Quarant’anni trascorsi in nome di una sfida epocale, attuale oggi come lo era quattro decadi fa. Legambiente taglia un traguardo importante, con la consapevolezza di aver apportato un’importante sterzata non solo alla questione ambientale ma anche all’approccio degli italiani rispetto a tale tematica. Un impegno longevo, variegato, radicato nelle scuole del nostro Paese e in grado di smuovere le coscienze fino alle istituzioni, sempre in nome della salvaguardia comune dell’ambiente, certo, ma anche di coloro che lo abitano. Dalla battaglia contro l’inquinamento alla tutela delle acque fino alla sensibilizzazione sulla differenziata e alla campagna contro l’impianto di centrali nucleari sul territorio italiano: quarant’anni festeggiati agli albori della Fase 2 della pandemia da coronavirus, ripercorsi in un partecipato convegno online e raccontati a Interris.it da Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente.
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Presidente Ciafani, Legambiente taglia un traguardo importante. Quattro decenni passati a lottare per la tutela di ambienti, persone ed ecosistemi, festeggiati in un contesto di globale emergenza sanitaria… E’ giusto trarre un primo bilancio da queste quattro decadi di esperienza sul campo?
“Abbiamo festeggiato in maniera inusuale, lo avremmo molto volentieri fatto di persona per presentare il libro dei quarant’anni. Un volume che descrive puntualmente quali sono le conquiste e i cambiamenti che abbiamo in qualche modo indotto negli ultimi quarant’anni, scritto da ottanta autori associativi, ventotto interviste ad altrettanti compagni di viaggio, trentatré vocaboli del cambiamento, da acqua e amianto a vertenza e volontariato. E da bene l’idea di come grazie a un’associazione come la nostra, l’Italia sia cambiata in meglio, sia dal punto di vista della tutela ambientale che di quella delle persone. L’evento del 20 maggio si è invece tenuto con i sei mondi con i quali abbiamo lavorato in questi anni: quello del giornalismo, di università, imprese, associazionismo, musica e istituzionale. E sono emersi, con grande evidenza da parte di questi sei compagni di viaggio, i grandi cambiamenti che abbiamo procurato al Paese. E c’è un’altra cosa importante…”.
Ovvero?
“La diciamo da quando è iniziata questa campagna strisciante contro le ong, ed è aver dimostrato come queste stavano, stanno e staranno in prima linea. E che sono importanti perché sono uno dei pilastri su cui poggia il Paese. Basti pensare che senza Legambiente, l’Italia avrebbe ancora le centrali nucleari, spente con il referendum dell’87, né i delitti ambientali nel Codice penale o quattro parole nuove nel vocabolario come ecomafie, ecomostri, terra dei fuochi o Grab (Grande raccordo anulare delle biciclette). Senza Legambiente ci sarebbero ancora gli ecomostri che deturpavano la Costiera amalfitana, le torri del villaggio Coppola, alcune ville nella Valle dei Templi di Agrigento… Ferite sanate sul territorio nazionale sulle quali l’associazione ha dato un contributo importante e che, senza il nostro lavoro, o non sarebbero avvenuto o lo sarebbero state con grande difficoltà”.
Negli ultimi quarant’anni non sono cambiate solo le sfide ambientali, ma anche le modalità di approccio e il grado di consapevolezza da parte delle persone. Ritiene migliorato, in quest’ottica, il senso critico degli italiani rispetto alle emergenze dell’ambiente?
“Sì. Consideriamo, ad esempio, che nel ’90 facemmo una raccolta firme, ‘Fermiamo la febbre del Pianeta’, per chiedere al governo italiano di mettere in campo azioni per ridurre le emissioni di gas serra e che lo scorso anno, centinaia di comuni italiani si sono riempiti per ospitare le manifestazioni dei Fridays For Future, incentrate sugli stessi temi. In questi anni, la popolarità del lavoro che ha fatto Legambiente sul tema dell’inquinamento del mare, con i monitoraggi, sul tema dell’inquinamento atmosferico e sul fenomeno delle plastiche, con i monitoraggi fatti negli ultimi cinque anni, per raccontare che il problema stava anche in Italia. Tutto questo ha portato, in tempi molto brevi, a un aumento della consapevolezza sul tema dello smog, della depurazione delle acque di balneazione e delle plastiche. In pochi anni i cittadini hanno cominciato a chiedere interventi che in alcuni casi sono arrivati, in altri stanno arrivando con grande ritardo. Ma questo lavoro ha permesso ai cittadini di essere più consapevoli su questi temi, ed è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché le istituzioni si attivino con norme, leggi, decreti…”
A questo proposito, ritiene che rispetto a tematiche quali l’inquinamento delle plastiche siano state adottate normative sufficienti a garantire perlomeno un’azione di prevenzione? O ci troviamo ancora di fronte ad alcuni ritardi in termini operativi?
“Sul tema dell’inquinamento della plastica, l’Italia ha un primato nella normativa per contrastare questo fenomeno che altri Paesi non hanno. E anche questo è un po’ figlio del nostro lavoro. Nel 1986, anno dell’incidente di Chernobyl e tre prima della caduta del Muro di Berlino, convincemmo 700 sindaci ad approvare altrettante delibere per deplastificare il proprio territorio. Nel 2006, l’allora direttore di Legambiente, il senatore Francesco Ferrante, siamo riusciti a far approvare nella legge di Bilancio 2007 un emendamento che vietava i sacchetti di plastica tradizionali, entrato in vigore nel 2012. E questo ha permesso all’Italia di farsi ‘copiare’ dal resto d’Europa, perché la direttiva europea sul tema, successiva, copia quella italiana. Lo stesso è avvenuto sul bando sui cotton-fioc e in quello sull’uso delle microplastiche dei prodotti cosmetici da risciacquo, approvati in Parlamento nella scorsa legislatura grazie agli emendamenti che firmò il nostro ex presidente Ermete Relacci. Anche questi due bandi sono stati inseriti nella direttiva europea sulla plastica monouso, approvata lo scorso anno. L’Italia, quindi, dal punto di vista normativo ha un primato. Solitamente rincorriamo l’Europa, mentre su questo tema è successo l’opposto. E questo è un primato che va rivendicato. Anche le bioplastiche nascono in Italia, e questo è un risultato industriale che va valorizzato”.
Avete coniato un termine interessante come “Rievoluzione”. Come nasce l’idea di combinare ripartenza ed evoluzione in un’unica parola di incoraggiamento alle nuove generazioni?
E’ lo slogan della nostra campagna tesseramento del 2020, pensata nella metà del 2018, poco prima che Greta cominciasse con i suoi scioperi. Il tema era incentrato sul come le nuove generazioni possano dare un contributo per fare una ‘rivoluzione’ che cambia il mondo ma che lo fa evolvere in senso positivo. Il tema della ‘Rievoluzione’, quindi, è il protagonismo dei giovani che scendono in campo per migliorare le cose sul Pianeta. Una cosa curiosa, pensata prima che scoppiasse il fenomeno dei Fridays For Future. E questa è un po’ anche una rappresentazione del lavoro che i nostri giovani volontari fanno da tanti anni.
A tal proposito, le manifestazioni giovanili rappresentano la miglior prova di una presa di coscienza collettiva sul fenomeno del cambiamento climatico. L’impegno di Legambiente inizia da contesti primari come la scuola, o comunque all’educazione alla tutela ambientale già nei primi anni di istruzione. Ritiene che questa strategia resti la più efficace rispetto a un evento di massa?
“La mobilitazione dei giovani non avviene per la prima volta, basti pensare al Sessantotto o anche agli anni Novanta, il periodo della contestazione studentesca contro la globalizzazione. Ora si mobilitano contro qualcosa in grado di compromettere il futuro loro, dei loro figli e nipoti. Ed è una cosa bella e molto importante, perché senza il contributo dei giovani, la loro consapevolezza e le loro manifestazioni si rischia di non innescare quei meccanismi che portano politica e istituzioni ad andare avanti. Nella logica delle politiche che preservano l’ambiente e la salute delle persone. Noi siamo molto fiduciosi, ora le manifestazioni saranno diverse rispetto a quelle viste finora, saranno virtuali ma potranno far continuare le battaglie dei FFF in tutto il mondo e anche in Italia”.
Secondo lei, la questione coronavirus ha cambiato l’approccio alla sfida ambientale, non solo nei modi ma anche nei contenuti, pensando anche alla ripartenza che dovrà avvenire secondo determinati dettami…
“Per qualche mese non si è più parlato della lotta alla crisi climatica, ed è anche comprensibile, ma si deve mettere in campo una politica di contrasto ancora più efficace. Perché, grazie alla scienza, ai vaccini e alla cura risolveremo il problema del Covid-19. Non esiste però vaccino per la crisi climatica, solo una cura che è la riduzione dell’uso dei combustibili fossili e questo deve imporci, ancora di più, di perseguire quella strada. Chi non lo fa, penserà di aver risolto l’ultima emergenza globale ma ci si dimenticherà della prima e questo sarà un problema serio. I prossimi dieci anni saranno decisivi per affrontare alla radice il problema della crisi climatica. Sarà fondamentale far riemergere il dibattito”.
Alla luce di questo, teme che l’emergenza vissuta in questi mesi possa far passare in secondo piano gli appelli per la tutela del clima, proprio in virtù della strategia comune di ripresa economica?
“I poteri forti, la restaurazione, spingerà perché si vada oltre. La filiera del gas, del petrolio, tutti spingeranno affinché si concentri l’attenzione solo sulle questioni legate al Covid-19 dimenticandosi di tutto il resto. Credo che sia fondamentale da parte di tutti, non solo gli ambientalisti ma dei cittadini che hanno applaudito i FFF, a tornare coerentemente a chiedere ai governi di mettere in campo quelle azioni che hanno chiesto con tanta urgenza. La vera sfida si misurerà lì”.