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Profughi in fuga da guerra e povertà: i volti dell’umanità sofferente

Exodus-Umanità in cammino nelle foto di Salgado a Ravenna. In mostra 180 scatti in quattro continenti dal 22 marzo al Mar

In fuga da guerra e povertà. Sebastião Salgado continua il suo viaggio fotografico nella galassia delle migrazioni. Dal 1993 ritrae l’umanità dolente in fuga dai massacri del Ruanda. O gli schiavi delle miniere a cielo aperto. Il fotoreporter è nato nel 1944 ad Aimorés, in Brasile. Terminati gli studi, ha iniziato la sua carriera come economista prima di cominciare a lavorare come fotografo freelance nel 1973. Oggi le fotografie di Salgado fanno parte delle collezioni di numerosi importanti musei e istituzioni di tutto il mondo. Tra cui il Museum of Modern Art di New York. Il San Francisco Museum of Modern Art. Lo Smithsonian Institution di Washington. Il National Museum of Modern art di Tokyo. Il Centre Pompidou di Parigi. E il Los Angeles County Museum of Art in California. Lo stile fotografico di Salgado è capace di spaziare da struggenti ritratti di comunità indigene e di lavoratori dell’industria a indagini sulle migrazioni e a straordinari panorami naturali. Le sue immagini hanno conquistato il pubblico di tutto il mondo. I suoi lavori sono esposti nelle le più importanti istituzioni culturali. E sono apparse sulle più importanti testate giornalistiche di tutto il mondo. Diventando un simbolo del giornalismo fotografico contemporaneo.

Focus su guerra e ambiente

Decine di fotografie di Salgado saranno esposte nell’ambito della mostra Sony World Photography Awards 2024, che anche quest’anno si terrà presso la Somerset House di Londra dal 19 aprile al 6 maggio 2024. La selezione, curata dal fotografo, sottolinea i temi chiave e le pietre miliari che hanno caratterizzato gli ultimi cinque decenni della sua carriera. La mostra, che comprende opere dei suoi primi progetti come Gold (1986) e Workers (1993), e serie più recenti come Genesis (2011) e Amazônia (2019), esplora le complessità e le sfumature universali della vita sul nostro pianeta. Rivelandone le inquietudini e difficoltà, ma anche la straordinaria bellezza. Sebastião Salgado ha studiato come economista. E ha esercitato la professione prima di intraprendere una carriera a tempo pieno nella fotografia nel 1973. Collaborando con le più importanti agenzie fotografiche, come Sygma, Gamma e Magnum. Il suo inconfondibile stile fotografico è profondamente radicato nelle sue radici. L’infanzia nel Brasile rurale, circondato dalle grandi distese della natura e da cieli aperti, ha rappresentato un importante punto di riferimento estetico. Guidando il suo obiettivo. E influenzando il suo approccio alla luce, al contrasto e alla proporzionalità.

Viaggio

Negli anni ’80 e ’90, Sebastião Salgado ha viaggiato in tutto il mondo per realizzare i propri progetti. Producendo una serie di serie famosissime che continuano ancora oggi a influenzare la cultura visiva. Varie opere tratte da questi progetti saranno esposte alla Somerset House nell’ambito della mostra Sony World Photography Awards 2024, tra cui Gold (1986), che documenta le dure condizioni delle impervie scarpate della miniera d’oro di Serra Pelada, nel nord del Brasile, e Workers (1993), che esamina i pericoli e le pressioni del lavoro manuale pesante nei settori petrolifero, edile, agricolo e minerario. Alla mostra sono esposte anche fotografie della serie Exodus (2000), un progetto a lungo termine che traccia il movimento globale delle persone, in contesti di migrazione economica e sfollamento forzato. Dopo aver assistito alle atrocità dei conflitti in Congo e in Ruanda a metà degli anni ’90, Salgado si è allontanato per un certo periodo dalla fotografia per concentrarsi sul lavoro ecologico. Con la moglie Lélia, ha fondato l’Instituto Terra, un’iniziativa che si propone di riforestare e ricostruire la biodiversità nella Foresta Atlantica brasiliana. Osservando la prodigiosa capacità di rinnovamento della natura, Salgado si è sentito ispirato a tornare alla fotografia. Creando due importanti opere, Genesis (2011) e Amazônia (2019), che saranno rappresentate nella mostra. Genesis esplora angoli remoti e affascinanti del pianeta in cui la natura selvaggia e gli esseri umani coesistono in armonia. Mentre Amazônia ritrae la foresta amazzonica brasiliana e le comunità indigene che la abitano, evidenziandone la bellezza e mettendo in luce le minacce che incombono su di essa.Guerra

Integrazione culturale

Venticinque artisti africani e italiani riuniti insieme per una grande mostra collettiva al Maschio Angioino. Ecco “L’ Africa & Napoli” esposizione concepita per riflettere sui temi del “Cultural Heritage in the 21st Century” dell’Unesco svoltosi il novembre 2023, e per riportare Napoli al centro di processi di integrazione culturale e sociale. Previsto per venerdì 5 gennaio 2024 un ingresso libero straordinario all’esposizione che è promossa dal Comune di Napoli, Ministero della Cultura e Black Tarantella. In collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. La mostra è ideata e prodotta da Andrea Aragosa per Black Art. E curata da Alessandro Romanini. Allestita negli spazi delle Antisale dei Baroni di Castel Nuovo. Con una colonna sonora ad hoc composta da Enzo Avitabile. La collettiva raccoglie 186 opere di artisti africani e italiani, provenienti da gallerie, musei e collezioni private. “La città di Napoli già nel 1934 ospitò la Triennale d’Oltremare al Maschio Angioino, inaugurando poi nel 1940 la Triennale delle Terre d’Oltremare alla Mostra d’Oltremare. Dimostrando di saper anticipare fermenti e avanguardie. Questa mostra è una occasione di riflessione, inoltre, non solo sull’arte africana connessa a quella occidentale. Ma anche esercizio di memoria sul ruolo che Napoli ha avuto e continua ad avere nel dibattito contemporaneo, non solo rivolto agli amanti dell’arte. Bensì vocato ad un turismo diversificato, che la città è capace di accogliere e interessare”, afferma il sindaco Gaetano Manfredi.

Salgado al Mar

Uno accanto all’altro, in dialogo tra loro, sono esposti i lavori, le sculture, i dipinti, le fotografie e le opere su tela di Amebédé Mouleo, Alika Cooper, Atrayoux, Assunta Saulle, Camille Tété Azankpo, Cyprien Tokoudagba, Delio Jasse, Dominique Zinkpè, Gonçalo Mabunda, John H. White, Jon Jones, José Nicolas, Ernest Pignon-Ernest, Laetitia Ky, Malick Sidibé, Mario Ciaramella,Mathelda Balatresi, Matteo Basilè, Michelle Okpare, Sebastião Salgado, Sokey Edorh, Yves Apollinaire Pédé, Pierre Segoh e Yeanzi. “L’Africa & Napoli -Identità, memorie e contemporaneità” si può visitare fino al 7 gennaio gratuitamente dal lunedì al sabato con lo stesso biglietto di ingresso al Castello. In sei anni il reporter brasiliano ha percorso quattro continenti con opere che catturano partenze e approdi. Campi profughi dove milioni di persone vivono un destino incerto. Da allora la mappa del mondo appare cambiata. Ma l’esodo di intere popolazioni è quanto mai attuale. E le condizioni di profughi o migranti rappresentano uno scenario che assume dimensioni sempre più globali. In occasione del Festival delle culture, le fotografie di Salgado saranno dal 22 marzo al 2 giugno al Mar-Museo d’Arte della città di Ravenna in una mostra – Exodus-Umanità in cammino, a cura da Lélia Wanick Salgado – organizzata dal Comune, in collaborazione con Contrasto e che rientra negli eventi del Festival delle Culture in programma a Ravenna dal 12 marzo al 20 luglio.
Guerra

Ritratti della guerra

L’esposizione sarà simbolicamente inaugurata il 21 marzo, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale. E attraverso 180 foto si comporrà di varie sezioni a carattere geo-politico. “Migranti e profughi: l’istinto di sopravvivenza” tratta le motivazioni che accomunano i profughi. Cioè la povertà e la violenza, il sogno di una vita migliore, la speranza. “La tragedia africana: un continente alla deriva” si concentra sul trauma della sofferenza e disperazione di popoli profondamente segnati dalla povertà, dalla fame, dalla corruzione, dal dispotismo e dalla guerra. “L’America latina: esodo rurale, disordine urbano” racconta una parte del mondo segnata dalla migrazione di decine di milioni di contadini. Spinti dalla povertà, verso le aree urbane come Città del Messico e San Paolo, circondate da baraccopoli. Dove persino la vita privilegiata è assediata dalla violenza. “Asia: il nuovo volto urbano del mondo” si concentra sull’esodo di massa dalla povertà rurale alla creazione di megalopoli in cui i migranti vivono in condizioni precarie. Pur credendo di aver fatto un passo verso una vita migliore. Una sala è dedicata ai ritratti di bambini, rappresentativi di altre decine di milioni che si possono incontrare nelle baraccopoli. Nei campi profughi e negli insediamenti rurali di America Latina, Africa, Asia ed Europa.

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