“Giancarlo Siani rappresenta un esempio e una speranza, ma soprattutto il suo lavoro e la sua uccisione testimoniano l’importanza e la necessità di una informazione accurata nei contenuti e determinata nella ricerca della verità, per quanto scomoda e pericolosa essa possa essere da scoprire, rivelare e raccontare. Più Siani nascono, più la nostra società sarà sana e forte e tenace; e meno camorristi ci saranno in giro”. Così a Interris.it il giornalista e politico, già direttore dell’Ansa, Giampiero Gramaglia, a 39 anni dal brutale assassinio di Giancarlo Siani, giovane cronista ucciso per aver osato rivelare i legami tra camorra e politica. Il giornalismo italiano continua a trovare in lui una figura simbolo della lotta per la verità e la giustizia poiché incarna un modello di giornalismo coraggioso e determinato, ispirando generazioni di professionisti. In questa intervista, Giampiero Gramaglia riflette su cosa rappresenti oggi Siani per il giornalismo investigativo e per la libertà di informazione.
L’intervista a Giampiero Gramaglia
Siani ha dedicato il suo lavoro giornalistico allo svelare gli intrecci tra clan mafiosi e società civile. Per questo è stato ucciso. Quanto è cambiata oggi la situazione per i giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata?
“Fare giornalismo d’inchiesta, lavorare sulla criminalità organizzata, ma anche sulle storture della politica, dell’economia e della società in genere, espone sempre e comunque a rischi. Le cronache anche recenti riferiscono di minacce, intimidazioni, prevaricazioni, violenze ai danni di giornalisti determinati e coraggiosi. Nel tempo, è però cresciuta la consapevolezza del problema da parte di magistrati e forze dell’ordine e mi pare che sia anche aumentata la coscienza dei cittadini, o almeno di una parte di essi, che un’informazione corretta, tempestiva e indipendente è nel loro interesse. I Siani di oggi sono, forse, meno soli…”.
Siani ha pagato con la vita per aver detto la verità. Come si può proteggere oggi l’informazione libera e i giornalisti che mettono a rischio la loro vita per indagare sulla criminalità?
“Ci sono le scorte, ci sono i provvedimenti restrittivi. Ma la garanzia dell’incolumità non la può dare nessuno e nessuna istituzione. I giornalisti stessi devono essere coraggiosi senza essere temerari, non fare i kamikaze: L’obiettivo non è solo avere la notizia, è soprattutto darla”.
Che ruolo può avere oggi il giornalismo investigativo nella lotta contro la criminalità organizzata in un contesto di globalizzazione e nuove tecnologie?
“Le nuove tecnologie, le possibilità e la rapidità di ricerca e di indagine che offrono, la facilità di confrontare e setacciare enormi quantità di dati sono tutti strumenti preziosi per il giornalista d’inchiesta, che deve saperli utilizzare. Ma anche i criminali sanno servirsene, magari per occultare o mascherare le loro attività. Io credo che la tecnologia aiuti e che sia necessario sapersene servire. Però, credo pure che il lavoro sul terreno, il contatto con le fonti e la conoscenza dell’ambiente siano più importanti delle competenze tecnologiche, che pure servono e sono indispensabili”.
Come possiamo promuovere una cultura della legalità, soprattutto tra i giovani, attraverso il giornalismo e l’informazione?
“Il giornalismo e l’informazione, il buon giornalismo e un’informazione corretta, promuovono, di per sé, una cultura della legalità: una società consapevole è una società meno incline a tollerare l’ingiustizia e il crimine, a guardare con occhio benevolo alla furbizia, all’abuso, alla corruzione, all’evasione fiscale; una società informata è un prato dove non cresce l’erba cattiva. Bisogna, però, evitare di fare di ogni informazione un fascio: c’è l’informazione e c’è la disinformazione. Bisogna frequentare la prima ed evitare la seconda; e bisogna imparare in fretta a farlo. La scuola deve essere la prima maestra e sentinella della cultura della legalità, che è gemellata con l’attenzione all’informazione. Un consiglio banale: nelle scuole medie, ai ragazzini fino ai 14 anni, facciamo vedere in classe e spieghiamo Fortapàsc, il film su Giancarlo Siani, e I Cento Passi, il film su Peppino Impastato… Avremo più cronisti coraggiosi e più attivisti delle buone cause e, magari, meno guappi e picciotti”.