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Giubileo, come diventare pellegrini di speranza. Intervista al teologo don Simone Caleffi

A pochi giorni dall'inizio del Giubileo della Speranza, l'intervista di Interris.it a don Simone Caleffi, teologo e docente di teologia alla Lumsa

“Dovremmo vivere questo Giubileo della Speranza con tanta gioia e gratitudine, perché è bello essere destinatari di un amore immeritato, di una misericordia infinita, della pazienza divina. Quest’atteggiamento richiede che non ci scordiamo dei poveri, di tutti coloro che umanamente non hanno nulla da festeggiare, a meno che noi non li soccorriamo”. E’ quanto ha affermato don Simone Caleffi, teologo e docente di teologia alla Lumsa, intervistato da Interris.it a pochi giorni dall’inizio del Giubileo della Speranza. 

L’intervista a don Simone Caleffi

Perché si è scelta proprio la notte di Natale per dare inizio all’Anno Santo?

“Nella modernità, è uso comune che si inizi il Giubileo la notte di Natale, grazie al suo contesto evocativo. Se si iniziasse la notte di Pasqua non coinciderebbe esattamente con l’anno civile. Mentre facendolo coincidere con la messa della Vigilia di Natale si anticipa praticamente l’anno del calendario di una settimana. Inoltre, cominciando un tempo di gioia, è bene che esso inizi terminato il primo tempo forte del nuovo anno liturgico, ovvero l’avvento, in quanto, nonostante esso non voglia minimamente comunicare un’idea di tristezza, si lascia la gioia piena al Natale, per esempio non cantando l’inno del Gloria durante le quattro domeniche (almeno per quanto riguarda il rito romano), ma lasciandolo esclusivamente per la solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria”.

Pellegrini di speranza è il motto del Giubileo. Ma in un mondo sempre più insanguinato da guerre e violenze, dove ricercare la speranza?

“La speranza non è ottimismo… in un mondo come quello attuale ce ne sarebbe poco di ottimismo… Non è l’attesa inerte che tutto vada bene, nonostante la tragicità del presente, ma è virtù teologale, cioè che ha Dio per origine ed oggetto, che unita alla fede (di cui è quasi sinonimo, come ebbe a dire Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi) diventa certezza che ‘tutto concorre al bene di coloro che amano Dio’ come si legge nella lettera di san Paolo ai Romani. ‘Il Dio della speranza’ chiede la collaborazione dell’uomo affinché il mondo non vada verso la fine perversa, ma attraverso l’opera di giustizia e di pace che i due contraenti dell’alleanza (Dio e l’umanità) compiono, i conflitti vengano risolti, le attese colmate, le aspettative saziate”.

La mascotte del Giubileo è Luce, disegnata con diversi elementi come gli stivali sporchi di fango, il k-way per proteggersi dalle intemperie, la croce missionaria al collo e il bastone del pellegrino. Qual è il loro significato?

“Innanzitutto, partiamo dal nome. Luce! Pensiamo a santa Lucia, foriera di doni, soprattutto nella tradizione dell’Italia del nord. Il primo dono sta proprio nella luce stessa. La vergine di Siracusa è stata in grado di affrontare il martirio all’epoca della persecuzione di Diocleziano proprio perché aveva speranza nel ‘Dio che risuscita i morti’. Come dice il salmo 62 (63), la tua grazia, Signore, vale più della vita! Ha preferito non rinnegare la luce della fede e per lei si sono aperte le porte (altra immagine del Giubileo) del regno dei cieli. La nostra mascotte Luce, come una contemporanea santa Lucia, ci può guidare nelle tenebre del mondo, verso la vera luce che non tramonta, Cristo, splendore della gloria del Padre. Gli stivali sono indossati proprio per camminare in un luogo sporco, bagnato. La nostra terra è troppo sporca, bagnata dal sangue che l’uomo versa, uccidendo il fratello in guerra o ancora nel grembo. Il fango rappresenta il peccato, con cui non vorremmo macchiarci. Ma, se abbiamo peccato, ‘abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto che ci perdona i peccati’, dice Giovanni in una sua lettera. Il Giubileo, infatti, è soprattutto desiderio di completo distacco dal peccato anche solo veniale, grazia che si può ottenere con il dono dell’indulgenza, oltre a quello della ordinaria penitenza sacramentale. Il k-way mi ricorda, invece, la parabola della casa costruita sulla roccia. Anche su di essa, non solo su quella costruita sulla sabbia, infuria la bufera, ma non cade. Occorre proteggerci dalle tempeste della vita e aiutare anche gli altri a farsi impermeabili alle lusinghe di quel mondo che combatte Dio. La nostra mascotte ha una croce al collo che le ricorda la sua identità e la sua missione. Il Cristo risorto che ogni cristiano vorrebbe predicare con la sua vita, oltre che con la sua parola, non è altro rispetto al crocifisso. Giubilare non è far finta che le contraddizioni non esistano, ma saperle superare con la vita che fiorisce grazie al sacrificio che Gesù fa di se. ‘Sei con me, il tuo bastone e il tuo vincastro mi sono di conforto’, recita il salmo 22 (23). Il bastone del pellegrino ricorda che l’unico a cui possiamo appoggiarci per non crollare è Dio”.

Come possiamo diventare “pellegrini di speranza”?

“Basta poco, anche solo un sorriso, una buona parola, che apra il cuore di chi è deluso e ha perso la speranza sia in Dio che negli uomini. Diceva san Domenico Savio dell’oratorio di don Bosco che lì facevano consistere la santità nello stare molto allegri. Auguro a tutti di vivere così”.

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