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Giornata del Mar Mediterraneo. L’intervista al dott. Giordano Giorgi

L'intervista al dott. Giordano Giorgi, ricercatore Ispra e coordinatore del progetto Pnrr Mer, in occasione della giornata internazionale del Mar Mediterraneo

L’8 luglio si celebra la giornata internazionale del Mar Mediterraneo. Istituita nel 2014, rappresenta un’occasione per aumentare la consapevolezza sullo stato di salute del Mare Nostrum e sui pericoli che lo minacciano, un’occasione per fare un bilancio dello stato di salute del Mare Nostrum e sui pericoli che lo minacciano. Il Mediterraneo, pur avendo solo una superficie di circa l’1% di tutti gli oceani è un tesoro di biodiversità: le sue acque ospitano circa 15.000 specie, oltre il 30% delle quali sono endemiche, ossia esistono solo nel nostro mare.

Il MER

L’ISPRA, (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale), è impegnato in quello che è il più grande progetto sul mare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: il MER, ossia Marine Ecosyste Restoration, che grazie a un finanziamento di 400 milioni di euro per il 2022-2026, prevede interventi per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini, il rafforzamento del sistema nazionale di osservazione degli ecosistemi marini e costieri e la mappatura degli habitat costieri e marini di interesse conservazionistico nelle acque italiane con l’acquisizione di una nuova unità navale oceanografica, dotata di apparecchiature altamente tecnologiche in grado di sondare i fondali fino a 4000 m e strumentazione acustica ad altissima risoluzione.

L’intervista

Ma qual è lo stato di salute del mar Mediterraneo? A che punto è l’attuazione del Mer? Interris.it ne ha parlato con il dottor Giordano Giorgi, ricercatore di ISPRA, coordinatore del progetto PNRR MER (Marine Ecosystem Restoration), il più grande progetto italiano sul mare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Dottor Giorgi, qual è lo stato di salute del Mar Mediterraneo? 

“E’ un mare complesso, chiuso, con una forte evaporazione, con immissione di acque dall’Oceano Atlantico. Il suo stato di salute si valuta in base a molti indicatori e descrittori previsti anche dalle direttiva sulla strategia marina. Negli anni sono stati fatti diversi monitoraggi e abbiamo riscontrato che ci sono diversi elementi che hanno un andamento positivo, altri non vanno molto bene”.

Qual è l’aspetto che non sta andando molto bene? 

“I rifiuti marini e le microplastiche sono un elemento emergente. Le ritroviamo all’interno delle parti edibili dei pesci, nei contenuti stomacali delle tartarughe marine. E’ chiaro che da questo punto di vista c’è un’emergenza. Altri aspetti sono più o meno costanti, come la contaminazione di sostanze pericolose. In alcune zone ci sono concentrazioni di mercurio importanti, anche nei sedimenti, frutto di attività svolte nel secolo scorso, ci portiamo dietro un retaggio duro da lasciar andare”.

E gli habitat marini? In che condizioni sono?

“Dal punto di visto degli habitat abbiamo delle criticità con le praterie delle posidonie, una pianta acquatica fondamentale nel nostro mare, in molti casi in regressione a causa della torbidità delle acque, agli ancoraggi, alla pesca. Ma non ci sono solo lati negativi, infatti, abbiamo visto una ripresa di alcune specie, tra cui anche i cetacei. Quello del Mediterraneo è uno scenario chiaroscuro, per cui le azioni debbono essere molto ben calibrate per far sì che il nostro mare non peggiori ulteriormente, ma anzi continui questo trend di miglioramento e lo rafforzi”.

Quali sono i maggiori pericoli per il Mare Nostrum?

“L’aspetto più emergenziale è quello legato ai rifiuti marini perché si è visto che sono presenti su più fronti. Il problema è che le correnti superficiali tendono ad accumularli in alcuni punti centrali del nostro mare e non è facile recuperarli. Abbiamo dei fenomeni di accumulo di plastica galleggiante che con il tempo si deteriora, si trasforma in microplastiche che a loro volta vengono ingerite dai pesci; inoltre fanno da veicolo per tutta una serie di patogeni. Inoltre, bisogna tutelare gli habitat costieri molto vulnerabile a causa del turismo che sta esercitando una pressione sempre maggiore. Non è chiudendo le spiagge o interdicendo delle aree che risolviamo i problemi, bisogna che ci sia una corretta gestione dei flussi di turisti”.

Sarebbe necessarie un’educazione dei turisti? Ossia, far in modo che conoscano gli ambienti che frequentano?

“Effettivamente, la consapevolezza di quale tipologia habitat marino abbiamo di fronte quando trattiamo di turismo estivo e balneare è assolutamente importante. Ci sono tantissime attività che possiamo fare e tante altre che sarebbe meglio non fare, una su tutte quella di andare a raccogliere granchi e granchietti che si trovano sul bagnasciuga. Per quanto possa essere divertente per i bambini, queste specie dovrebbero essere lasciate nel loro ambiente naturale. Nel periodo del lockdown a causa del Covid, abbiamo visto come, non avendo interferenze con gli umani, c’è stata una ripresa di tutta la fauna costiera”.

Lei è il coordinatore del progetto MER. Ci può spiegare di cosa si tratta? 

“Il MER è il progetto PNRR bandiera per il mare, sia per la vastità degli interventi previsti, sia per il budget, quasi 400 milioni per investimenti per ripristinare gli habitat marini, fino al potenziamento delle osservative e a una mappatura degli habitat senza precedenti. Verranno mappati tutta la costa italiana e gli oltre 90 monti sottomarini, con una campagna che durerà oltre due anni. Andremo a ripristinare in 15 aree la posidonia oceanica: verrano prelevate piantine in buona salute che saranno ripiantumate in aree dove è danneggiata e scomparsa. Andremo a ripristinare in 7 aeree l’ostrica piatta, scomparsa dall’Adriatico: verrà ricostruito il substrato, su cui poi verranno distribuiti i nidi di ostrica piatta. Faremo anche interventi della rete ondometriche per avere dati sia sul moto ondoso sia sulle correnti sottomarine: sarà necessario per capire come evolve lo stato fisico del Mar Mediterraneo e come questo influisce sul clima dell’Italia. Inoltre, verrà acquisita una nuova nave oceanografica, dotata di strumenti all’avanguardia che ci consentirà di indagare fino a 3.000-4.000 metri nel mar Mediterraneo. Un progetto molto vasto, molto ambizioso, che copre sia aspetti di ripristino sia aspetti conoscitivi per comprendere sempre meglio il Mare Nostrum”.

Come il cambiamento climatico sta impattando sulla salute del Mediterraneo?

“E’ in corso un processo che viene definito di ‘tropicalizzazione’ dei nostri mari, dovuto al fatto che c’è un aumento della temperatura media del Mar Mediterraneo. Come è ben noto a tutti, con lo scioglimento dei ghiacciai terrestri andremo incontro a un innalzamento dei livelli dei mari, questo si verificherà anche nel nostro mar Mediterraneo. Come questo influirà sul clima, non è ancora certo. A causa del riscladamento globale e dell’irraggiamento del sole, il Mediterraneo sta producendo molta evaporazione. Questi elementi creano due problemi: l’aumento della distribuzione delle specie che provengono dal Mar Rosso, le cosiddette specie aliene; inoltre questa forte evaporazione produce eventi meteo estremi: le bombe d’acqua, le trombe d’aria, fenomeno estremizzanti che hanno ricadute sia per gli esseri umani sia dal punto di vista di coerenza e distribuzione degli habitat costieri che vengono danneggiati fisicamente”.

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