Categories: copertina

“Ho pregato don Oreste e sono guarita”

Papa

Foto di Viviana Viali

Non le piace enfatizzare ciò che le è capitato. È sempre stata una persona razionale, con i piedi per terra. Se ha accettato di raccontare è perché «magari può essere di aiuto per qualcun altro, come lo è stato per me». Chiede solo di non rivelare la sua identità, per tutelare sé stessa ma soprattutto i suoi figli. Mentre le rivolgiamo le nostre domande, i suoi grandi occhi blu si aggirano in cerca di risposte, come se fossero stati incaricati di recuperare una storia da tempo archiviata. «Ho dovuto fare pulizia mentale per continuare a vivere», confessa. Mano a mano che Agnese (nome di fantasia) ripassa le tappe di quell’odissea, la storia inizia a prendere forma, nel suo intreccio di sofferenza e speranza, malattia e guarigione.

La malattia di Agnese

Agnese ha 45 anni quando, nel 2010, la malattia arriva in un momento molto impegnativo della sua vita. Di professione fa il medico e si sta giostrando tra i turni di notte come guardia medica in ospedale e i quattro figli di età compresa tra i 6 e i 14 anni che deve tirare su da sola, dato che due anni e mezzo prima il marito l’ha lasciata. Si rende conto fin da subito che il problema è serio, ma sente anche che non può permettersi di avere cedimenti: «La percezione di avere una malattia che avrebbe potuto finire con la morte mi scioccava, dovevo crescere i miei figli ancora piccoli, non potevo andarmene». Iniziano gli accertamenti e alla fine arriva la diagnosi: “tumore ovarico scarsamente differenziato stadio III B”. Il 28 giugno 2010 subisce il primo intervento. «Mi hanno dovuto togliere un pezzo di sigma, poi mi hanno messo l’ileostomia e posizionato stent ureterali». Un mese dopo viene rioperata per la chiusura dell’ileostomia e iniziano i cicli di chemioterapia. Il problema però non è risolto e il 31 ottobre 2011 c’è un nuovo intervento: “asportazione di recidiva neoplastica in alto addome”, si legge nella relazione medica dell’ospedale. Seguono altri sei cicli di chemioterapia. Anche stavolta però il tumore ritorna e il 16 dicembre 2013 Agnese deve affrontare la terza operazione: “emicolectomia destra per infiltrazione neoplastica del colon da neoplasia dell’ovaio”. «La prima recidiva – spiega la dottoressa – era un problema epatico con metastasi. Mi hanno rioperato e staccato un pezzo di fegato. Nel 2013 sembrava un problema intestinale, tutt’altra cosa rispetto al carcinoma ovarico, invece l’istologia ha rivelato che era di nuovo lo stesso tumore.»

«Ero arrabbiata perché non potevo crescere i miei figli»

Il cancro è aggressivo, insidioso. Per quanto lei si sforzi di resistere, il suo corpo è messo a dura prova e reagisce male all’ulteriore ciclo chemioterapico previsto, che viene dunque sospeso. La sua vita sembra ormai avviata lungo una strada a senso unico verso una direzione che non riesce ad accettare: «Ero arrabbiata soprattutto per il fatto di non poter crescere i miei figli, di non poterli più seguire, accompagnare, istruire». Fa di tutto per preservarli: «Ho cercato di non coinvolgerli in cose che avrebbero potuto rovinare loro la vita e che neppure io capivo bene. Ho detto solo quel minimo che gli serviva per capire quando mi allontanavo per le cure, magari anche scherzandoci su.» Si sforza di accettare la situazione, di trovare soluzioni accettabili. «Ma più io cercavo di organizzare e di razionalizzare, più le cose andavano in un’altra direzione.»

Don Oreste Benzi e la preghiera di intercessione

Mentre il suo fisico lotta contro una malattia che non le lascia tregua, Agnese compie però un altro percorso, che lentamente le fa vedere le cose da un nuovo punto di vista. Ed è qui che entra in scena don Oreste Benzi, tramite un sacerdote veronese amico della dottoressa, don Renzo Zocca, anche lui prete dedito ai poveri ed emarginati (diventato famoso nel 2013 per aver regalato una Renault 4 bianca a papa Francesco). Don Renzo era molto legato a don Benzi, a cui si è ispirato per le opere che ha fondato, e quando ha saputo della malattia di Agnese l’ha invitata subito a invocare il sacerdote riminese. «Don Renzo mi ha fatto conoscere questa figura meravigliosa, di cui avevo sentito parlare ma che io non ho mai incontrato». Così il travaglio della malattia inizia ad essere scandito dalle preghiere a don Benzi. Più prega e più entra in contatto con il sacerdote. Sente il bisogno di approfondire la sua figura: a volte è lei a cercare lui, magari leggendo i suoi libri, altre volte sembra essere don Benzi a cercarla, come quando Agnese partecipa a una vacanza organizzata da don Zocca in Val D’Aosta e proprio in quel paese sperduto trova una mostra dedicata al sacerdote riminese. È da don Benzi, spiega, che impara l’abbandono, il non voler controllare tutto, l’affidarsi a un amore più grande. E lentamente, con questa nuova consapevolezza, vive in maniera diversa non solo la malattia ma la vita. «Lui era innamoratissimo di Gesù e percepivo che se io fossi riuscita, anche solo un po’, ad amare Gesù come lo amava lui, la mia vita si sarebbe trasformata.»

Il crocifisso di un santo

Un giorno, mentre si trova nuovamente ricoverata in ospedale, arriva don Zocca e le consegna un crocifisso che, le spiega, era appartenuto a don Benzi. «Ora serve a te», le dice. Quel dono assume per Agnese un significato particolare: «Pensare che don Oreste ha pregato davanti a quel crocifisso mi mette i brividi. È un ponte tra il nostro mondo e un altro. So che è solo un crocifisso, ma è quello di un santo.» Nei momenti in cui deve affrontare dolori fortissimi, tanto da non resistere e arrivare persino a invocare la morte, si aggrappa a quell’oggetto per lei sacro: «Ho anche dormito con il crocifisso sotto il cuscino, l’ho stretto forte e ho pianto davanti a lui. È come se la forza di don Oreste fosse in qualche modo arrivata anche a me».

Una malattia dal decorso “insolito”

Sono passati diversi anni. Il referto oncologico che ci mostra la dottoressa, datato 22 maggio 2019, segnala che «all’attuale visita di controllo non sono evidenti segni di ripresa di malattia». L’anno prossimo saranno passati dieci anni dall’ultimo intervento del 2013 e, se la situazione dovesse mantenersi così, si potrebbe parlare di guarigione. Chiediamo ad Agnese se si sente una miracolata. Da medico, non si sbilancia: «Non sono un’oncologa» precisa. Però rileva alcune stranezze: «Nella mia malattia ho visto un andamento alquanto insolito, ci sono aspetti quantomeno strani. In America dopo la seconda recidiva del cancro all’ovaio, la persona la danno per persa. Io speravo che i medici mi dessero qualche prospettiva, magari dopo le chemio, invece mi operavano, facevo le chemio e poi ero al punto di partenza». Invece nel 2014 le chemio sono state interrotte, perché il suo corpo le rifiutava. Da allora non ha più subito interventi ma solo controlli, e lei ora è qui a raccontare.

«Don Benzi mi ha insegnato che tutto è grazia»

Agnese ha il corpo profondamente segnato dalle varie operazioni, ma in fondo non le importa. Ciò che ha veramente a cuore è che le sue preghiere e quelle di altri che hanno pregato per lei siano state ascoltate. «Ho pregato tanto di poter crescere i miei figli – dice commossa –. Il mio piccolo l’anno prossimo farà la maturità, perciò dico: “Ce l’ho fatta, le mie preghiere sono state ascoltate!”. L’insegnamento più grande che ho appreso da don Oreste è che tutto è grazia, anche le cose apparentemente più brutte. Ogni mattina mi sveglio ringraziando, piena di entusiasmo, non mi sento mai sola perché so che Gesù è con me, e questo me lo ha insegnato don Oreste».

Articolo pubblicato su Semprenews.it

Alessio Zamboni e Nicoletta Pasqualini: