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Giovagnoli (Unicatt): “La lezione di responsabilità che ha portato alla fine della guerra fredda”

L'intervista di Interris.it al professor Giovagnoli in occasione dell'anniversario della caduta del Muro di Berlino

Il 13 agosto 1961 Berlino è stata divisa in due dalla sera alla mattina: è nato così il Muro che ha costituito la rappresentazione più eclatante della guerra fredda tra Usa e Urss nonché della divisione del mondo in due blocchi contrapposti. Lo stesso si estendeva per 43 chilometri, era dotato di 302 torri di osservazione, 20 bunker, 8 punti di passaggio e ulteriori sbarramenti ermetici che tagliavano in due la capitale tedesca. Il Muro di Berlino, grazie ad un’opera di confronto e diplomazia tra i leader delle due superpotenze, è stato abbattuto 28 anni dopo, il 9 novembre 1989. Interris.it in merito all’importanza di questo anniversario e ai suoi insegnamenti per le generazioni future, ha intervistato il professor Agostino Giovagnoli, docente ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore di molteplici pubblicazioni.

La costruzione del Muro di Berlino (© Ansa)

L’intervista

Il 9 novembre ricorre l’anniversario della caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989, che cos’ha significato quel momento storico?

“La caduta del muro di Berlino ha significato la fine della guerra fredda, cioè della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, quello occidentale e quello sovietico, che si sono misurati su tutti i terreni possibili, tranne fortunatamente quello dello scontro armato diretto. Il mondo, dal 1947 al 1989, è stato diviso dalla Cortina di ferro, la quale ha separato popoli, culture ed economie. Ciò è stato particolarmente doloroso in Europa dove, gli stessi popoli, sono stati attraversati da questa cortina e si sono verificate pesanti ricadute di tale divisione sulla vita quotidiana a tanti livelli.”

Quali sono stati, da quel momento, i passaggi che hanno portato alla riunificazione della Repubblica Democratica Tedesca e della Repubblica Federale Tedesca?

I leader di DDR e RFT nel 1987 (© Ansa)

“La riunificazione della Germania, anche dopo la fine della guerra fredda, non era scontata. Questo problema, si trascinava dalla fine della Seconda guerra mondiale e non era dovuto solamente alla guerra fredda stessa, ma anche alle responsabilità tedesche molto pesanti per quanto riguarda lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Dunque, anche da parte occidentale, in particolare dagli altri paesi europei, sussistevano delle perplessità riguardo alla riunificazione della Germania. Andreotti, ad esempio, ha pronunciato questa battuta a riguardo “Amo talmente la Germania che ne preferisco due”. Ciò esprimeva le preoccupazioni per questo paese il quale, per due volte, ha provocato lo scoppio di una guerra mondiale e rappresenta lo stato più importante dell’Europa continentale, sia sotto il profilo demografico che economico. Dunque, da una riunificazione della Germania, si temeva molto ma, ciononostante, il cancelliere tedesco Helmut Kohl, è riuscito ad imporre la sua volontà di unificare la Repubblica federale tedesca (Germania Ovest) e Repubblica democratica tedesca (Germania Est), il che, tra l’altro, comportava rilevanti difficoltà economiche. Malgrado ciò, si è decisa la parità tra il marco occidentale e quello orientale ed un contestuale percorso di riunificazione che, anche se ha avuto dei costi ed ha lasciato dei problemi aperti, è riuscito felicemente nel giro di pochi anni.  La Germania riunificata non ha assunto un ruolo egemone in Europa, non solo perché gli altri paesi per continente non gliel’hanno permesso, ma perché tutta classe dirigente tedesca non lo ha voluto. Oggi, la Germania è il paese più importante d’Europa, ma non esercita un’egemonia e anzi, a volte, si vorrebbe una sua maggiore assunzione di responsabilità verso il resto d’Europa. Certamente non si è realizzato quel timore che si aveva allora, ossia quello di un “Europa tedesca”, ma invece abbiamo avuto una “Germania europea”: la riunificazione, insomma, non ha comportato i problemi che si temevano alla vigilia.”

In che modo, da quel momento, la storia geopolitica dell’Europa e del mondo è cambiata?

Il vertice tra Gorbaciov e Bush del 2 dicembre 1989 (© Jonathan Utz/AFP)

“Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, la storia geopolitica dell’Europa e del mondo, è cambiata molto. Subito dopo il 1989, si è creata una grande speranza di pace in tutto il mondo. In parte, tale speranza si appoggiava sulla teoria della fine della storia, come, all’epoca, si è espresso il politologo americano Francis Fukuyama, ossia l’idea, secondo la quale si sarebbe affermato definitivamente un nuovo ordine mondiale basato sull’economia globalizzata, basato sugli schemi del neoliberismo economico.  Tale ordine sarebbe prevalso ovunque e non ci sarebbero più state vere alternative al modello occidentale, come quella rappresentata per molti anni dall’Unione Sovietica. La realtà però si è dimostrata molto diversa. La stessa fine dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, è stata la conseguenza di grandi trasformazioni che erano già in atto nel mondo, verso quello che qualcuno ha definito “il nuovo disordine mondiale”. In effetti, la spinta dei processi di decolonizzazione, la nascita di tanti nuovi stati indipendenti e soprattutto l’emergere, all’interno del cosiddetto Terzo Mondo, di grandi potenze mondiali come la Cina, l’India, il Brasile e il Sudafrica ha disegnato gli equilibri di un mondo molto più instabile. Il mondo post ’89 non è stato da fine della storia, ma questa ha ripreso in modo impetuoso il suo corso e ci ha portato alle luci e alle ombre dell’oggi.”

Che cosa insegna quel momento storico, connotato dal dialogo tra le due superpotenze, al momento che stiamo vivendo oggi, fortemente segnato dalla guerra alle porte dell’Europa? C’è il rischio di una nuova guerra fredda?

“Il dialogo che ha portato alla fine della guerra fredda resta una delle pagine più belle della storia del 900. Ha rappresentato una grande lezione di responsabilità, di capacità di comprensione reciproca e soprattutto di volontà di pace, in un passaggio storico molto rischioso, dove la volontà dei leader politici, in particolare del recentemente scomparso Mikhail Gorbaciov, ha saputo far prevalere la responsabilità globale rispetto a piccole visioni e piccoli interessi. Oggi non è così, non si vede questo senso di responsabilità da parte dei leader delle grandi potenze, non vi è un’analoga capacità di dialogo e la consapevolezza dei rischi enormi che si profilano se non si dialoga. Non c’è un senso condiviso del futuro che invece è fondamentale, proprio perché viviamo in un mondo in cui siamo sempre più interdipendenti e connessi gli uni agli altri. Il rischio di una nuova guerra fredda c’è, ma non tanto tra il mondo occidentale e la Russia, perché quest’ultima non ha la forza e le risorse per fronteggiare il mondo occidentale. È invece diverso se allarghiamo lo sguardo alla Cina, con la quale c’è veramente il rischio di una nuova guerra fredda, un pericolo enorme in quanto un conflitto oggi tra Occidente e Cina non avrebbe i caratteri di stabilità che, per certi versi, la guerra fredda ha avuto. In altre parole, non ci sarebbero le garanzie necessarie per evitare il disastro di un grande scontro, le capacità di governare le grandi questioni internazionali fronteggiando le emergenze, i pericoli e le sfide, come si è fatto durante la guerra fredda. In un certo senso, ci sono meno motivi per lo scoppio di una nuova guerra fredda ma, se ciò avvenisse, potrebbe essere più pericolosa di quella del secolo scorso.

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