresenta la prima causa di invalidità nei paesi industrializzati, la seconda di demenza e la terza di mortalità. Nel nostro Paese si registrano almeno 100mila nuovi ricoveri l’anno dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità.

L‘incidenza annuale dell’ictus in Italia è di 13 casi per 1.000 abitanti tra i 65 e gli 84 anni. La prevalenza in Italia arriva al 7,4% negli uomini e al 5,9% nelle donne. Attualmente quasi un milione di persone vive con le conseguenze invalidanti di un ictus. La malattia ha un costo diretto per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 16 miliardi di euro all’anno, ai quali vanno aggiunti circa 5 miliardi di euro in termini di costi indiretti, calcolati principalmente come perdita di produttività e costi di assistenza per la gestione della cronicità.

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