Nella Messa della Notte del Santo Natale la Chiesa ci fa ascoltare un passo dalla lettera dell’Apostolo san Paolo a Tito, che inizia così: «È apparsa la benignità, l’umanità di Dio» (2,11). In un suo sermone San Bernardo diceva che ciò è stato fatto perché noi imparassimo a fare della nostra vita come un presepio vivente e che ci è stato manifestato un Bambino perché imparassimo a vivere anche noi nell’umiltà e nella mitezza. Il racconto seguente, quello del Vangelo, comincia invece con toni altisonanti e di superbia. Sono stati, infatti, ricordati nomi che troviamo scritti nei nostri libri di storia e sono nomi di conquistatori di terre, di uomini di guerra, come Cesare “Augusto”.
Cosa significa questo appellativo di “augusto”? Il termine deriva dal verbo latino augere, che letteralmente significa “aumentare”, “crescere”. Augusto, dunque, è colui che è cresciuto in una forma smisurata, colui che è diventato grande. In contrapposizione c’è, invece, la figura di chi da grande si è fatto piccolo; quella di chi pur essendo nella forma di Dio, ha assunto la forma dell’uomo (cf. Fil 2, 6-7). È Gesù, il figlio di Dio.
Colui che confessiamo come il nostro Salvatore non si è mostrato a noi esibendo forza e potenza. Egli è «l’infinitamente piccolo». San Francesco diceva: “Io trovo ogni giorno una grande dolcezza e consolazione rimembrando e meditando gli esempi di umiltà del Figlio di Dio; se anche vivessi sino alla fine del mondo, non mi sarebbe necessario ascoltare o meditare altri brani delle Scrittura” (Leggenda perugina: FF 38).
Se noi cristiani vogliamo farci imitatori di Dio e se vogliamo che davvero le ombre della morte siano fugate dalla grande luce, dobbiamo appropriarci di questo carattere di Dio, che si fa piccolo. Non è la grandezza che salva il mondo; è la piccolezza che lo redime. Così Betlemme diventa una cattedra di storia di umanità, un progetto di vita per ciascuno di noi. Per noi cristiani, che in questo “bambino” scopriamo la presenza di Dio.