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Yemen, la “guerra aperta” minacciata dagli Houthi

Sos “fronte-Yemen” nel conflitto globale in Medio Oriente. I ribelli sciiti yemeniti minacciano “una guerra aperta in risposta agli attacchi israeliani” nel governatorato di Hodeidah, nello Yemen occidentale. Ali Al-Qahhoum è membro dell’ufficio politico di Ansar Allah (Houthi). E al sito dell’emittente Al Jazeera dichiara: “Israele ha compiuto una nuova aggressione criminale contro le strutture civili in violazione della sovranità yemenita. Questi crimini non decadono e non impediranno allo Yemen di sostenere Gaza”. A queste parole ha fatto seguito un duplice attacco Houthi nel Mar Rosso. Il gruppo armato yemenita ha lanciato un drone carico di esplosivo contro una nave e un missile che ha colpito un’altra imbarcazione. Quest’ultimo attacco è avvenuto a circa 110 chilometri dalla città portuale di Hodeida. E ha colpito la petroliera battente bandiera panamense Cordelia Moon. Il Joint Maritime Information Center aggiunge che altri quattro missili non hanno raggiunto l’imbarcazione. Il drone marino ha danneggiato invece la Cordelia Moon, procurando alla nave la foratura di uno dei suoi serbatoi di zavorra. “Resteremo al fianco di Hezbollah con tutta la forza e con tutto ciò che possiamo ed espanderemo le nostre operazioni, a Dio piacendo”, afferma all’Adnkronos Nasr al-Din Amer. Vice capo dell’Autorità per i media degli Ansar Allah (Houthi). E presidente del consiglio di amministrazione dell’agenzia di stampa Saba. Nasr al-Din Amer commenta l’inizio delle operazioni di terra delle Idf nel sud del Libano.

Yemen. Credit: Carino

Allarme Yemen

“Gli Houthi hanno le capacità militari per mettere Israele in difficoltà”, aggiunge Amer senza spiegare esplicitamente i piani dei ribelli che controllano ampie zone dello Yemen tra cui la capitale Sana’a. E chiarisce che “abbiamo molte opzioni per sostenere i nostri fratelli in Libano”. E questi piani, sottolinea riferendosi ai raid condotti da Israele sul porto yemenita di Hodeidah, “non saranno influenzati dalle incursioni del nemico sionista, né da quelle americane e britanniche”. Il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha respinto le accuse secondo cui la Repubblica islamica avrebbe fornito missili ipersonici per essere utilizzati contro Israele agli Houti, le milizie dello Yemen filo-iraniane. “Gli yemeniti sono in grado di costruire le loro stesse armi“, ha affermato Pezeshkian, parlando durante la sua prima conferenza stampa da quando è stato eletto presidente. Intanto, oltre allo Stato islamico e ad al-Shabab, la Somalia deve preoccuparsi anche dei militanti Houthi sostenuti dall’Iran nello Yemen, appena a nord della Somalia, al di là del Golfo di Aden, che secondo Langley hanno “aspirazioni” a collaborare con al-Shabab. Il comandante dell’AFRICOM, generale Michael Langley ha rilasciato un’intervista alla Voice of America. “Siamo preoccupati e lo stiamo osservando da vicino, perché questo può trasformarsi in un brutto quartiere molto rapidamente”, ha detto. Se gli Houthi e al-Shabab dovessero esercitare pressioni sul Golfo di Aden da lati opposti, Langley teme che la compressione di questo punto di strozzatura strategico potrebbe ostacolare ulteriormente il libero flusso del commercio e influenzare l’economia globale. E gli analisti temono che gli Houthi potrebbero inserire armi più sofisticate nella lotta per la Somalia.

Foto di STNGR LLC su Unsplash

Minaccia Houti

I militanti Houthi hanno preso di mira più di 80 navi mercantili con missili e droni dall’inizio della guerra a Gaza in ottobre, sequestrandone una, affondandone due e uccidendo almeno quattro marinai. Altri missili e droni sono stati intercettati da una coalizione guidata dagli Stati Uniti nel Mar Rosso o non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi. La campagna militante degli Houthi è iniziata dopo che Israele ha lanciato un attacco di ritorsione contro Hamas a Gaza in seguito all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, e gli Houthi affermano di agire in solidarietà con i palestinesi durante la guerra. Entro la fine dell’anno, la Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia lascerà il paese dopo quasi due anni di aiuto alla Somalia nella lotta ai terroristi di al-Shabab. E sarà sostituita nel 2025 da una nuova Missione di sostegno e stabilizzazione dell’Unione africana in Somalia. Quali forze saranno incluse nella missione sono ancora in fase di definizione da parte dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite. Langley ha escluso qualsiasi possibilità di adesione da parte degli Stati Uniti o un ruolo nella transizione. Affermando che le forze americane manterrebbero solo la loro missione di consulenza e assistenza. “Il nostro elemento abilitante non è il nostro intervento sul campo. Siamo lì per consigliare, assistere e assistere nella loro formazione, ma la lotta è loro”, ha dichiarato.

Foto © Image

Il ruolo dell’Italia

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto è intervenuto in una audizione nella nuova aula dei gruppi parlamentari sui più recenti sviluppi in Medio Oriente. “Negli ultimi mesi il rischio di un conflitto aperto tra Ezbollah e Israele è stato più volte evitato grazie agli sforzi di tutti. Negli ultimi giorni, tuttavia, Israele ha avviato una serie di operazioni militari nel sud del Libano e colpito ripetutamente anche la parte meridionale di Beirut al fine di degradare la capacità di comando e controllo e gli stock di armamenti di maggior pregio. Per contro, migliaia di missili sono stati lanciati contro il territorio di Israele, per la verità con effetti a causa della loro imprecisione e dell’efficacia della difesa aerea israeliana. Tra attacchi e contrattacchi, i due attori principali in questo momento, Israele e Ezbollah il cui legame con Iran è evidente, continuano a muoversi su un filo sottilissimo. E mai come ora il rischio di un conflitto aperto sul campo è diventato reale”. “Per contenere la possibile reazione di e ripristinare la sicurezza del suo confine con il Libano, le forze armate israeliane hanno intrapreso un’azione con l’apertura del fronte nord e contestuale avvio di massicci raid aerei che hanno caratterizzato le ultime giornate. Questi raid sono i più pesanti bombardamenti mai compiuti in territorio libanese – ha detto – da quando dopo il 7 ottobre, Ezbollah ha ribadito il suo sostegno alla causa palestinese. Ricordo che gli attacchi da parte israeliana sono stati preceduti da una operazione condotta attraverso esplosioni coordinate e ricerca persone e poi walkie talkie appartenenti ai membri del partito di Dio. Ciò ha innescato un ulteriore impulso al conflitto consentendo a Tel Aviv di colpire la leadership di un senso di frustrazione e sfiducia. Sul piano degli effetti collaterali, i bombardamenti israeliani hanno causato un elevato numero di vittime e feriti, sovraccaricando le strutture sanitarie, aggravando la crisi umanitaria simile a quella di Gaza“.

Foto di Mahdiar Mahmoodi su Unsplash

Sos Hezbollah

“Inoltre l’esodo massiccio di libanesi verso il nord del paese sta creando problemi di viabilità sulla principale arteria mettendo ulteriormente in difficoltà le già precarie fragili forze armate libanesi. Hezbollah, di contro, ha lanciato per la prima volta la scorsa settimana missili balistici a medio raggio verso Tel Aviv. A questo è seguito in rapida successione l’attacco israeliano al quartier generale di Beirut, che ha portato all’uccisione del leader di Ezbollah, Nasrallah. Ma l’azione israeliana non si è fermata qui: nel fine settimana i raid sono continuati nel Libano, nella Valle della Beqà. Colpendo obiettivi militari di Ezbollah, ed eliminando altri rappresentanti di spicco dell’organizzazione. Un ulteriore ampliamento regionale del conflitto è stato registrato con gli attacchi aerei di domenica scorsa contro le milizie irachene e filo iraniane in Siria e contro obiettivi Huthi in Yemen. Qui sono state prese di mira infrastrutture logistiche, quali impianti di rifornimento carburante, centrali elettriche e banchine nei porti. Nelle ultime ore, Israele ha poi avviato un’operazione terrestre in territorio libanese, volta a indebolire ulteriormente le infrastrutture militari di Ezbollah e a ripristinare la fascia di sicurezza ai confini con il Libano. Blitz per ora limitati, che non puntano a occupare il sud del paese confinante ma a ripristinare la sicurezza implementando di fatto con la forza la risoluzione delle Nazioni Unite 1701, colpevolmente rimasta lettera troppo a lungo”.

Foto di Akbar Nemati su Unsplash

Minaccia Iran

L’Iran ha un arsenale temibile, in termini di numeri e di potenza di fuoco, per mettere a segno attacchi significativi contro obiettivi nemici. Grazie anche agli aiuti forniti da Mosca, con i missili Iskander e sistemi avanzati di guerra elettronica che possono danneggiare o interrompere i sistemi militari ad una distanza di 5.000 chilometri. Israele invece può contare sul collaudato scudo dell’Iron Dome, già chiamato agli straordinari negli ultimi 12 mesi di guerra a Gaza. Oltre alla protezione fornita dagli alleati, soprattutto gli Usa, grazie alle loro basi in Medio Oriente. Lo scorso 13 aprile, nell’attacco diretto contro Israele, si calcola che l’Iran abbia lanciato complessivamente centinaia di proiettili – dicono fonti della difesa israeliana – di cui almeno 100-150 droni e 40-60 missili. Incrociando varie fonti, il New York Times ha stimato 185 droni kamikaze, 110 missili balistici (terra-terra) ipersonici modello Kheibar e 36 missili da crociera tipo Paveh 351. Le armi più sofisticate mai affrontate dalle difese israeliane. Tra i pezzi pregiati dell’arsenale di Teheran ci sono appunto i Kheibar, missili balistici ipersonici a lungo raggio. Con una gittata fino a 2.000 chilometri (Israele dista 1.000 chilometri) e una testata enorme da 1.500 kg. E poi gli Iskander russi, missili tattici ipersonici a corto raggio (500 chilometri), progettati per eludere i sistemi di difesa antiaerea del nemico.

Foto © Imago/Image

Droni

Ancora più lontano possono arrivare i droni Shahed 136, che Teheran ha fornito a Mosca per la guerra in Ucraina. Sono in grado di colpire bersagli a terra, eludendo le difese aeree, in un raggio di circa 2.500 km dal sito di lancio. Nel caso poi di un attacco coordinato con gli alleati sciiti, l’Iran ha a disposizione l’arsenale degli Hezbollah – sebbene ridotto dall’ultima settimana di raid in Libano contro le loro infrastrutture – tra missili di corta, media e lunga gittata, oltre a droni e razzi anti-carro. Dallo Yemen gli Houthi hanno utilizzato droni e missili per prendere di mira le navi mercantili occidentali e più di recente anche Israele. Nel cosiddetto asse della resistenza rientrano anche varie milizie attive in Iraq e Siria. A protezione di Israele c’è l’ormai collaudato scudo di difesa aerea multilivello, compreso il famoso Iron Dome, che da quando è entrato in funzione nel 2011 ha intercettato migliaia di razzi. Parte di questo sistema di difesa missilistico è progettato per intercettare razzi a corto raggio a una distanza massima di 70 chilometri. In supporto alle difese fisiche, c’è poi l’ombrello aereo fornito dagli alleati, già entrato in azione in occasione dell’attacco iraniano del 13 aprile. Molti dei droni e dei missili lanciati dalla Repubblica islamica contro lo Stato ebraico furono intercettati da jet americani, britannici e francesi, decollati da basi come quella di Cipro e dalle portaerei. Un ruolo fondamentale lo ebbero anche alleati arabi come la Giordania.

Giacomo Galeazzi

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