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Gramaglia: “Brasilia come Capitol Hill? Un parallelo molto forte. Ecco perché”

Un attacco “vandalo e fascista”. Sono queste le parole che ha usato il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva, per descrivere la sommossa che si è verificata lo scorso 8 gennaio a Brasilia, quando una moltitudine di manifestanti, la maggior parte dei quali con indosso la maglia della nazionale di calcio del Paese, ha assaltato i palazzi del potere della capitale carioca. Secondo le ultime notizie riferite dal portale GloboNews, sarebbero 1.200 le persone che sono finite in manette in quanto sospettate di aver partecipato all’attacco. Gli arrestati sono stati portati al quartier generale della polizia federale con almeno 40 autobus.

Brasilia come Washington?

Da molti, l’attacco ai palazzi del potere a Brasilia è stato paragonato con quanto accaduto il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, a Washington, quando sostenitori di Donald Trump hanno assaltato il Capidoglio. Ma se quanto accaduto a Brasilia può essere considerato una replica dei fatti di Washington, ci sono similitudini anche fra Donald Trump e Jair Bolsonaro e fra Lula da Silva e Joe Biden? Interris.it ha intervistato Giampiero Gramaglia, giornalista e politologo, già direttore dell’Ansa.

Dottor Gramaglia, l’assalto che si è verificato a Brasilia è stato paragonato all’attacco di Capitol Hill. Si può fare questo parallelo?

“E’ un parallelo molto forte, come lo sono le circostanze che hanno portato all’attacco al Capidoglio il 6 gennaio 2021 e all’assalto dei palazzi istituzionali di Brasilia. Abbiamo due orientamenti politici dei contestatori che sono molto simili. Donald Trump e Jair Messias Bolsonaro, definito ‘Tropical Trump’, tutti e due negazionisti del Covid, entrambi hanno una forte connotazione populista, si ponevano come ‘estranei’ all’establishment del loro Paese. Inoltre, entrambi ancora prima delle elezioni presidenziali da cui sono usciti sconfitti avevano avanzato il sospetto di brogli, né l’uno né l’altro ha riconosciuto la sconfitta. L’atteggiamento di Trump è stato più palese, non solo aveva fatto numerosi ricorsi, tutti respinti contro l’esito delle elezioni, ma aveva lui stesso sobissato dalla Casa Bianca i suoi elettori. Bolsonaro è stato più discreto, non ha avuto un ruolo diretto negli avvenimenti di Brasilia, si trovava fuori dal Paese, però nei mesi trascorsi dal 30 ottobre 2022 (giorno del ballottaggio fra Lula e Bolsonaro, ndr) all’insediamento del suo rivale, non ha riconosciuto la vittoria di Lula, non ha favorito il passaggio dei poteri fra il suo team e quello del nuovo presidente e ha in qualche modo incoraggiato le azioni di protesta dei suoi sostenitori. Le similitudini sono estremamenti forti. Quanto poi alle responsabilità di Bolsonaro, le immagini della sommossa di ieri mostrano come tutti i manifestanti siano in ‘divisa bolsonarista’. L’ex presidente del Paese carioca ha fatto della maglia della nazionale brasilia, quella di colore verde e oro, una divisa dei suoi sostenitori”.

Nei mesi scorsi i contrari al ritorno di Lula come presidente del Brasile, avevano chiesto e auspicato un intervento dell’esercito per evitare che si insediasse. Perché c’è questa avversione contro Lula?

“Il Brasile, come gli Stati Uniti, è un Paese dalla forte polarizzazione politica. Ricordiamo che nel 2018, alle elezioni presidenziali, Lula non poté partecipare perché un’inchiesta giudiziaria lo aveva portato a una condanna di 12 anni e un mese di reclusione per corruzione e riciclaggio. Anche in quell’anno i sondaggi lo davano come favorito. La contrapposizione fra la destra autoritario e la sinistra di matrice sindacale in Brasile è molto forte. Non a caso, uno dei ministri di Bolsonaro era proprio il giudice che aveva costruito l’inchiesta che aveva portato alla condanna di Lula. Una condanna riconosciuta come iniqua dalla Corte Suprema del Brasile liberando Lula e facendolo tornare protagonista della vita politica. Ogni tanto si legge che la vittoria di Lula è stat di ‘stretta misura’: in realtà non parliamo di un vantaggio risicato, ma di due milioni di voti e finora non c’è nulla che faccia pensare che la vittoria di Lula possa essere considerata sospetta. Il Brasile come molti Paesi dell’America Latina, ad esempio l’Argentina, ha una storia che affonda negli anni ’70 di coinvolgimento autoritario dell’esercito nella gestione del potere politico. Però da molto, nel Paese carioca, l’esercito è rispettoso della Costituzione e della diversità dei ruoli, e anche in questo caso sembra che abbia rispetto il suo ruolo e non si sia sovrapposto ai politici”.

Quindi, alla luce di queste coniderazioni, che quadriennio si prospetta per il Brasile? 

“Se l’esercito dovesse restare nel suo ruolo, quello che gli è assegnato dalla Costituzione, sarebbe un aspetto molto favorevole. Lula nelle ore più calde della sommossa ha dimostrato un atteggiamento impeccabile. Questo fa bene sperare per il resto della legistratura: con la sinistra al potere, la destra all’opposizione, ma senza altre dimostrazioni di forza. Del resto negli Stati Uniti sta accadendo un po’ questo: i fatti del 6 gennaio hanno un po’ indebolito la presa di Donald Trump sul partito e sull’opinione pubblica. Se il parallelo tra il 6 gennaio 2021 negli Usa e l’8 gennaio 2023 in Brasile è valido per le modalità con cui si sono svolti gli attacchi, presumibilmente rimane valido anche per i risvolti che si potranno avere. Bolsonaro, contornato dai suoi fedelissimi, probabilmente non avrà la forza di riproporsi alle prossime presidenziali, quelle del 2026”.

Manuela Petrini: