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Il cyberbashing: la nuova frontiera del cyberbullismo

Dinanzi a tali forme sempre più sofisticate e perverse di sopraffazione, alla potenziale vittima è richiesta molta attenzione e prontezza nel bloccare e denunciare il bullo

Il “cyberbashing” (maltrattamento informatico) è una delle forme “evolute” e attuali di cyberbullismo, ormai replicata a carattere mondiale, in cui l’obiettivo è divulgare sul web, nei social, le aggressioni fisiche avvenute nella realtà.

Le frontiere della stupidità e, in particolare, del cyber bullismo, non conoscono limiti. Il vuoto che sottende queste pratiche spinge gli autori a cercare nuove modalità che permettano loro di ottenere gli obiettivi nati dall’indolenza, dalla noia, dall’ignoranza.

Le forme di cyberbullismo sono diverse e, oltre a quella specifica del cyberbashing, ne esistono altre, come la “denigration” (la diffusione di notizie e materiale per danneggiare l’immagine del soggetto) e l’harassment (molestia attraverso l’invio di messaggi offensivi e insultanti).

Il bullo evolve la sua stupidità e il suo traguardo non è più tanto quello di deridere e soggiogare una vittima quanto veicolare, il più possibile, il suo atto “eroico” sino a renderlo virale e accrescere la sua fama di duro. L’esigenza è duplice: la visibilità deve rendere l’aggressore sempre più famoso, temuto e rispettato (coprendo il vuoto che esiste nel suo spirito, nel suo cuore e nella sua scatola cranica); parimenti, la vittima deve essere ridicolizzata e schernita da quanti più “fruitori” del web possibile.

Al “nuovo” bullo non interessa la prevaricazione fisica quanto la possibilità di rendere virale il video e di umiliare il più possibile la vittima. È una forma gravissima di bullismo che terrorizza 3 adolescenti su 4.

Il ruolo dell’aggressore è evidente ed è da condannare senza esitazioni. Nel cyberbashing (e nel bullismo in genere), occorre sottolineare anche quello degli amici che si “limitano” a guardare l’atto violento e a non intervenire. La loro indifferenza, per i quali si sentono innocenti non essendo gli autori del gesto, non esclude la colpa: quella di ridere del loro compagno/a umiliato e colpito, senza intervenire.

La gravità del disagio interiore dell’aggredito si amplifica quando vede il branco, intorno a lui, sghignazzare e rimanere in una falsa neutralità che esprime, invece, un consenso per il bullo. La “platea” non si rende conto di non essere in un film, in una serie TV (a loro tanto care) o dinanzi a un videogioco. I ragazzi più colpevoli vanno oltre e, nell’assistere alla scena, riprendono tutti i particolari realizzando video e fotografie che documentino tutto e che garantiscano il successo nella diffusione via social. L’immissione nel web, infatti, è rivolta a garantire quante più condivisioni possibili, nonché a scatenare la richiesta più sentita del mondo contemporaneo: quella del “mi piace”, del “like”.

Gli spettatori del gesto oscillano tra chi si interessa alla ripresa della scena e chi incita, senza intervenire, a sostenere l’azione e a consigliare il bullo. Questa gravissima partecipazione rende ancora più disumana l’intera vicenda e lascia poche speranze a una crescita dell’essere umano.

Tali spettatori si beano della scena e delle disgrazie del malcapitato, oltretutto ignorano il particolare contingente: in quel momento, davanti alla fotocamera c’è un altro, la prossima volta potrebbero esserci loro stessi.

Il cyberbasher non si rende conto dei gravi danni, fisici e mentali, che provoca nella vittima, alcuni dei quali rimarranno per sempre e condizioneranno, dalla tenera età, lo sviluppo della personalità e il suo rapporto con il prossimo, nella scuola, nel sociale, nel lavoro.

Dinanzi a tali forme sempre più sofisticate e perverse di sopraffazione, alla potenziale vittima è richiesta molta attenzione e prontezza nel bloccare e denunciare il bullo. In presenza di atti di cyberbashing, non occorre sottovalutare, bisogna soltanto avere la forza di parlare per frenare la violenza. Il silenzio, da solo, purtroppo non ferma l’intento criminale né aiuta la vittima a uscire dall’isolamento in cui è precipitato, anzi lo relega per sempre in tale stato di frustrazione.

È necessario cogliere, nella famiglia e nella scuola, i primi segnali di reazione a un comportamento vessatorio, che si traducono in atteggiamenti di auto isolamento del ragazzo, con crisi improvvise, manifestazioni di paura e panico ingiustificato, ansia e ricadute fisiche (mal di pancia, insonnia, inappetenza, tremori, ecc.).

Gli psicologi e psicoterapeuti Matteo Lancini e Loredana Cirillo sono gli autori del volume dal titolo “Figli di internet” (sottotitolo “Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale”), pubblicato il 17 marzo scorso da Erickson. Nel volume si affronta il delicato rapporto dei giovani con il web, una relazione controversa che scatena e amplifica problematiche individuali (sottovalutate dai genitori) di scarsa autostima o, al contrario, di deliri di onnipotenza e violenza (che mascherano reali fragilità interiori).

Del fenomeno si è parlato molto negli anni scorsi, poi, negli ultimi tempi, scalzato dagli eventi della pandemia e della guerra in Ucraina, non ha raccolto eco nei media. L’attenzione è scemata al contrario della frequenza con la quale si verifica tale grave pratica.

Il cardinal Carlo Maria Martini affermava “Credo che per mitezza si debba intendere la capacità di distinguere la sfera della materia, dove opera la forza, dalla sfera dello spirito, in cui agiscono la persuasione e la verità. Mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni personali – che costituiscono il livello propriamente umano dell’esistenza – non hanno luogo la costrizione o la prepotenza ma sono più efficaci la passione persuasiva, il calore dell’amore”.

Il progetto ELISA (formazione in E-Learning degli Insegnanti sulle Strategie Antibullismo) avviato dal ministero dell’Istruzione, “doterà le scuole e i docenti di strumenti per intervenire efficacemente sul tema del cyberbullismo e del bullismo”. In particolare, i dati raccolti dalla piattaforma ELISA visibili al link https://www.piattaformaelisa.it/risultati-monitoraggio-a-s-2020-2021/, riportano i seguenti dati “BULLISMO In relazione ai due-tre mesi precedenti alla rilevazione, il 22,3% degli studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado è stato vittima di bullismo da parte dei pari (19,4% in modo occasionale e 2,9% in modo sistematico); il 18,2% ha preso parte attivamente a episodi di bullismo verso un compagno o una compagna (16,6% in modo occasionale e 1,6% in modo sistematico). CYBERBULLISMO In relazione ai due-tre mesi precedenti alla rilevazione, l’8,4% di studenti e studentesse ha subito episodi di cyberbullismo (7,4% in modo occasionale e 1% in modo sistematico); il 7% ha preso parte attivamente a episodi di cyberbullismo (6,1% in modo occasionale e 0,9% in modo sistematico). Risulta necessario tenere in considerazione che una parte di questi fenomeni non emerge, restando all’oscuro della consapevolezza della scuola e dei docenti. […] BULLISMO BASATO SUL PREGIUDIZIO È presente una percentuale non trascurabile di studenti e studentesse che subisce atti di bullismo basato sul pregiudizio: il 5,4% risulta aver subito prepotenze per una propria disabilità (4,2% occasionale e 1,2% sistematico), il 6,4% risulta aver subito prepotenze di tipo omofobico (5% occasionale e 1,4% sistematico) mentre il 7% risulta aver subito prepotenze a causa del proprio background etnico (5,5% occasionale e 1,5% sistematico). Un’altra percentuale di studenti e studentesse dichiara di agire prepotenze basate su pregiudizio: il 3,6% dichiara di aver preso di mira qualcuno per una sua disabilità (2,8% in modo occasionale e 0,8% in modo sistematico), il 4,7% riporta di aver agito comportamenti di bullismo omofobico (3,3% in modo occasionale e 1,4% in modo sistematico), mentre il 5,2% riporta di aver preso di mira qualcuno per la sua etnia/origine (4,1% in modo occasionale e 1,1% in modo sistematico). Un’alta percentuale di docenti riporta che nella propria scuola è stato nominato il docente referente (76% della scuola primaria, 83,4% della scuola secondaria di primo grado e 74% di docenti delle scuole secondarie di secondo grado), ma tale figura non sembra essere sempre conosciuta nella comunità scolastica, soprattutto da parte degli studenti e delle studentesse (solo il 13% di loro dichiara di sapere chi è il docente nominato come referente nella propria scuola)”.

Ad attenuare la durezza delle immagini veicolate fra i social non contribuiscono neanche l’orrore per quanto visto nel conflitto russo-ucraino né una correlata maturità, una maggiore profondità morale e una nuova coscienza etica.

Molti di quelli che veicolano i filmati e le fotografie nel web sono gli stessi che inviano cuoricini e messaggi della buonanotte ad amici e fidanzati. La normalità e l’assuefazione alla violenza fanno sì che questa sia trattata come un evento possibile, un film girato e vissuto da altri, l’altro diverso da me, lontano da me, estraneo. I protagonisti del film, in più, possono cambiare e invischiare anche chi si riteneva al di fuori.

Finché parte delle nuove leve sarà costituita, rispettivamente, da questa fetta di violenti e sciocchi, sarà difficile porre le premesse per una società sana, solidale e rispettosa di diversità, debolezze o fragilità.

La società che fagocita i suoi esseri più deboli è destinata a implodere.

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