Il primo dicembre di ogni anno ricorre la Giornata mondiale contro l’Aids, la sindrome di immunodeficienza acquisita, uno stadio clinico avanzato dell’infezione da Hiv, il virus dell’immunodeficienza umana, e i cui primi casi furono individuati all’inizio degli anni Ottanta negli Stati Uniti d’America. A livello globale, secondo i dati del Programma delle Nazioni unite Unaids, nel 2021 38.4 milioni di persone vivevano con l’infezione da Hiv, la metà di queste erano donne e ragazze, di questi circa 1,7 milioni bambini e ragazzi tra i 0 e i 14 anni. Le persone con accesso alle terapie antiretrovirali erano salite dal 7,8 milioni del 2010 a 28,7 milioni alla fine dell’anno scorso e circa l’81% delle donne incinte sieropositive hanno avuto accesso alle terapie per prevenire la trasmissione dell’infezione al figlio. I decessi legati all’Aids nel mondo sono stati 650mila nel 2021, rispetto ai 2,4 milioni circa del 2004 e agli 1,4 milioni del 2010, mentre negli ultimi 12 anni la mortalità legata all’Aids è diminuita del 57% tra le donne e le ragazze e del 47% tra gli uomini e i ragazzi. Le nuove infezioni da Hiv si sono ridotte del 54% rispetto al picco del 1996 e dal 2010 tra i bambini sono diminuite del 52%.
In Italia
Nel 2021, secondo il Notiziario dell’Istituto superiore di Sanità del novembre 2022, le nuove diagnosi di infezione da Hiv segnalate sono state 1.770, pari a un’incidenza di 3,0 nuovi casi per 100mila residenti – al di sotto della media europea (4,3 casi per 100mila residenti). In un contesto generale che vede, dal 2012, la diminuzione delle nuove diagnosi Hiv. Per quanto riguarda i casi di Aids, nel 2021 ne sono stati diagnosticati 382 con un’incidenza di 0,6 casi per 100mila abitanti, in un contesto in cui l’incidenza di Aids, riporta sempre il Notiziario, è in costanze diminuzione. L’83% dei casi di Aids segnalati nel 2021 era costituito da persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nei sei mesi precedenti alla diagnosi di Aids.
L’intervista
In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, Interris.it ha intervistato il direttore scientifico dell’Irccs “Santa Maria e San Gallicano” di Roma professor Aldo Morrone.
Cosa ci dicono i dati del Notiziario dell’Iss?
“E’ noto che la diminuzione delle diagnosi in questi ultimi due anni, il calo del numero di diagnosi Hiv registrato nel 2020 e confermatosi, in misura meno marcata, anche nel 2021, sia dovuta principalmente alla pandemia da Covid-19, al lockdown e alla forte limitazione nell’accesso ai servizi sanitari nazionali messa in atto in quasi tutti i paesi. L’Hiv rimane un grave problema di salute pubblica che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Sebbene siano stati compiuti progressi significativi negli ultimi decenni in diversi Paesi europei, soprattutto in termini di terapie e trattamenti, molti obiettivi globali che ci si era posti per il 2020 non sono stati raggiunti: disuguaglianze, divisioni socio-culturali, mancanza di attenzione ai diritti umani sono tra le cause che hanno consentito e consentono ancora all’Hiv di essere una crisi sanitaria globale”.
Quante sono in totale le persone sieropositive in Italia?
“Oggi si stima che nel nostro Paese ci siano circa 125-135mila persone che vivono con l’infezione da Hiv e l’incidenza più elevata di nuove diagnosi Hiv si riscontra nella fascia di età 30-39 anni, seguita da quella 25-29. La modalità di trasmissione più frequente è attribuita a maschi che fanno sesso con maschi (MSM) ed è superiore a quella attribuibile a rapporti eterosessuali (maschi e femmine). Le più alte proporzioni di MSM si riscontrano nella fascia di età 20-24 anni (55,2%). Anche la diminuzione delle diagnosi è risultata più elevata nei giovani, maggiore nel Nord Italia e minore al Centro. Tuttavia, è difficile stabilire se a questa diminuzione corrisponda una reale diminuzione dell’incidenza delle infezioni o se ci si debba attendere un ritardo nella diagnosi, dovuta all’emergenza pandemica, che eventualmente emergerà nel prossimo futuro. Un altro dato interessante è l’osservazione che dal 2016 è presente una diminuzione del numero di nuove diagnosi Hiv in soggetti stranieri”.
Cosa prevede in Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids del nostro Paese?
“Il Pnaids, previsto dalla legge 135/90, è un documento programmatico finalizzato a contrastare la diffusione dell’infezione da Hiv e Aids, e prevede l’attuazione di interventi di carattere pluriennale riguardanti soprattutto la prevenzione, la corretta informazione, la ricerca, l’assistenza e la cura, la sorveglianza epidemiologica e il sostegno dell’attività del volontariato. Un ruolo di prima piano è assunto dalla formazione permanente di figure deputate, altamente professionali che siano in grado di gestire tutto il flusso della cura e della prevenzione, dagli interventi di prevenzione all’offerta dei test e accesso precoce alla diagnosi di infezione da Hiv, del contatto con e del mantenimento nel percorso di cura (linkage to care e retention in care). Il piano nazionale precede anche una lotta contro la stigmatizzazione, mettendo in primo piano la prevenzione evidence-based. Il piano di prevenzione deve comprendere non solo campagne di informazione focalizzate su strumenti e interventi finalizzati alla modifica dei comportamenti, ma anche sull’uso delle terapie ARV come prevenzione (TasP), con conseguente ricaduta sulla riduzione delle nuove infezioni e il rispetto dei diritti delle popolazioni maggiormente esposte all’Hiv”.
Dal 2015, riporta sempre il Notiziario, aumenta la quota di persone cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da Hiv. C’è una minore percezione del rischio e attenzione ai comportamenti?
“I giovani possono essere poco attenti alla prevenzione e possono prestare poca attenzione ai comportamenti o abitudini sessuali potenzialmente pericolosi (come evitare l’uso di strumenti di protezione) o evitare l’assunzione corretta della profilassi pre-esposizione (PrEP). Spesso non danno il giusto rilievo ad alcuni segni di allarme, inoltre possono prestare poca attenzione nei confronti di comportamenti o abitudini sessuali potenzialmente pericolosi. A ciò si aggiunga anche l’emergenza pandemica, che ha determinato una ridotta disponibilità dei servizi sanitari, la diminuita presentazione delle persone agli stessi con conseguente ritardo di diagnosi o il ritardo di notifica”.
In cosa consiste la profilassi pre-esposizione?
“La profilassi pre-esposizione, abbreviata in PreP, consiste nell’assunzione di farmaci anti-Hiv da parte di soggetti Hiv-negativi che hanno il rischio di contrarre l’infezione e riduce il rischio di diventare sieropositivi. I farmaci anti-Hiv contenuti nella PrEP impediscono che il virus si riproduca nel corpo, evitando così di contrarre l’infezione. Chiaramente non è adatta a tutti: è indicata per coloro che sono Hiv-negativi e hanno comportamenti ad alto rischio di contrarre l’infezione. Ovviamente l’assunzione della PreP non deve far abbandonare l’uso delle protezioni: protegge dall’Hib ma non dalle altre malattie sessualmente trasmissibili (MST). Usare il preservativo è il modo migliore per prevenire altre infezioni importanti, come gonorrea, sifilide, clamidia ed epatite B e C. Anche queste sono informazioni che dovrebbe essere trattate in maniera consapevole, a scuola come a casa. La PreP però non è disponibile in tutto il mondo, e anche in quei paesi dove è stata regolamentata, può essere non facile da reperire. In generale, l’accesso alla PreP è possibile nei Paesi ad alto reddito e solo in cinque paesi nell’Africa sub-sahariana: Kenya, Nigeria, Sud Africa, Uganda e Zambia”.
Di quali terapie disponiamo oggi per curare l’infezione da Hiv e l’Aids e quali sono oggi la qualità di vita e l’aspettativa di vita in una persona in cura?
“L’Hhiv si cura con le cosiddette terapie antiretrovirali, ossia farmaci specifici in grado di bloccare la riproduzione del virus nelle cellule, limitandone la quantità all’interno dell’organismo. Esistono diverse classi di farmaci, che, combinate tra loro, controllano il virus e permettono di gestire al meglio la malattia. Grazie alle terapie antiretrovirali, i pazienti con Hiv possono avere una buona qualità di vita, grazie anche al minor impatto sull’organismo e ai minori effetti collaterali di questi farmaci. Le evidenze scientifiche evidenziano che le prospettive di vita per chi oggi scopre di essere positivo all’Hiv ed entra subito in terapia sono simili a chi non ce l‘ha. Ad oggi non esiste una cura definitiva che elimina del tutto il virus dall’organismo né un vaccino efficace: i farmaci vanno assunti sostanzialmente per tutta la vita”.
Da molti anni si studia un vaccino contro l’Hiv. A che punto siamo?
“I dati lasciano ben sperare. Ad oggi si può parlare solo di ‘candidati vaccinali in corso di sperimentazione. Ad esempio, il San Gallicano, insieme ad altre eccellenze italiane come l’Istituto Superiore di Sanità, il San Raffaele e l’Ospedale L. Sacco di Milano, il San Gerardo di Monza e il Policlinico Universitario di Bari, sta studiando un potenziale vaccino profilattico contro l’Hiv che lascerebbe sperare per la sperimentazione di nuove forme di trattamento disponibili. I dati del follow up a 8 anni sono stati pubblicati di recente sulla rivista Frontiers in Immunology. L’idea di base della sperimentazione è creare una risposta immunologica contro la proteina TAT per bloccare o limitare la potenza del virus sull’organismo. La buona notizia è che, dopo otto anni dalla vaccinazione, si è osservata una riduzione cospicua di Dna pro-virale circolante e un generale miglioramento di alcuni parametri immunitari. La sfida oggi è verificare l’effetto di questa vaccinazione terapeutica in pazienti che interrompono la terapia sotto stretto controllo medico. Inoltre, a marzo è stato avviato uno studio clinico di Fase I per la valutazione di tre vaccini sperimentali contro l’Hiv basati su una piattaforma di mRNA, la stessa tecnologia usata per quelli contro il Covid-19. C’è molto lavoro da fare, ma siamo sulla strada giusta.
Come commenta i numeri del Programma dell’Onu Unaids?
“Il documento Unaids indica che ‘ogni due minuti nel 2021, un’adolescente o una giovane donna, si ammalano di Hiv’, e nello stesso anno ci sono stati circa 650mila decessi Aids correlate (uno al minuto), malgrado gli strumenti preventivi e le efficaci terapie disponibili. Esistono oggi forti disuguaglianze d’accesso alle cure e ai trattamenti tra i paesi del Nord e del Sud del mondo, e le ragioni possono essere molteplici (geografiche, politiche, economiche, culturali e religiose). Forti disuguaglianze si riscontrano in Etiopia, nella Repubblica Centrale Africana, in Nigeria o in Nuova Guinea. In questi paesi, si stima che circa 800mila bambini affetti da HIV non abbiano ancora ricevuto la terapia antiretrovirale. Il gap nei trattamenti, sia a livello macroscopico, cioè tra Paesi, sia a livello micro (all’interno del medesimo tessuto sociale) è sicuramente tra i massimi problemi sanitari quando si affronta il tema Hiv e Aids. Non è un caso che la parola d’ordine della Giornata mondiale contro l’Aids 2021 sia stata “End inequalities. Porre fine all’Aids”.
Quali sono gli obiettivi e le strategie a livello mondiale (95-95-95)?
“L’obiettivo principale deve essere sicuramente quello di garantire a tutti i paesi del mondo, da Nord a Sud, una cura e una terapia contro l’Hiv e contro l’Aids. La prevenzione di queste patologie, oggi assolutamente curabili, deve diventare una priorità finanziaria e politica delle diverse Nazioni, elaborando progetti su larga scala e implementando i servizi e strumenti di prevenzione, a cominciare dalla stessa profilassi pre-esposizione, che dovrebbe essere orale e a lunga durata. Affrontare le disuguaglianze nella prevenzione, nei test e nel trattamento dell’Hiv è sicuramente un obiettivo e una strategia di grande efficacia. In alcuni paesi, politiche discriminatorie e una legislazione oppressiva e punitiva possono minare la risposta all’Aids e allontanare le persone dai servizi sanitari. Bisogna promuovere una politica di gender equality e di rimessa al centro dei diritti umani”.
Come sensibilizzare alla prevenzione?
“Partendo da un’educazione alla salute che abbia origine dal contesto familiare e ovviamente da quello scolastico. Occorre sensibilizzare i ragazzi sui temi della salute e della prevenzione già nei primi contesti di socializzazione. Rispetto della persona e cura di sé stessi e degli altri sono tra i valori che devono essere insegnati alle future generazioni, affinché si rapportino alla vita in maniera responsabile e consapevole. È tra le sfide del futuro: come ci insegna l’esperienza della pandemia da SARS-CoV-2. A livello mondiale, la sensibilizzazione riguarda i governi, che devono attuare programmi e progetti politici e finanziari a tappeto e su larga scala, sia a livello nazionale sia a livello mondiale”.
Sempre secondo Unaids, le nuove infezioni da HIV si sono ridotte del 54% rispetto al picco del 1996 e i decessi legati all’AIDS sono stati ridotti del 68% dal picco del 2004 e del 52% dal 2010. In conclusione, a 41 anni dalla prima diagnosi di Hiv, possiamo fare un bilancio dei risultati ottenuti e di quelli da raggiungere?
“Bisogna avere fiducia nella ricerca che cura e supportarla. I ricercatori e le ricercatrici sono alla ricerca di una cura volta al miglioramento della qualità di vita di tutti, in tutti i paesi del mondo, per debellare questa patologia. C’è ancora tanto da fare, ma siamo sulla strada giusta”.